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giovedì 31 marzo 2016

Lavoro Autonomo: Quanto è facile essere a posto col fisco

Da oggi le banche hanno cominciato a fornire all'Agenzia delle Entrate tutti i dati utili ad essa, a cominciare quindi dai movimenti bancari.
L'biettivo è quello di contrastare l'evasione fiscale.

Potranno essere analizzati da parte del fisco le entrate, le uscite ed i movimenti giornalieri, oltre che ovviamente il bilancio di inizio e fine anno.
La stima che gli economisti  fanno è che gli italiani ogni anno evadono almeno 50 miliardi di euro. 

Da oggi 31 marzo le banche e le poste trasmetteranno i dati all'Agenzia delle entrate (saldi e movimenti bancari effettuati dagli italiani nel 2015 attinenti conti correnti, assegni, carta di credit e cassette di sicurezza). 
Rispetto alla precedente normativa del 2011 sui saldi sono attivati anche i dati di giacenza media che consentono di calcolare i costi medi di ogni italiano.  

Tutti i conti correnti rientrano nell'ottica fiscale, ma ovviamente saranno analizzabili particolarmente quelli dei lavoratori autonomi e dei titolari di redditi di impresa. 
Non saranno, o meglio non dovrebbero essere, immaginabili  prelievi non contabilizzati, ossia quelli di cui non si conosce il beneficiario, poichè ad ogni prelevo dai conti aziendali necessiterà sempre un motivo.

Uomini, fatti, eventi. Come li ricordiamo oggi

31 MARZO 1492
I re cattolici di Spagna Ferdinando II d’Aragona e Isabella di Castiglia emettono il Decreto di Alhambra, noto anche come Editto di Granada, con il quale impongono l’espulsione delle comunità ebraiche, che non accettano di convertirsi al cristianesimo, dal regno di Spagna e dai suoi possedimenti a partire dal 31 luglio di quello stesso anno.
Ferdinando aveva già introdotto in Castiglia, nel 1480, l’Inquisizione e quattro anni dopo anche in Aragona.
L’anno 1492 è un anno chiave nella Storia di Spagna. Si completò la Riconquista con la caduta del Regno musulmano di Granada; ma le armate cristiane erano state in gran parte finanziate dai prestiti che gli ebrei avevano fatto alla Corona e i Re non erano in grado di pagare questi debiti.

La Spagna musulmana si era rivelata un porto sicuro per gli ebrei ed era divenuta velocemente il centro della vita intellettuale Ebraica. Tuttavia, qualche mese dopo la caduta di Granada, arrivò il decreto di espulsione di Ferdinando e Isabella, che ordinava agli Ebrei di tutte le età di lasciare il Paese entro l’ultimo giorno di luglio, e che permetteva di portare via tutti i loro beni e non onorare gli impegni finanziari.
Furono espulsi oltre 200.000 ebrei, che si rifugiarono prevalentemente in Turchia o nel Nord Africa, ma vari di essi trovarono rifugio anche in Italia (Livorno, Venezia); in molte migliaia morirono nel viaggio. Altri invece si convertirono dando esca a tutte le future persecuzioni contro di essi (ogni volta che un converso ritornava benestante ecco che era un falso converso e quindi interveniva l’Inquisizione con sequestri e ‘tostature‘ (termine spesso usato al posto di rogo nei testi spagnoli).

Il testo dell’Editto di Granada:

Sapete bene, o dovreste saperlo, che, poiché fummo informati che in questi nostri domini c’erano alcuni cattivi 
cristiani che si dedicavano al giudaismo e si allontanavano dalla nostra santa fede cattolica, a causa soprattutto delle relazioni fra ebrei e cristiani, nelle cortes riunitesi a Toledo nel 1480 ordinammo che in tutte le città e i villaggi dei nostri regni e signorie gli ebrei dovevano vivere separatamente dagli altri, nella speranza che la loro segregazione avrebbe risolto il problema. Avevamo anche provveduto e ordinato che nei nostri suddetti regni e signorie fosse istituita un’Inquisizione: come sapete, il tribunale nacque più di dodici anni fa e opera ancora. 

L’Inquisizione ha scoperto molti colpevoli, come è noto, e dagli stessi inquisitori, oltre che da numerosi fedeli, religiosi e secolari, siamo informati che sussiste un grave pericolo per i cristiani a causa dell’attività, della conversazione e della comunicazione che[i cristiani] mantengono con gli ebrei. [Gli ebrei infatti] dimostrano di essere sempre all’opera per sovvertire e sottrarre i cristiani alla nostra santa fede cattolica, per attirarli con ogni mezzo e pervertirli al loro credo, istruendoli nelle cerimonie e nell’osservanza della loro legge […].
Per questo motivo, e per mettere fine a una così grande vergogna e ingiuria alla fede e alla religione cristiana, poiché ogni giorno diventa sempre più evidente che i suddetti ebrei perseverano nel loro pessimo e malvagio progetto dovunque vivano e conversino [con i cristiani], [noi dobbiamo] cacciare i suddetti ebrei dai nostri regni così che non ci sia più occasione di offesa alla nostra fede.
Pertanto ordiniamo che quanto da noi stabilito sia fatto conoscere, e cioè che tutti gli ebrei e le ebree che vivono e risiedono nei nostri suddetti regni e signorie, a prescindere dallo loro età[…], entro la fine di luglio lascino i nostri regni e signorie insieme con i loro figli […], e non osino mai più farvi ritorno.

