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venerdì 29 gennaio 2016

Enti Locali. C'è chi pensa che i piccoli comuni non servano ad altro che erogare ... indennità di cariche

ITALIA OGGI

Cambia la geografia. Si cancellano i piccoli Comuni. Dopo le Province tocca a loro. C'è già una prima della classe. E' la Regione Emilia Romagna dove ben 22 Comuni si sono fusi nel 2015 e altri 18 lo stanno per fare. Tanto che il presidente della Regione, Stefano Bonaccini, ha cantato vittoria su Twitter. Matteo Renzi lo ritiene tra i provvedimenti necessari per razionalizzare il sistema amministrativo. La legge sulla spending review prevede bonus di vario tipo per chi si unisce. A cui si aggiungono delibere approvate in alcune Regioni. 
I Comuni, tra bastone e carota, stanno passando da 8.046 a meno di ottomila. Un'ulteriore accelerata è attesa nel 2017. Non è ancora la sforbiciata che vuole Renzi ma è un primo passo poiché chi ha pochi abitanti non riesce a sostenere i costi di taluni servizi. Il colpo di grazia dovrebbe avvenire con la proposta di legge di una ventina di deputati Pd, capeggiati da Emanuele Lodolini, in arrivo in parlamento. Prevede la fusione obbligatoria dei Comuni sotto i 5000 abitanti. Si tratterebbe di un colpo di spugna sull'Italia dei piccoli Comuni: ne sparirebbero 5562. Ovviamente si fronteggiano favorevoli e contrari. C'è chi ha già contratto matrimonio e sembra felice: per esempio in provincia di Rimini è nato il Comune unico di Montescudo-Monte Colombo, a Trento quello di Amblar-Don e di Dimaro-Folgarida, a Brescia è la volta di Biennio-Prestine, a Pavia di Corteolona-Genzone. 
Della faccenda degli accorpamenti, che è una piccola rivoluzione considerando storia e tradizioni italiane, se ne sta parlando a Firenze, con la due-giorni (incominciata oggi) del forum «Città metropolitane, il rilancio parte da qui» (promosso dall'Anci, l'associazione dei Comuni). Ovvero Comuni meno piccoli possono contare di più in una programmazione territoriale che vedrà protagoniste le città metropolitane insieme alle Regioni (si spera senza troppi conflitti). 
La forza delle città metropolitane (che dovrebbero supplire alla sparizione dei piccoli Comuni) è illustrata in una nota dell'Anci: le città metropolitane di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Bari, Napoli, Reggio Calabria, Palermo, Catania, Messina e Cagliari coinvolgono il 36% della popolazione, generano oltre il 40% del valore aggiunto e il 28% delle esportazioni, raccolgono il 35% delle imprese e il 56% delle multinazionali insediate nel paese e sono la sede di 55 atenei universitari e di circa la metà delle startup innovative. Il convegno si svolge a Firenze (Palazzo Vecchio) e proprio in Toscana, in provincia di Arezzo, ben tré Comuni sono sulla strada dell'unione: Chiusi della Verna, Chitignano e Castel Focognano. Se il referendum che è stato indetto dai tre consigli comunali dirà sì, nascerà un unico Comune con 6 mila abitanti. Renzi aveva previsto in un primo tempo l'obbligatorietà dell'accorpamento dei servizi, un modo per spingere i piccoli Comuni all'aggregazione. Poi nella legge milleproroghe il diktat è slittato al primo gennaio del prossimo anno. Dice Matteo Ricci, sindaco di Pesaro e vicepresidente dell'Anci: «Vanno definiti bacini omogenei per la gestione assodata dei servizi, a prescindere dalle dimensioni dei Comuni coinvolti, per arrivare a un riassetto complessivo del governo territoriale. Siamo pronti a contribuire a scrivere con il governo una legge che metta insieme i Comuni per davvero, in maniera efficace ed efficiente». 
Aggiunge Massimo Castelli, coordinatore Anci per i piccoli Comuni: «L'impasse normativa in cui versano i piccoli Comuni ha dimostrato che l'unione obbligatoria dei servizi non funziona in molte parti del Paese. E chiaro che questa situazione blocca il processo invece di portarlo avanti, così com'è chiaro che l'obbligatorietà per legge è servita a far metabolizzare la necessità per i Comuni di unire le forze e diventare più forti. Ora però facciamo scegliere ai sindaci il come». 
Nessun dubbio che ci sia bisogno di por mano a un ridisegno del mosaico comunale. Una Regione come la Lombardia (10 milioni di abitanti) deve rapportarsi addirittura con 1.528 Comuni. E i quasi seimila Comuni (in Italia) con meno di 5 mila abitanti non riescono ormai a fare i bilanci. Però il fronte dei contrari è piuttosto numeroso. Qualche esempio. Il sindaco di Stazzema (Lucca), Maurizio Verona, ha scritto ai parlamentari Pd che hanno presentato la proposta di legge per rendere obbligatoria la fusione tra i Comuni under 5.000: «La storia dell'Italia si fonda su quella dei Comuni e i confini comunali sono spesso il frutto non tanto di astratte divisioni territoriali ma di una storia di comunità diverse: nonostante il passare degli anni, il Comune con le sue istituzioni resta il presidio della democrazia di un territorio già colpita dal taglio dei consiglieri comunali e quindi della rappresentanza». Al presidente della Camera, Laura Boldrini, ha scritto invece il sindaco di Bassiano (Latina), Domenico Guidi: «Ho letto i 3 miseri articoli con cui i parlamentari firmatari, vorrebbero di colpo cambiare la geografia dei Comuni d'Italia.... Un'iniziativa sciagurata e deplorevole che porterebbe i nostri territori allo sconvolgimento pressoché totale». Mentre a Spilamberto (Modena) è incominciata una raccolta di firme contro l'accorpamento dei Comuni. C'è però anche un sindaco di un piccolo Comune, San Giovanni Lupatoto (Verona), Federico Vantini, (fa parte della direzione nazionale Pd), che è convinto che l'accorpamento sia la medicina giusta: «E evidente che la situazione dei Comuni è critica. Serve un indirizzo chiaro, che semplifichi il sistema degli enti locali, è impossibile permettersi più di ottomila Comuni. L'unione oggi è facoltativa, occorre un atto forte del governo, che superi i campanilismi e incentivi la fusione con un patto pluriennale che permetta subito ai Comuni che si uniscono di investire in opere pubbliche e servizi ai cittadini». 

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