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venerdì 12 agosto 2016

Hanno detto ... ...

VITO FOSCHI, pubblicista
Banche italiane
In Italia si aggira un pericoloso demone: il liberismo selvaggio. Per colpa di questo demone si sono privatizzate le banche... Per lo meno questo secondo la vulgata corrente. Poi, si legge la cronaca e si legge del Monte dei Paschi di Siena, dell’“Abbiamo una banca”, degli scandali delle varie banche  popolari, degli interventi di salvataggio del governo e così via e sorge qualche dubbio.
Le privatizzazioni italiane non sempre sono state veramente tali, in particolare modo per il settore del credito. Per le banche è avvenuta con lo step intermedio di creare le fondazioni bancarie con compiti sociali e culturali, ma proprietarie delle banche trasformate in società per azioni. In un primo momento le fondazioni avevano il 100% della proprietà delle banche, poi dopo una serie di vendite e fusioni fra gli istituti bancari si sono trovate con quote minoritarie, ma importanti. Ed è proprio questo l’inghippo: per quanto le quote delle fondazioni non siano più maggioritarie, per società quotate in borsa e con un azionariato frammentato, anche piccole quote possono risultare significative e poter indirizzare le nomine del consiglio di amministrazione.
Torino ci sono le fondazioni della Compagnia di San Paolo che ha una quota in Intesa San Paolo di oltre il 9% e quella della Cassa di Risparmio di Torino che ha una quota del 2,5% in Unicredit, le due banche principali in Italia.
Il problema nasce dal fatto che le nomine nelle fondazioni bancarie sono di competenza politica, in particolare degli enti locali, quali comuni e regioni.
FERRUCCIO DE BORTOLI, già direttore del Corriere della Sera
Smaltimento rifiuti italiani
Mandare i propri rifiuti all'estero, pagando profumatamente, senza provare un filo di vergogna nazionale.

SALVO PALAZZOLO, giornalista de La Repubblica-Palermo
Comune di Corleone
Una sola domanda arrivò al Comune di Corleone per il posto di assistente igienico sanitario della scuola "Giuseppe Vasi". E la candidata, la figlia del capomafia Rosario Lo Bue, fu assunta senza alcun problema, nella primavera dell'anno scorso. Peccato che il bando non era stato mai pubblicato sul sito Internet del Comune. "Una mera svista", si è giustificato il funzionario responsabile del settore, Fabio Termine. E, adesso, c'è anche un'inchiesta della procura di Termini su uno dei capitoli più delicati dell'atto d'accusa del Viminale che mercoledì ha portato allo scioglimento del Comune di Corleone per infiltrazioni mafiose. Se quell'avviso di assunzione non era stato mai pubblicato, come faceva Enza Lo Bue a sapere delle selezioni?

È un Comune amministrato da persone un po' sbadate quello descritto nelle duecento pagine scritte dai tre ispettori inviati a gennaio a Corleone dal prefetto di Palermo Antonella De Miro. Il rapporto finale è stato accolto in pieno prima dal ministero dell'Interno e poi dal Consiglio dei ministri. Nel Comune retto dalla sindaca Lea Savona, nessuno si è mai accorto che la società incaricata del servizio di accertamento e riscossione dei tributi, la "Consortile Esperia" di Catania, ha come referente Antonino Spera, un imprenditore che è il cognato del capomafia di Belmonte, attualmente in carcere.

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