Il 18 Giugno dello stesso anno l’editto venne proclamato in Sicilia, allora territorio spagnolo.
L’editto in Sicilia riguardò 54 comunità ebraiche per un totale di 100.000 persone (in un periodo in cui la popolazione siciliana complessiva si aggirava intorno alle 200.000 persone) che in quel momento rappresentavano laboriose menti e braccia soprattutto nei settori del commercio col Magreb, della seta, del corallo, degli speziali, dei muratori.
La radiografia delle comunità ebraiche siciliane è stata ben tracciata da studiosi che hanno studiato soprattutto i documenti relativi alla persecuzione delle ultime tracce di Ebraismo in Sicilia.
I dati in possesso parlano delle proteste da parte del Parlamento siciliano, delle città demaniali e delle stesse signorie baronali, in taluni casi, contro l’espulsione dei Giudei, ovviamente, per motivi diversi e non sempre per motivi umanitari; motivi che tuttavia dimostrano la gravità della perdita di una così laboriosa comunità.
Già nel 1487 il Parlamento siciliano aveva levato la sua voce contro l’istituzione “illegale” del Sant’Uffizio spagnolo in Sicilia.
Il 20 giugno 1492 i rappresentanti del Senato palermitano insieme agli alti magistrati del Regno firmarono un reclamo-supplica al re di Spagna affinchè venisse ritardata l’espulsione degli Ebrei e non si ponesse mano ai supplizi.

Sicilia. Un dato che fa riflettere

La cattiveria
Tenuto conto di come ci comportiamo noi siciliani nelle urne è verosimile che siamo in numero consistente ciechi: scegliamo sempre i peggiori. 
La realtà
La Sicilia, pur contando 1/12esimo della popolazione italiana, ha un settimo di tutti i non vedenti. Ad attestarlo è il numero degli assegni di "invalidità" corrisposti ai non vedenti, secondo il Corriere della Sera.

Dissero ... ...

Nella vita abbiamo solo due o tre occasioni per dimostrarci eroi; ma a ogni istante abbiamo quella di non essere vili. 

(René Bazin)

Con le immagini ... ... è più facile

Interesse per le Chiese Orientali
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Pontificio Istituto Orientale 
Eparchia di Piana degli Albanesi 

Convegno di Studio 
L’eparchia e il suo clero 
Questioni strutturali e sostentamento 

                                                                                  Piana degli Albanesi, 31 marzo — 3 aprile 2016

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mercoledì 30 marzo 2016

Hanno detto ... ...

SERGIO MATTARELLA, presidente della Repubblica
Un Paese è più ricco se percepisce la diversità come un fattore di ricchezza

Lara Sirignano (Messaggero 29.3.16
“”Il vecchio boss sconta l’ergastolo al 41 bis in un carcere del nord, ma è come se dai vicoli di San Michele di Ganzaria, paese di 3.000 anime dell’entroterra siciliano in provincia di Catania, non se ne fosse mai andato. La distanza e la cella non ne hanno scalfito ruolo e peso se è vero che, come sospettano gli inquirenti, un gruppo di devoti, suoi concittadini, ha deviato il percorso della processione del Venerdì Santo per passare sotto la sua casa, in piazza Monte del Carmelo.

Un omaggio a Ciccio La Rocca, capomafia di Caltagirone, storico alleato di Nitto Santapaola, uno che, racconta il pentito Antonino Calderone, «quando ammazzava provava piacere». «Lui le vittime le strangolava – dice il collaboratore di giustizia – e dopo averle uccise le prendeva a calci, sembrava una belva». Il fercolo col Cristo Morto portato a spalla, seguito dai “lamentatori”, moderne prefiche che accompagnano con i loro lamenti le narrazioni della Passione di Gesù, si è fermato sotto l’abitazione di zio Ciccio e ha ricevuto l’applauso dei suoi familiari.


Uomini, fatti, eventi. Come li ricordiamo oggi

30MAR/160
30 marzo 1842
A Jefferson in Georgia, Crawford Williamson Long per la prima volta effettua un intervento chirurgico con anestesia
Long adopera l’etere per asportare un tumore del collo di tal James M. Venable. Al paziente, atterrito dalla semplice idea dell’intervento, vengono fatti inalare i vapori di etere e Venable alla fine, stupefatto, osserva il tumore che gli è stato asportato senza che se ne sia accorto. 
Il prezzo dell’intervento con anestesia è di 2 dollari. 
L’uso dell’etere fu esteso da Long ad altri interventi come le amputazioni ed il parto con grande successo ma egli non ritenne di pubblicare i risultati dei suoi studi. Lo avrebbe fatto soltanto nel 1849 quindi tre anni dopo quelli pubblicati da William Green Morton che il 18 ottobre 1846 aveva effettuata la prima anestesia con etere a Boston. Morì all’età di 63 anni mentre stava assistendo una partoriente invitando coloro che volevano prestargli soccorso a provvedere prima di tutto alla donna ed al neonato.
William Green Morton, anche se in realtà fu il secondo ad adoperarlo, è considerato il vero scopritore dell’azione anestetica dell’etere dietilico perché, rispetto a Long, ebbe il merito di approfondire gli esperimenti e di saperne adeguatamente divulgare i risultati. Morton ebbe riconosciuti i meriti delle sue ricerche da parte della comunità medica e scientifica e, prevedendo immensi guadagni, tentò di occultare la natura della sostanza che adoperava brevettandola con il nome letheon. Ma fu impossibile nascondere a lungo che il letheon non era altro che etere dietilico. Così nonostante il brevetto a Morton non derivò alcun beneficio economico; anzi si attirò l’antipatia dell’opinione pubblica ed accademica che, lo accusò di comportamento poco etico e scorretto. Morton non otterrà più la stima dai suoi contemporanei e morirà solo e dimenticato, distrutto dall’alcol.

