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domenica 28 febbraio 2016

La Mafia. Salvatore Lupo: "E' un incrocio di criminalità violenta, politica e affari".

La Repubblica-Palermo

PALERMO. 
Cosa è la mafia oggi? 
«È cambiata ma è cambiata meno del mondo che ha intorno. Ed è nascosta come sempre nelle pieghe della mala politica e della mala economia. Certo, nell'era corleonese si è clamorosamente palesata con i suoi misfatti. Ma quell'era è finita, la guerra non c'è più. La Repubblica italiana è uscita da quella stagione di emergenza estrema». 
Professore Salvatore Lupo è almeno dal 2000 che tutti continuano a ripetere che la mafia si è "inabissata", che è "invisibile". 
«Nel corso della sua lunga storia, la mafia ha più che altro cercato di mantenersi coperta. Ha sempre saputo che, se le autorità o l'opinione pubblica non la cercano, non la vedono neanche. A meno che non si riveli essa stessa con le armi o con le bombe, come ha fatto per un ventennio. Oggi semmai nessuno ci può più dire che la mafia non esiste. 
In passato tanti siciliani, nei ranghi della classe dirigente ma non solo, l'hanno fatto. Magari per pruderie regionalistica, perché le polemiche sul tema suonavano come un'offesa alla sicilianità. La fine di questa cultura omertosa è stata anche causata da una repressione molto forte a partire dalla metà degli anni '80. Si sono segnati risultati senza precedenti anche rispetto al molto celebrato, ma in realtà blando, periodo fascista. 
Lo dico da storico che ha studiato quelle vicende a fondo: la maggior parte degli imputati dei processi del '28 e del '29 furono oggetto di leggere condanne, ed erano già fuori nel '31 per amnistia, qualcuno andò al confino ed era già al lavoro già negli anni '30». 
Questa sua affermazione va dritta al cuore del problema. Da più parti si dice che dopo le stragi del '92 la mafia sia stata colpita ma solo nella sua struttura militare, non in quella "politica". È andata così? 
«Non mi pare che nella considerazione di questo fenomeno possa essere introdotta una distinzione così netta. La mafia è un incrocio di criminalità violenta, politica e affari. Lo era tra '800 e '900, quando i mafiosi erano uomini di fiducia dei proprietari fondiari. "Facinorosi della classe media", li chiamava Franchetti nel 1877. Lo era anche dopo, quando i mafiosi servivano da terminale periferico di macchine politico-elettorali. Non possiamo insistere su schemi dicotomici come quelli cui lei accennava. Riveleremmo un'incapacità di fondo di capire di che si tratta». 
Ci spieghi lei di che si tratta. 
«La mafia è stata sempre un potere minore rispetto a quello ufficiale dello Stato e delle élite sociali. Dobbiamo considerare l'era dei Corleonesi come una parentesi nella storia della mafia. La stagione del terrorismo mafioso è terminata, spero definitivamente. Io non posso certo prevedere il futuro, però non ci sono elementi che indichino ritorni a quel passato tragico, ve ne sono invece che indicano il contrario. Quella guerra è finita. Il numero degli omicidi in questo Paese è drasticamente diminuito, il Mezzogiorno sta nella media nazionale, in Sicilia si ammazza meno che in Lombardia. Se penso al 1991...». 
Perché proprio al 1991 ? 
«Perché quell'anno, m Italia, c'è stato il picco degli omicidi per cause riconducibili alla criminalità organizzata: 700. Praticamente quasi il doppio dei morti di violenza politica - 490 - registrati in tutti gli anni di piombo che vanno dal 1969 al 1985. L'impatto delle mafie sulla storia generale italiana è stato enorme. Poi lo Stato ha reagito».
Dunque, secondo lei, lo Stato ha vinto e la mafia ha perso. Molti però dicono che c'è una nuova mafia... 
«Sì, e allora? Questo non cancella ciò che è avvenuto: uno scontro tremendo conclusosi con l'annientamento del gruppo di comando di Cosa nostra. Si tratta di una vittoria transitoria? Ciò non toglie che sia storicamente molto rilevante. Niente trionfalismi, certo. Lo stato di salute cagionevole (uso un eufemismo) della democrazia e della morale pubblica in Italia, e in particolare in Sicilia, esclude rivolgimenti palingenetici. Però non è giusto ne utile dimenticare che questa nostra epoca è diversa da quella sanguinosa di 35 anni fa. C'è un pezzo di opinione pubblica che ragiona come se quei fatti tragici fossero avvenuti ieri, anzi che si sente come bloccata in quel passato. Vogliamo ammetterlo che tanti sforzi, tanti sacrifici - anche della vita - sono serviti a qualcosa? È paradossale e frustrante che uno dei pochi risultati conseguiti in questo Paese non sia riconosciuto».
 Chiaro, i fatti sono fatti: ma perché c'è questo rifiuto? 
«Perché l'Antimafia più generosa e ideologica non si accontenta di sapere Riina, Provenzano e soci in galera. Il risultato oggi, una volta ottenuto, appare piccolo: ma non così appariva quando sembrava impossibile conseguirlo, nel 1985 o nel 1991! 
Perché resta inappagata la nostra esigenza di buona politica e buona economia, e non troviamo un altro bersaglio che sia adeguato al nostro tempo». 
Le voci dal di dentro, già dopo il 1992, svelavano "Cose Mondiali"..
«I sistemi criminali di scala planetaria e senza volto, il complotto universale? Lasciamo perdere. Troppi osservatori ed interpreti, anche in buonafede, cadono nel mito dell'onnipotenza della mafia. Troppi danno credito ai mafiosi più o meno pentiti, che si raccontano come se ogni essere umano e ogni forza istituzionale devono essere sempre, per forza, "nelle loro mani". Questa retorica rischia di paralizzarci. La verità è che ogni mafia può essere battuta e, in gran parte, quella che abbiamo imparato a chiamare Cosa nostra è stata battuta. Fermo restando che, purtroppo, ogni vittoria può di seguito trasformarsi in sconfitta». 
Che fine hanno fatto i patrimoni accumulati con i grandi traffici? 
«Da qualche parte saranno. E saranno attivi. Come molti degli imprenditori, dei professionisti, e naturalmente dei politici, già interni alla rete mafiosa. Attivi e più liberi di muoversi in proprio, ora che i gruppi di fuoco corleonesi non li tengono più sotto il mirino. Ma non è una nuova mafia. Diciamo meglio che si tratta dei residui della vecchia». 
Come al solito bisogna seguire l'odore dei soldi. 
«E bisogna seguire anche le tracce dei trasformismi. In una ricerca sull'economia criminale coordinata dal mio collega Rocco Sciarrone dal titolo Alleanze nell'ombra, ad esempio, scopriamo che tutte le imprese top della connection mafiosa in provincia di Palermo hanno aderito ad associazioni antiracket o antimafia».

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