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venerdì 15 gennaio 2016

Terremoto Valle Belice. Terra di emigrazione prima e terra di emigrazione oggi

LA SICILIA

MARIO MATTIA*  Vita (provincia di Trapani), 14 gennaio 1968.
Da poco si è conclusa un'assemblea cittadina nella sala del Consiglio comunale e, mentre gli uomini continuano a discutere animatamente, i bambini giocano ad acchiappareddu. All'improvviso, da una della case basse che danno sulla piazza, esce un uomo che afferra per i polsi uno dei bambini e lo spinge dentro casa gridando: «Dentro, dentro, disgraziato! Dentro che c'è lu terremoto». E lo trascina dentro casa, sbarrando il portone con tutti i ferri disponibili. Chiudendo fuori il terremoto.
Questo episodio, raccontato da Lorenzo Barbera in uno dei suoi libri, ci da un'immagine quasi fotografica dell'impreparazione, direi quasi del rifiuto che l'idea stessa di terremoto generava tra la gente del Belice. Dopo le prime scosse, (susseguitesi tra le 13.30 e la serata di quella domenica di 48 anni fa) che causarono danni limitati, un terremoto di magnitudo stimata intorno a 6.1, alle 3 del mattino del 15 gennaio, si abbattè sulle case della gente del Belice, sulle loro vite, sui loro paesi, sulla loro storia e li distrusse per sempre. E distrusse anche quella ingenua speranza di tener lontano il disastro, che diventò invece una sorta di spartiacque del tempo, tanto che ancora oggi tra la gente del Belice si parla di "prima" e "dopo" il terremoto.
In generale, questo concetto vale un po' per tutta l'Italia. Tanto è vero che prima del 15 gennaio 1968 nessuno conosceva l'esistenza di Gibellina, Santa Ninfa, Montevago, Contessa Entellina, S. Margherita Belice, Vita, Salaparuta, Poggioreale. Da quella data in poi questi nomi sono entrati nell'immaginario collettivo come sinonimo di disastro. Disastro naturale e disastro sociale. I freddi numeri raccontano di una sequenza sismica durata molto a lungo. La scossa principale fu preceduta da una serie di eventi minori iniziatisi domenica 14 gennaio, di cui quattro con magnitudo compresa fra 4.7 e 5.1, e seguita da altri 79 eventi, con una forte replica di magnitudo 5.8 il 25 gennaio.
Dalla fine di gennaio al primo giugno dello stesso anno furono registrati dall'Università di Messina altri 65 terremoti con magnitudo superiore a 3, e circa un migliaio di repliche con magnitudo 2. La disastrosa sequenza interessò l'area compresa tra le province di Agrigento, Trapani e Palermo, comunemente definita col termine di Valle del Belice, provocando danni in numerosi comuni della Sicilia centro-occidentale (quindici in totale). Dei quindici paesi interessati, dieci furono quelli maggiormente colpiti e, fra questi, quattro furono completamente distrutti: Gibellina, Montevago, Salaparuta e Poggioreale. Gli altri paesi in cui si riscontrarono le più alte percentuali di danni furono Santa Ninfa, Santa Margherita Belice, Partanna, Salemi, Menti, Contessa Entellina, Vita e Camporeale; mentre danni minori si ebbero a Roccamena, Castelvetrano e Sambuca. La dolorosa conta delle vittime racconta di 352 morti e 576 feriti. I senzatetto furono 55.700. Ancora oggi il problema relativo all'individuazione delle faglie responsabili di quella sequenza sismica non è definitivamente risolto e solo recentemente, anche grazie all'uso di tecniche di indagine satellitare (InSAR e GPS) e grazie all'esecuzione di profili sismici ad alta risoluzione in mare, si è proceduto a un'analisi multidisciplinare che comincia a dare i suoi frutti. Anche perché non è molto lontana dalla Valle del Belice, la città di Selinunte, distrutta per ben due volte da forti terremoti (IV secolo a. C. e IV-V1 secolo d. C).
Da qui in poi questa triste storia smette di essere competenza di geofisici e gestori dell'emergenza e diventa materia per fiumi di inchiostro spesi su leggi, regolamenti, giornali, interrogazioni parlamentari, atti di commissioni d'inchiesta, libri e progetti di ricostruzione. Riuscire a ricavare numeri certi per la ricostruzione è pressoché impossibile perché, di fatto, è ancora in corso oggi, a 48 anni dalla sequenza sismica. Solo fino al 1990 gli stanziamenti ammontavano alla cifra di 7.932,6 miliardi di lire (circa 4 miliardi di euro). In questa somma sono contabilizzati anche i costi per le molteplici infrastrutture destinate all'intera Sicilia Occidentale. Il capitolo della ricostruzione, purtroppo, è un dramma dal quale tuttora si fatica a tirarsi fuori. Il Belice, a 48 anni da quell'evento è profondamente diverso, ma è ancora terra dove i giovani preferiscono l'emigrazione e dove la parola "sviluppo" assomiglia a un'irraggiungibile chimera. Se uno spazio c'è per la speranza, questo è legato alle immense potenzialità turistiche della zona, dotata di splendide attrattive naturali e di veri e propri musei a cielo aperto (la Gibellina del sindaco-mecenate Ludovico Corrao con le opere di Consagra e Schifano, o le architetture di Quaroni e Purini, o ancora il Cretto di Burri - immenso sudario di cemento sul vecchio paese di Gibellina realizzato dall'artista umbro Alberto Burri) e dall'impetuoso affermarsi a livello mondiale di vini di eccellente qualità originari di questo lembo di Sicilia tanto martoriato quanto meraviglioso. 

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