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mercoledì 17 agosto 2016

La società giusta. Il nostro mondo cerca nuovi equilibri che non possono prescindere dall'incontro delle diverse culture

A proposito di ...
E' frequente che capiti -a chi desidera con animo aperto "capire il mondo"- di leggere su presunti o su veri "scontri di civiltà". Presunti quando si tratta di mareggiate in un bicchiere d'acqua e veri quando avvengono su dimensioni intercontinentali.

Tutti gli attori internazionali in campo ossia i leaders mondiali, ogni volta che discutono su come far convivere nel limitato spazio del pianeta diverse culture e diverse visioni del mondo si trovano a dover coniugare l'auspicato universalismo dei "diritti umani" con la differenza delle identità locali.

Trovare risposte concrete e pressanti su questo dilemma (che ha pure ricadute nei microcosmi sociali vicini a ciascuno di noi, in materia di religioni, di etnie, usi e tradizioni) è diventato urgente soprattutto da quando l'Occidente ha volutamente ed arbitrariamente rotto l'assetto socio-economico-politico del Medio Oriente, che per la verità soffriva di per sè già di grave precarietà. 
Ne è derivata, sin dal primo intervento in Iraq di Bush padre, una irrefrenabile tensione fra identità islamica e cultura occidentale.

Gli scienziati sull'uomo, sui comportamenti degli uomini, un tempo erano esclusivamente gli uomini religiosi e spirituali, poi spuntarono i politici ed oggi, che questi soprattutto (o principalmente) in Italia si occupano del loro arricchimento illegale personale, è dai sociologi e dagli antropologi che ci attendiamo le risposte.

Le figure (progressiste) che immaginano un mondo armonioso puntano -nel mondo sempre più globale- sulla comune umanità di ciascun popolo e sull'abbassamento dei toni unico modo per perseguire il riequilibrio nella convivenza. 
Le figure che coltivano il risentimento puntano sull'innalzamento dei muri  e sulla tutela della propria cultura che vorrebbero mantenere incontaminata.  
Gli antropologi hanno di contro delle soluzioni e mettono le mani avanti: "è come camminare con grazia su una sottile corda e mantenersi sospesi fra due precipizi entrambi da evitare: quello di un universalismo insensibile alle culture, alle differenze, ai contesti e quello dell'ermeneutica che delle culture, delle differenze, dei contesti rimane irrimediabilmente ostaggio".
Un camminare quindi sul filo. 
Gli antropologi, gli scienziati sull'uomo del terzo millennio, ritengono che le migliori teorie sulla convivenza civile nascano sempre così.  

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