Filosofia. Il pensiero e la cultura russa (7)

La Russia dell'eta' moderna si affaccia in direzione dell'Europa occidentale, ma  la scelta non e' quasi mai univoca. Vediamo perchè.

Il contenuto che segue e' ispirato e ripreso dal  libro
Storia delle tradizioni filosofiche dell'Europa Orientale
di
Helmut Dahm e Asen Ignatur
                                                                 Primi principi di una filosofia
Dopo lo scisma dei raskol’niki, la penetrazione della cultura occidentale in Russia fu favorita da Pietro il Grande (nato nel 1672, zar dal 1682, imperatore dal 1721, morto nel 1725). Acquisì importanza la realizzazione di un sistema scolastico che ricalcava quello dell’Ucraina, che alloraera stata posta sotto il dominio della Polonia. 
Per contrastare la cosiddetta «Unione di Brest» del 1569 che sanciva l’unione delle Chiese occidentale e orientale all'interno dei territori polacchi, il metropolita di Kiev Pëtr Mogila (o Petro Mohyla) istituì nel 1632, secondo il modello dei collegi gesuiti, il «Collegio mohyliano», divenuto Accademia nel 1701. Oltre alle antiche lingue latino, greco e slavo ecclesiastico e accanto a discipline come matematica, grammatica, poesia e retorica, vi si insegnavano anche filosofia e teologia nello spirito della scolastica occidentale. 



Il Collegio di Kiev ebbe un forte influsso sullo sviluppo del sistema scolastico anche in altre regioni.
Georgij Florovksij delineò le caratteristiche degli studi filosofici  nel modo seguente: «A quell’epoca si insegnava ovunque la filosofia peripatetica, Philosophia aristotelico-scholastica, ricorrendo abitualmente agli stessi libri utilizzati dai gesuiti polacchi». 
A metà del XVIII secolo si passò dalla scolastica aristotelica a Wolff: «Cominciò il dominio della scolastica latino-protestante. La scuola mantenne la lingua latina, pure i metodi di insegnamento e il sistema scolastico come tale non furono modificati».
Seguendo l’esempio del Collegio mohyliano, fu istituita nel 1687 l’«Accademia slavo- greco-latina> e altre scuole in diverse citta'.
Sotto Pietro il Grande, sorse una rete di scuole professionali, principalmente scuole per le scienze matematiche e nautiche.. 
Chiamando in Russia dotti occidentali, lo zar istituì nel 1724 un’Accademia delle scienze, che « fino alla metà del XIX secolo rivestì quasi il ruolo di un’agenzia della scienza occidentale in un paese che le era praticamente indifferente», e questo benché a metà del XVIII secolo i suoi membri fossero russi. Tra questi ultimi va citato Michail Vasilevič Lomonosov, autore tra l’altro della prima grammatica della lingua russa (scritta per distinguerla dallo slavo ecclesiastico.

Decisiva per lo sviluppo della filosofia fu la fondazione dell’Università di Mosca nel 1755. Da questo momento in poi si può parlare di una filosofia in Russia, seppure non di una filosofia propriamente russa. Inizialmente, fu predominante l’influsso di Christian Wolff, a cui subentrò verso la fine del secolo quello dell’Illuminismo e degli enciclopedisti.
Importante per il «risveglio» della filosofia russa nel XIX secolo fu la massoneria, che ebbe in Russia un carattere diverso da quella occidentale.
I massoni russi si opposero all’Illuminismo e allo spirito «voltairiano», indirizzandosi spiritualmente soprattutto alla mistica pietista protestante tedesca – Jakob Böhme, Louis Claude de Saint-Martin, Johann Heinrich Jung-Stilling, John Pordage, Valentin Weigel – ma anche alla patristica, ad autori come Agostino, Dionigi lo Pseudoareopagita, Gregorio Palamas, a opere come De imitatione Christi e ad autori come lo Scupoli, Angelo Silesio e altri. 

Lev Tolstoj ha tracciato in Guerra e Pace un ritratto penetrante della fisionomia di un massone russo. I massoni si imposero una disciplina spirituale e videro il proprio compito nell’autoabnegazione, nello «sgrossare la ruvida pietra del cuore umano».
In quel periodo operò in Ucraina un pensatore originale come Grigorij Savvič Skovoroda (1722-94), nel cui pensiero è ravvisabile l’impronta altrettanto decisiva della patristica e della mistica occidentale.

