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venerdì 2 dicembre 2016

Referendum del 4 Dicembre. Intervento

Tomaso Montanari (1971), professore ordinario di Storia dell’arte moderna all’università di Napoli Federico II.
È editorialista per la Repubblica e vicepresidente di Libertà e Giustizia.

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VIII 

RIVOLUZIONE E RASSEGNAZIONE 

Possiamo vederla così: siamo sugli spalti di uno stadio, e i giocatori in campo non ne fanno una giusta. Non segnano, si menano, corrompono l’arbitro, si vendono agli scommettitori. Finché, un bel giorno, ci dicono: «Se non riusciamo a giocare bene non è colpa nostra: è colpa di tutte queste regole, che ci legano e ci impediscono di correre e di decidere quando tirare in porta. Ecco, ce le siamo riscritte noi, queste regole: dovete solo dirci che le approvate, basta un Sì. 
E non solo il gioco finalmente decollerà, ma noi diventeremo migliori. Dimenticheremo le scommesse, giocheremo solo per voi. Se ci manderete via, però, nessun altro giocherà: non ci sono alternative. Ah, a proposito: questo gioco non è una bella cosa, e in fondo non serve a molto, dunque vi proponiamo di giocare di meno, e in minor numero». 

Ecco, quel pubblico avrebbe due possibilità: fidarsi dei giocatori e permettere loro di cambiare le regole. Oppure dire di No: e cambiare i giocatori. 
Lo slogan più rivelatore che la campagna del Sì ha sparato sui muri di tutto il Paese è: 
«Cara Italia, vuoi dimiunire il numero dei politici?» 
Naturalmente qua si strizza l’occhio alla ventata di antipolitica che da tempo cerca di convincerci che non valga la pena di investire sulla macchina della nostra democrazia. È, questa, una retorica particolarmente coltivata dal Movimento 5 Stelle, e Matteo Renzi ha deciso di cavalcarla ventre a terra. Ora, tutti sappiamo che nella vita politica ci sono molti sprechi (per non parlare del costo della corruzione!), ma è davvero singolare che un Paese che – facciamo solo pochi esempi – tollera un’evasione fiscale di 150 miliardi di euro l’anno, permette alla Chiesa cattolica di non pagare le tasse su uno sterminato patrimonio immobiliare assai redditizio, e fa ponti d’oro a enormi aziende che, pur essendo state sostenute da denaro pubblico, decidono di pagare le tasse in altri paesi (è il caso della Fiat di Sergio Marchionne, ardente sostenitore del Sì sebbene sia residente in Svizzera) decida poi di diminuire gli spazi di democrazia per risparmiare la miseria di 50 milioni di euro l’anno (questa l’unica cifra disponibile, stimata dalla Ragioneria Generale dello Stato in una nota del 28 ottobre 2014)! 
Cinquanta milioni equivalgono a quanto spendiamo ogni giorno (non ogni anno!) in spesa militare, ad un terzo del costo dell’aereo voluto dal presidente del Consiglio, a meno di una sesto della somma che ogni anno devolviamo ai vitalizi degli ex consiglieri regionali! 
Ma non è solo un problema di contabilità: il punto è chiederci cosa ci aspettiamo dalla politica. 
Già, perché se i «problemi reali che dobbiamo affrontare stanno ormai al di là della portata della politica», se ormai il capitale ha vinto senza possibilità di appello, se non c’è alternativa allo stato delle cose, allora a cosa servono i politici? È su questo che voteremo il 4 dicembre? 
Crediamo che la politica non serva più a nulla, e che dobbiamo delegare il governo del Paese a un ristretto comitato d’affari? 
Davvero pensiamo che la riforma di Banca Etruria, Marchionne e JP Morgan farà gli interessi dei cittadini italiani? 
Se lo pensiamo, dobbiamo votare Sì. Ma se invece crediamo che l’Italia abbia ancora qualcosa da dire, e che possiamo ancora cambiare lo stato delle cose, allora dobbiamo votare No. 
Ha scritto Piero Calamandrei che la Costituzione è «una polemica contro il presente, contro la società presente. Dà un giudizio, la Costituzione, un giudizio polemico, un giudizio negativo contro l’ordinamento sociale attuale, che bisogna modificare attraverso questo strumento di legalità, di trasformazione graduale, che la Costituzione ha messo a disposizione dei cittadini italiani». 
Lo smantellamento costituzionale su cui il popolo italiano è chiamato a votare spera di spegnere quella polemica, intende mettere a tacere quel giudizio, vuole impedire quella trasformazione. 
 Ma a tutti coloro che dicono che è tempo che la Costituzione si pieghi a contenere una quieta rassegnazione, rispondiamo, con le parole e la passione di Calamandrei, che essa contiene invece una «rivoluzione promessa». 
Non è troppo tardi per attuarla: a partire dal 4 dicembre. 
A partire da un NO. 

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