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venerdì 17 novembre 2017

Mafia. Quella cultura diffusa nella Sicilia di un tempo e in quella di oggi che però è dilagata ormai e tuttora molto oltre lo Stretto

Toto Riina, l'umo che per lungo tempo è stato il corleonese, è morto nel reparto detenuti del carcere di Parma nelle prime ore di questa mattina. Già a 18 anni era stato per la prima volta in carcere con l'accusa di omicidio di un coetaneo, durante una rissa, per cui venne condannato a 12 anni. 
Era nato a Corleone il 16 novembre del 1930 da un famiglia di contadini. Ad immetterlo nell'organizzazione mafiosa è stato il concittadino Luciano Liggio, dopo che era uscito dal carcere, nel 1956. 
Un uomo ?
No, un uomo feroce.
Nel 1958 eliminano il medico-boss di Corleone Michele Navarra e assumono la guida della Mafia locale insieme a Bernardo Provenzano. Nel 1963 Riina viene arrestato, ma già nel 1969 è fuori per insufficienza di prove. Viene quindi mandato fuori dalla Sicilia -al soggiorno obbligato-, ma non lascerà mai la Sicilia scegliendo una latitanza di oltre 20 anni.
Da ricercato si è dedicato alla sistematica eliminazione dei nemici: nel 1969, con Provenzano e altri uomini d'onore, uccide a colpi di mitra il boss Michele Cavataio e altri quattro picciotti in quella che per le cronache diventerà la strage di viale Lazio
Nel 1971 spara contro il procuratore di Palermo Pietro Scaglione. Ma gli omicidi a lui riferiti sono been di più di un centinaio e  26 sono gli ergastoli a cui è stato condannato.
I primi delitti politici dell'isola risalgono a lui: l'ex segretario provinciale della dc Michele Reina e il presidente della Regione Piersanti Mattarella. 
Quando Liggio viene arrestato è lui a prendere il suo posto nel triumvirato mafioso assieme a Stefano Bontate e Tano Badalamenti. Negli anni 80  il suo ruolo assieme ai suoi uomini fidati, i viddani, i villani di Corleone che hanno sfidato la mafia della città, diventa indiscusso. 
Soldi, droga, appalti e speculazione edilizia diventano i pilastri del suo dominio che si regge, in maniera indiscussa a colpi di omicidi eclatanti e di lupare bianche.
Riina, la belva, come lo chiama il suo referente politico Vito Ciancimino, ex sindaco mafioso democristiano di Palermo e uomo del sacco edilizio, è spietato. Condannato in contumacia all'ergastolo durante il "maxiprocesso", viene inchiodato dalle rivelazioni dei primo pentito di rango, Tommaso Buscetta.
Reina  si vendica facendogli uccidere undici parenti. Quando il maxi diventa definitivo Riina dichiara guerra allo Stato. Cadono i giudici Falcone e Borsellino, a cui si doveva il maxiprocesso. Ma la lista di chi andava eliminato era lunga e contava anche i politici che, secondo il boss, non avevano rispettato i patti. Inizia la stagione delle stragi che il capo dei capi vuole nonostante non tutti in Cosa nostra siano d'accordo. 
--Il 12 marzo muore Salvo Lima, proconsole andreottiano in Sicilia. 
--Il 23 maggio e il 19 luglio del 1992 i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. 
--Il 15 gennaio del 1993 i carabinieri del Ros lo arrestano dopo 24 anni di latitanza. 
La moglie, Ninetta Bagarella che ha trascorso con lui tutta la vita, torna a Corleone con i quattro figli, Lucia, Concetta, Giovanni e Giuseppe Salvatore, tutti nati in una delle migliori cliniche private di Palermo. La latitanza della famiglia era trascorsa indisturbata in una villa degli imprenditori mafiosi Sansone, a due passi dalla circonvallazione. 
Sulla cattura del capo dei capi gravano molte ombre: a tratteggiarle sono gli stessi magistrati che dal 2012 lo processano per la cosiddetta trattativa Stato-mafia in cui il boss avrebbe avuto, almeno inizialmente un ruolo. 
Sarebbe stato Bernardo Provenzano, più moderato e, dicono i pentiti, contrario all'attacco allo Stato, a venderlo ai carabinieri barattando la sua impunità. 
Ormai, con la morte del boss, molti misteri resteranno per sempre tali. Riina non ha mai mostrato in vita alcun segno di redenzione. 

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