                                                                 Il «risveglio» della filosofia russa
Una filosofia propriamente russa sorse all’inizio del XIX secolo, soprattutto nei circoli studenteschi e nelle discussioni filosofiche che si tenevano nei salotti delle alte sfere della società. Inizialmente sotto l’influsso di Schelling, divenne predominante dopo il 1837 l’influsso di Hegel.
Non si trattò di una semplice ricezione del filosofo tedesco ma di una reazione originale e di un dibattito rivolto a superare il pensiero hegeliano, concepito come formalismo astratto, rivolgendosi soprattutto al concreto e all’azione. 
Al primo entusiasmo per Hegel successe rapidamente una fase di ripulsione, che sprigionò una profonda crisi e condusse infine alla rottura con l’idealismo tedesco e poi, spesso, con tutta la filosofia. Alcuni di quei giovani entusiasti credettero dunque di trovare uno sbocco nella «prassi».
Ciò che nella filosofia hegeliana tanto colpiva la gioventù che ne discuteva nei circoli, divenne visibile con particolare chiarezza in Michail Bakunin, Grigorij Belinskij e Aleksandr Herzen, e in tal senso ricorderemo il concetto di realtà razionale. 
La nota espressione hegeliana del prologo ai Lineamenti di filosofia del diritto, «tutto ciò che è razionale è reale, e tutto ciò che è reale è razionale», fu utilizzata da Bakunin, e in seguito anche da Herzen, per determinare il concetto della vera speculazione filosofica: la filosofia preempirica aveva cercato il vero nell’astratto universale, mentre il merito dell’empirismo stava, al contrario, nell’aver rivolto l’attenzione nuovamente al concreto, continuando tuttavia a porsi nell’astratto-finito. 
La vera filosofia non cerca un universale che superi il particolare e lo abbandoni poi dietro di sé: la verità consiste piuttosto nella «inscindibile e razionale unità del generale e del particolare, di infinito e finito, dell’Uno e dei Molti». Una filosofia di questo tipo è conoscenza della «reale verità» e della «vera realtà».
In una prima fase del loro sviluppo, tuttavia, i giovani hegeliani russi fondarono la ricerca pratica di un’incondizionata riconciliazione con la realtà concretamente esistente su un’equivoca comprensione del principio hegeliano di realtà razionale. Questo significava nella Russia di allora l’assenso alla politica ultrareazionaria di Nicola I.
«La riconciliazione con la realtà in ogni aspetto e in tutti gli ambiti della vita», scrive Bakunin, «è il grande compito del nostro tempo. [...] Vogliamo credere che, finalmente, la nuova generazione si senta affine alla nostra bella realtà russa e [...] che in sé coltivi il legittimo bisogno di essere veri uomini russi». Anche Belinskij esigeva, in una prima fase della sua infatuazione per Hegel, un’incondizionata sottomissione alla realtà.
Tale ottimistica visione durò ben poco. 
Nell’autunno del 1839 Belinskij si trasferì da Mosca a San Pietroburgo, ove ebbe occasione di conoscere in modo ravvicinato la «bella realtà russa» della corte pietroburghese. Se prima egli esigeva la sottomissione alla realtà in nome della teoria secondo cui l’uomo è «reale» solo come espressione finita dell’infinità, ora egli poteva vedere a che cosa tutto ciò portava in pratica. Ne colse le conseguenze, e con Hegel fu rottura. 
Nel 1841 egli fece i conti con Hegel in una denuncia straordinariamente toccante che troviamo in una lettera all’amico Vasilij P. Botkin: «In lui [Hegel] il soggetto non è fine a se stesso, ma mezzo per una transitoria espressione dell’universale, e questo universale appare in lui [Hegel] rispetto al soggetto come un Moloch, poiché, dopo essersi soffermato un po’ in lui [nel soggetto], se ne sbarazza poi come fosse un vecchio cencio.
Dalle parole di Belinskij, un ruolo essenziale nella ricezione di Hegel da parte dei giovani russi fu svolto, accanto al principio della realtà razionale, anche dalla dialettica (che vi è comunque intimamente legata). Ciò si può vedere rispetto a Belinskij, in Bakunin e Herzen. Bakunin riprese la dialettica dapprima con un fervore addirittura religioso, scorgendo in essa il richiamo al sacrificio di sé e alla rinunzia. Ancora il 3 gennaio 1842 scriveva in una lettera: «Contrariamente alla vita materiale, che possiede solo ciò che si prende, lo spirito possiede solo quel che cede [...] L’uomo deve morire di continuo per vivere di continuo: donarsi incessantemente per possedersi sempre...». Già nell’ottobre dello stesso anno, tuttavia, con lo pseudonimo di Jules Elysard, pubblicava sui «Deutsche Jahrbticher», organo della sinistra hegeliana, il famoso articolo Reaktion in Deutschland (La reazione in Germania), in cui intendeva suggerire che nella dialettica hegeliana il momento decisivo era rappresentato dalla negazione, ora già trasformata in un concetto politico. L’articolo si chiudeva con la nota affermazione: «La voglia di distruggere è contemporaneamente una volontà creatrice!».
In seguito, Bakunin si discostò non solo da Hegel, ma anche dalla filosofia in genere, dedicandosi all’azione rivoluzionaria e diventando «il padre dell’anarchismo russo».
Se Belinskij e Bakunin hanno tratto inizialmente delle conseguenze ancora conservatrici dal principio hegeliano di realtà razionale, Aleksandr Herzen interpretò tale principio costantemente in senso rivoluzionario. Se tutto il reale è razionale, allora anche la lotta contro la realtà esistente, nella misura in cui è reale, è razionale. In tal modo, la dialettica di Hegel diventava per lui un’«algebra della rivoluzione».

Nel 1847 Herzen si trasferì in Occidente, che però lo deluse a causa della mancanza di un vero slancio rivoluzionario. Di pari passo presero a profilarsi il suo distacco da Hegel e la perdita di una propria posizione filosofica. Essendogli stato proibito il ritorno in Russia, dovette rimanere in Occidente fino alla morte.
A Londra pubblicò il giornale rivoluzionario russo «Kolokol», in cui faceva propaganda per un socialismo da costruirsi sulla base del mir, la comunità di villaggio diffusa nelle campagne russe. In tal modo, aprì la strada al movimento populista del narodničestvo.

Analizzando lo sviluppo spirituale di queste tre figure, non si possono non scorgere alcune affinità con la crisi spirituale che aveva attraversato la Russia nel XVI e nel XVII secolo.
In entrambi i casi, la crisi affondò le sue radici nella fede in un ideale realizzato. Al tempo, i proseliti dell’idea della «santa Russia» avevano assolutizzato la realtà religiosa e politica, vedendo nell’ordinamento statale del granducato di Mosca l’incarnazione della realtà cristiana e chiudendosi a ogni riforma, per quanto necessaria essa fosse, il che portò alla fine al grande scisma ecclesiastico del 1666. 
Successivamente, su un altro piano, ossia quello filosofico, il principio hegeliano (equivocato) della realtà razionale fece credere ai giovani hegeliani, seppur per breve tempo, che il mondo russo circostante fosse l’incarnazione dell’Idea nella realtà politico sociale. Quando essi videro il vero carattere della realtà, la conseguenza fu non solo una rottura con Hegel e con la filosofia in genere, ma una decisiva dichiarazione di guerra alla situazione in cui si trovavano e il passaggio alla prassi politico-rivoluzionaria.

Nella ricezione di Hegel da parte di una gioventù entusiasmata dalla filosofia abbiamo visto che l’influsso del filosofo tedesco derivava soprattutto dal suo «idealrealismo», dalla visione di una realtà ideale che andava trovata nella realtà empirica. D’importanza tutt’altro che secondaria era tuttavia la visione nel mondo di una reale unità del tutto con il tutto. 
Lo scrittore Ivan Turgenev ci dipinge l’atmosfera che dominava nei circoli filosofici, in cui si imparava da Hegel a percepire il legame universale e la legge delle cose: «Un ordine armonico permeava tutto [...] tutto ciò che era lacerato si ricompose, crebbe di fronte a noi come una costruzione, tutto divenne chiaro, lo spirito soffiò ovunque. [...] Nulla rimase di insensato e casuale: in tutto si esternarono la necessità razionale e la bellezza, tutto ottenne un significato chiaro e contemporaneamente misterioso; ogni singola manifestazione della vita risuonava come un accordo, e noi stessi ci sentivamo pervasi da una sacra venerazione, da un dolce trepidio del cuore, quasi fossimo i vasi della verità eterna, i suoi strumenti, chiamati a qualcosa di grande».
Che nell’entusiasmo dei giovani russi per Hegel giocasse un ruolo notevole anche l’ antinomica, si può intravedere da una serie di testi che Čiževskij trae da Belinskij. La forza espressiva di tali scritti risulta ancora maggiore se si considera che Belinskij non conosceva il tedesco e aveva nozione di Hegel solo da quanto gli raccontavano di lui gli amici (soprattutto Bakunin, Vasilij P. Botkin, Mikhail N. Katkov).

Negli anni Quaranta si arrivò a una nuova scissione del ceto colto che avrebbe avuto pesanti conseguenze per tutto il futuro sviluppo della cultura russa: gli slavofili e gli occidentalisti. 
La polemica divampò sulla questione dell’appartenenza culturale della Russia.
Per un occidentalista la Russia non era null’altro che una parte d’Europa, seppure una parte piuttosto arretrata nello sviluppo. Il suo compito principale sarebbe dunque consistito nell’imparare dall’Occidente. Fra i fautori principali dell’ala radicale occidentalista (accanto a cui ci fu una corrente più moderata, maggiormente operante in senso scientifico, alla quale appartenevano per esempio Timofej N. Granovskij, K. D. Kavelin e altri) si citano comunemente Belinskij, Bakunin e Herzen, benché a causa del loro romanticismo essi fossero più vicini agli slavofili di quanto volessero ammettere.
Gli slavofili vedevano nella Russia una connotazione culturale diversa da quella occidentale che, cresciuta nell’eredità greco-bizantina, si sarebbe formata appieno nella Russia prepetrina, e, in tal senso, consideravano deleterie per la Russia le riforme di Pietro il Grande, che miravano a un’europeizzazione del paese. Vedevano l’Occidente invischiato in una profonda crisi spirituale e ne sottolineavano volentieri il «marciume».
L’opposizione tra slavofili e occidentalisti tuttavia non va resa troppo assoluta. Infatti, se da un lato gli slavofili non chiusero mai gli occhi di fronte ai successi culturali dell’Occidente – tanto che uno slavofilo come Aleksej S. Chomjakov lo definiva addirittura «terra di sacre e mirabili opere» –, occidentalisti, dall’altro, non negavano alla Russia una precisa missione nei confronti dello stesso Occidente, una volta che la nazione russa fosse riuscita a elaborare positivamente le aporie della società occidentale. Essi credevano che, richiamandosi alle proprie tradizioni culturali e facendo tesoro delle esperienze negative dell’Occidente, la Russia sarebbe riuscita a trovare prima o poi la parola liberatrice che avrebbe potuto trarre in salvo dalla sua crisi anche la cultura e la società occidentale (per esempio Herzen e Pëtr Ja. Čaadaev). 
La visione del mondo degli slavofili recava l’impronta decisiva dell’ideale dell’integralità. Nel campo filosofico essi contrapposero al razionalismo, che avrebbe dovuto rappresentare l’ultima parola e contemporaneamente anche la dissoluzione della cultura europea, l’esigenza di una conoscenza integrale.
 Per Ivan Kireevskij, il «filosofo» del movimento slavofilo, nel momento della conoscenza si realizzava un incontro esistenziale tra il conoscente e la «verità», un atto cioè di sublime responsabilità. L’atto della conoscenza non era pertanto questione di una sola capacità, ma costituiva un richiamo per l’uomo nella sua interezza e con tutte le sue facoltà: intelletto, volontà, coscienza, senso del bello, del vero, della giustizia, della misericordia e così via.

Aleksej S. Chomjakov, il «teologo» degli slavofili, sviluppò invece nella dottrina della sobornost’ soprattutto la dimensione comunitaria della teoria slavofila del sapere integrale: solo chi si trova in un vitale legame con l’organismo della Chiesa può partecipare compiutamente alla verità, giacché lo spirito della verità non è dato al singolo, bensì alla comunità della Chiesa, unita nell’amore. «Se uno di noi commette peccato, egli pecca da solo; ma nessuno si salva da solo. Chi sarà salvato, sarà salvato nella chiesa, come suo membro, unito a tutti gli altri suoi membri. Se uno crede, si trova nella comunità della fede, se egli ama, si trova nella comunità dell’amore
Vista con gli occhi dello spirito, la Chiesa visibile non è una società visibile di cristiani: a vivere in questa comunità sono piuttosto lo spirito di Dio e la grazia dei sacramenti: «Quindi anche la chiesa visibile è visibile solo al credente, poiché, per chi non crede, il sacramento è solo un rito e la chiesa è solo una società».
Kireevskij e Chomjakov furono critici rispetto alla filosofia di Hegel già dall’inizio, il che non vale tuttavia per tutti gli slavofili. Konstantin S. Aksakov, per esempio, vedeva svolgersi nella storia della Russia un processo dialettico: le riforme introdotte da Pietro il Grande significavano a suo parere la «negazione» della sostanza nazionale, a cui sarebbe dovuta seguire la «negazione della negazione» con la piena realizzazione dell’essenza russa in campo sociale. 
Jurij F. Samarin si spinse a considerare il destino della chiesa russa come legato alla filosofia hegeliana, applicando lo schema dialettico alla relazione opposizionale delle tre confessioni cristiane: caratteristica del cattolicesimo era l’idea astrattamente assunta dell’unità; il protestantesimo, a sua volta, si fondava sull’unicità altrettanto astratta della persona; solo l’ortodossia poteva essere intesa come sintesi di entrambi. 
Sotto l’influsso di Chomjakov, tuttavia, sia Aksakov sia Samarin abbandonarono il loro hegelianesimo e, alla pari degli occidentalisti, cessarono di occuparsi di filosofia in toto dedicandosi piuttosto alla «prassi», intesa, a differenza di Bakunin, Belinskij e Herzen, non come lotta politico-rivoluzionaria bensì come operato etico-religioso.

Mobilitazione sindacale



Da Sambuca di Sicilia a Santa Maria del Bosco. Stimoli per non restare rassegnati.

La cattedrale di Laura Boldrini
Piccoli grandi dettagli pronti per essere narrati in questo centro (Sambuca di Sicilia, borgo dei borghi 2016) dove la presidente della Camera -Laura Boldrini- ha dato una scossa alcuni mesi fà per ristrutturare la cattedrale pericolante dal terremoto del 1968: «Sorprende che una cattedrale così bella dopo tanti anni sia ancora in queste condizioni. In nessun altro Paese europeo questo sarebbe possibile. Un monumento così importante deve essere salvato. Dobbiamo valorizzare il nostro patrimonio culturale che è fonte anche di reddito...». 
Una spinta che con la corona di «Borgo dei Borghi» dovrà essere avvertita adesso dalla Regione siciliana.
Chissà se qualcuno si ricorderà che Santa Maria del Bosco, a breve distanza da Sambuca di Sicilia, versa in condizioni di irrecuperabilità, ma con elementi ancora significativi (rif. prospetto della Chiesa).

Sambuca di Sicilia. Il paese che apprezza se stesso

LA REPUBBLICA

Sambuca "borgo dei borghi" 2016: terza vittoria consecutiva della Sicilia

Nei due anni precedenti il titolo era stato assegnato a Gangi e Montalbano Elicona
E' Sambuca di Sicilia il Borgo dei borghi 2016. Il paese agrigentino, che conta meno di seimila abitanti, si è aggiudicato il titolo nel corso della trasmissione di Rai3 "Alle falde del Kilimangiaro" in onda in prima serata la domenica di Pasqua. E' il terzo comune siciliano, dopo Gangi (2014) e Montalbano Elicona (2015), a vincere la competizione che ogni anno espone in vetrina venti borghi, uno per ogni regione, scelti tra i più belli, interessanti e suggestivi del nostro Paese in collaborazione con l'Associazione Borghi d'Italia e votati dal pubblico attraverso il web-voting. Da quest'anno al voto sul web si è aggiunta una giuria formata dall'attrice Anna Kanakis, dal critico d'arte Philippe Daverio e dallo chef Hiroiko Shoda. L'annuncio ufficiale della vittoria ha entusiasmato l'intero paese agrigentino, adulti e bambini in piazza per seguire su un maxi schermo, la trasmissione Rai.

"E' un riconoscimento assai ambito per ogni amministratore e per tutti i cittadini -commenta il sindaco Leo Ciaccio- ad essere premiate non sono solo le bellezze storiche, architettoniche e paesaggistiche di Sambuca ma il lavoro di un'intera comunità. Il vero impegno inizia adesso. Abbiamo la responsabilità e il dovere di tenere alto il vessillo, di accogliere i turisti nel miglior modo possibile, di incrementare le attività economiche e artigianali e di far veicolare nel miglior modo possibile l'immagine di Sambuca al di fuori dei confini regionali. 
Un ringraziamento particolare anche ai sindaci dei paesi vicini che ci hanno dato una mano per arrivare alla vittoria finale. Sono convinto che i riflettori su Sambuca potranno fare da traino anche per il resto dei Comuni delle Terre Sicane, portando ad uno sviluppo dell'intero territorio".

Sambuca, che si trova a pochi chilometri dal mare di Menfi, da Sciacca e dal Parco archeologico di Selinunte, vanta una storia antica, che affonda le radici negli anni della dominazione araba, secondo le fonti storiche a fondarla fu l'emiro saraceno Zabut, che proprio su quella collina decise di costruire il suo castello. Della fortezza ormai non c'è più traccia, su quelle pietre è nato un terrazzo, il Belvedere, che domina la campagna circostante, di intatto è rimasto il quartiere saraceno, con le sue vie strette, cieche, tortuose, arricchite da piccoli cortili e da purrere (cave sotterranee) riportate recentemente alla luce, un gioiello di pianta urbana che ricalca perfettamente la visione dei centri storici delle città arabe.

Il nuovo Borgo d'Italia è famoso anche per le sue chiese, se ne contano una ventina, alcune delle quali sono state adibite a museo, dove si possono ammirare le opere del pittore
Gianbecchina o le originali sculture tessili di Sylvie Clavel, e poi ancora palazzi storici, il prezioso museo archeologico di Palazzo Panitteri, il teatro ottocentesco e i resti di un antico acquedotto romano. Da visitare assolutamente l'area archeologica di monte Adranone, e per chi ama la natura vale la pena fare un salto alla riserva naturale di monte Genuardo o una passeggiata lungo le sponde del lago Arancio intorno al quale sorgono rigogliosi vigneti e uliveti. 
Da assaggiare le "minni di virgini", dolce tipico di Sambuca, composto da pasta frolla, crema di latte, zuccata, gocce di cioccolato, cannella e impreziosito all'esterno dalla diavulina (palline di zucchero colorato), la ricetta risale al 1725 e fu ideata da suor Virginia Casale di Rocca Menna, in occasione del matrimonio del marchese don Pietro Beccadelli con donna Marianna Gravina.

Sicilia. Ancora un caso: esponente anti-mafia arrestato per "associazione mafiosa)

 Nell'ambito delle indagini per la cattura del boss latitante Matteo Messina Denaro, i carabinieri della Compagnia di Alcamo e di Trapani hanno arrestato il capo della famiglia mafiosa di Castellamare del Golfo, Mariano Saracino, 69 anni, e Vito Turriciano, 70 anni, Vito Badalucco, 59 anni e Vincenzo Artale, 64 anni. 
Sono accusati, a vario titolo, di associazione mafiosa, estorsione aggravata, danneggiamento aggravato, fittizia intestazione aggravata, frode nelle pubbliche forniture e furto. Ufficialmente tra i promotori dell'associazione antiracket di Alcamo, secondo le indagini Vincenzo Artale, imprenditore del calcestruzzo, era favorito dalla cosca. 
Ad Artale la mafia avrebbe garantito una posizione di forza all'interno del mercato.
(Notizia Ansa)

martedì 29 marzo 2016

Ragionare, Capire e Decidere ............... di Ipazia 29.03.2016

La scuola atomistica è l'ultimo gradino, tentativo, di cercare risposte prima che inizi l'impostazione di Socrate. Lo sforzo mira a superare le aporie suscitate dall'Eleatismo: salvare il principio di fondo, senza rinnegare i fenomeni.   

Leucippo avvicina gli atomi all'essere eleatico: essi sono "qualitativamente indifferenziati" e "geometricamente differenziati". Gli atomi sono in realtà la frantumazione dell'Essere - Uno eleatico in infiniti esseri-uno, che aspirano a mantenere quanti più caratteri possibili dell'Essere-Uno.

L'intuizione fondamentale del sistema Leucippo dovette trarla dal frammento 8 di Melisso, in cui si dice che "se esistessero i molti, questi dovrebbero essere tali quale i dico che è l'Uno" .
Leucippo rovesciò contro Melisso l'argomento, facendo di quello che nell'Eleate era un ragionamento per assurdo il fondamento del proprio sistema: i molti sono, perchè possono essere come l'Uno melissiano, possono durare sempre ed essere immutabili, ossia conformi al supremo statuto dell'essere. Non si tratta però del molteplice empirico datoci dai sensi, ma di un molteplice ulteriore, non percepibile, fondamento e ragion d'essere dell stesso molteplice sensibile.  
Filosofia18
Cosa spinge gli atomi ad aggregarsi e poi a disgregarsi ?
Gli atomi sono originariamente ed eternamente in movimento per loro stessa natura.
Come va inteso questo movimento ?

a- Il movimento originario  degli atomi, quello pre-cosmico, doveva essere concepito come uno spostarsi e un volteggiare in tutte le direzioni, come fa il pulviscolo atmosferico che si vede attraverso i raggi del sole quando filtrano dalle finestre.
b- Diverso da questo era il movimento cosmogonico, che porta alla costituzione del mondo. Si tratta di un movimento vorticoso, che, in presenza di un ampio vuoto, provoca un affluire di atomi di varia forma e di vario peso, e così si forma un vortice da cui nasce il cosmo.
c-     Infine c'è un movimento degli atomi nel cosmo, che consiste in atomi che si liberano dagli aggregati atomici e formano gli effluvi (come, per esempio, gli effluvi dei profumi).

Essendo infiniti gli atomi, infiniti devono anche essere i mondi da essi costituiti. Sono mondi diversi ma talora identici: che nascono, si sviluppano e, infine, si corrompono, senza termine.
Per gli "atomisti"  (Leucippo e Democrito) tutto si spiega in modo rigorosamente meccanico e necessario. 

Con le immagini ... ... è più facile

Dirottato un aereo Egyptair in volo da Alessandria al Cairo: a bordo circa sessanta passeggeri.

L'Occidente. E' caduto nella grande ipocrisia ?

Non c'è giornale, tv o altro media che non celebra in queste ore la caduta d "Palmira".

Che strano modo di fare informazione.
L'Occidente -se non erriamo- aveva fornito armi automatiche e Jeep all'esercito dei fondamentalisti islamici, non ha mosso un dito per farli sloggiare dalla città patrimonio dell'umanità (oggi ridotta a rovina), e adesso -a denti stretti- ammette che la Russia (Putin) ha un qualche (piccolo) merito.
Perchè mai ci siamo ridotti al punto di non gridare che ciò che accade nel Medio Oriente è stato causato dalla folle politica occidentale in Iraq, in Afganistan, in Libia, in Siria etc. ?

lunedì 28 marzo 2016

Contessa Entellina. Pasqua 2016 ed i significati per la fede e quelli per il secolo



E' passata la Pasqua 2016, quel tempo del calendario cristiano in cui protestanti, ortodossi e cattolici rievocano la fondatezza della loro fede.
La Pasqua Cristiana fonda il significato nel passaggio da morte a vita per Gesù Cristo e il passaggio a vita nuova per i cristiani, liberati dal loro egoismo con il sacrificio sulla croce e chiamati a risorgere con Gesù. 

Simbolismo
Il fuoco, il cero e l'acqua sono elementi simbolici della Pasqua cristiana
il fuoco è espressione del trionfo della luce sulle tenebre, del calore sul freddo e della vita sulla morte. 
Il cero pasquale è simbolo di Cristo, vera luce che illumina ogni uomo.
L'acqua purifica  e con essa  si compie il Battesimo

La Pasqua -in due millenni di celebrazione cristiana, e in quattro millenni di
celebrazione ebraica- ha lasciato altri  simboli "nel mondo prosaico" ovvero nella tradizione culinaria, gastronomica e culturale di tutti i popoli e di tutte le comunità. 
Siamo convinti che, per esempio gli Amministratori Comunali di Contessa Entellina ignorano ed hanno perso i significati della tradizione culinaria ed identitaria del nostro paesino se per rievocare la Pasqua Arbëresh si sono affidati a produttori di Sambuca di Sicilia  per la degustazione di  dolcini pasquali: cassatelle e pecorelle in pasta di mandorle, un modo curioso per incentivare la tradizione e la crescita, oltre che socio-economica, dell'attaccamento alla cultura minoritaria locale.
Non vogliamo farne una colpa agli amministratori locali, che pur dovrebbero sapere  se in Municipio giacciono o meno autorizzazioni in favore di pasticceri e fornai locali.
Non ne facciamo colpa, tutto va attribuito al mondo dei nostri giorni esclusivamente consumistico che spende soldi, per esempio, per la Pasqua Arbëresh, quella sicula, quella mediterranea etc, ma si riduce -dalle nostre parti- a proporre i produttori suggeriti da chi ha più voce piuttosto che dagli archivi pubblici.

Non ne facciamo colpa a nessuno perchè nei nostri giorni -basta osservare il mondo di chi si dice uomo politico o amministratore pubblico-  non esiste, nonostante i manifesti pubblicitari, alcun interesse nè verso le tradizioni, nè verso il presente e nemmeno verso il futuro e ancor meno verso la crescita socio-economica delle comunità locali. 

Un amico, riferendosi a quanto attiene alla lettera pubblicata qui accanto, mi sintetizza il senso così: tutto si è svolto come se, assurdamente, a Piana degli Albanesi si tenesse una festa pubblica, con denaro della "Besa" ma distribuendo  cannoli provenienti da Altofonte.

Conclusione amara:
Così ha sempre girato il mondo e così sempre girerà, purtroppo !