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mercoledì 14 ottobre 2015

Uomini, fatti, eventi. Come li ricordiamo oggi

14 Ottobre
Hannah Arendt
“una vita senza ricerca non è degna di essere vissuta” (Apologia 30 e 38).
 La figura e l’opera di questa pensatrice (nt. il 14 Ottobre 1906) possono costituire una esempio eloquente della possibilità di un felice connubio fra contemplazione e azione, tradizione e innovazione. Nel 1951 pubblica il fondamentale “Le origini del totalitarismo”, frutto di un’ accurata indagine storica e filosofica. Particolarmente interessante risulta essere l’analisi della cosiddetta “ideologia”, intesa come uso indebito della facoltà razionale umana e perciò crogiolo potenziale di ogni dinamica totalitaria. Nel 1961, in qualità di inviata del settimanale “New Yorker”, assiste in Israele al processo contro il gerarca nazista Eichmann. Il resoconto di questa esperienza viene inizialmente pubblicato a puntate sulla rivista e successivamente proposto in forma unitaria nel 1963, con il titolo “La banalità del male, Eichmann in Gerusalemme”. 

Famoso il giudizio …“Non era stupido, era semplicemente senza idee[...]. Quella lontananza dalla realtà e quella mancanza di idee, possono essere molto più pericolose di tutti gli istinti malvagi che forse sono innati nell’uomo. Questa fu la lezione di Gerusalemme. Ma era una lezione, non una spiegazione del fenomeno, né una teoria. ” (La banalità del male).

 Le origini del totalitarismo “, sua principale opera, è pubblicato nel 1951, data centrale della guerra fredda. Il periodo fu determinante per un’accoglienza difficile e contestata dell’opera. L’assimilazione di nazismo e stalinismo, infatti, impedì allora una lettura serena dell’opera da parte dell’intellettualità di sinistra, per la quale la Arendt per molti anni sarebbe rimasta l’esponente di un pensiero politico liberale e neo-conservatore.

Il pensiero.
Il totalitarismo. E’, secondo A. un fatto nuovo del nostro secolo, non assimilabile o riducibile ai tradizionali regimi tirannici o dittatoriali. Esso nasce dal tramonto della società classista, nel senso che l’organizzazione delle singole classi lascia il posto ad un indifferenziato raggrupparsi nelle masse, verso le quali operano ristretti gruppi di élites, portatori delle tendenze totalitarie. Tali tendenze, dopo la vittoria politica sulle vecchie rappresentanze di classe, realizzano il regime totalitario, che ha i suoi pilastri nell’apparato statale, nella polizia segreta, e nei campi di concentramento nei quali si rinchiudono e si annientano gli oppositori trasformati in nemici.
Attraverso l’imposizione di una ideologia (razzismo, nazionalsocialismo, comunismo) e il terrore, il totalitarismo, identifica se stesso con la natura, con la storia, e tende ad affermarsi all’esterno con la guerra. Nulla di simile era apparso prima: il totalitarismo é un fenomeno ” essenzialmente diverso da altre forme conosciute di oppressione politica come il dispotismo, la tirannide e la dittatura… esso ha creato istituzioni assolutamente nuove e distrutto tutte le tradizioni sociali, giuridiche e politiche del paese. A prescindere dalla specifica matrice nazionale e dalla particolare fonte ideologica, ha trasformato le classi in masse, sostituito il sistema dei partiti non con la dittatura del partito unico ma con un movimento di massa, trasferito il centro del potere dall’esercito alla polizia e perseguito una politica estera apertamente diretta al dominio del mondo…
Le tesi della Arendt, verranno anche ampiamente discusse nel dibattito teorico che ha impegnato nei successivi decenni i pensatori politici europei e statunitensi. Il destino delle persone senza patria ha dimostrato, che i diritti umani universali che sembravano appartenere agli individui, potevano solo essere reclamati da cittadini di uno stato. Pertanto, per chi era fuori da questa categoria, i diritti inalienabili della persona erano senza significato. Ne sono un esempio gli ebrei che, non avendo uno stato in cui identificarsi come popolo, ed un territorio definito in cui poter vivere, sono stati privati, come apolidi, del diritto di cittadinanza, e con esso di una tutela giuridica come soggetti di personalità. Promulgando le leggi razziali di Norimberga, i nazisti crearono una “razza” perché crearono un gruppo d’uomini privi di diritti e differenti sul piano giuridico. L’antisemitismo del Novecento ha sostituito all’odio religioso di altri tempi il rifiuto della differenza, il rifiuto di accordare il rispetto all’altro. L’esempio tedesco mostra che il totalitarismo corrompe la società fino al midollo. Arendt conclude dicendo che il problema tedesco non è caratteristico dei tedeschi, bensì delle società comandate dal totalitarismo, e potrebbe essere risolto solo in un’Europa federale se si riuscirà. Oggi sappiamo che Arendt ha visto bene come l’integrazione in una Europa unita possa risolvere i problemi dell’intolleranza e della lotta fratricida.
La vita Emigrata negli Stati Uniti, (da cui ottenne la cittadinanza) a causa delle persecuzioni razziali, rifiutò comunque di essere considerata come filosofa. La sua  famiglia appartenente alla borghesia ebraica, ma senza  legami con il movimento e con le idee sioniste. A Königsberg, dove nel frattempo la famiglia si è trasferita, consegue nel 1924 l’“Abitur”, la maturità. Si iscrive  all’Università di Marburg, dove  studia la fenomenologia sotto la guida di  Husserl e incontra un docente destinato a diventare uno dei pensatori più importanti del XX secolo: Martin Heidegger. Con il filosofo tedesco Hannah intratterrà un rapporto personale intenso, che la coinvolgerà sotto diversi aspetti, anche sentimentali, per l’intero arco della vita e con il quale intratterrà un epistolario intenso ed importante. Dopo la seconda guerra mondiale si riconciliò con Heidegger e testimoniò in suo favore durante un processo in cui lo si accusava di aver favorito il regime nazista.
Dopo l’avvento al potere del nazionalsocialismo e l’inizio delle persecuzioni razziali, Hannah abbandona la Germania nel 1933 attraversando il cosiddetto “confine verde” delle foreste della Erz. Passando per Praga, Genova e Ginevra giunge a Parigi, dove conosce e frequenta, tra gli altri, lo scrittore Walter Benjamin, e il filosofo e storico della scienza Alexander Koiré. Ma il  secondo conflitto mondiale costringono Hannah Arendt  ad abbandonare anche il suolo francese: internata nel campo di Gurs dal governo Vichy, in quanto “straniera sospetta” e poi rilasciata, dopo varie peripezie, riesce a salpare dal porto di Lisbona alla volta di New York, che raggiunge insieme al coniuge nel maggio 1941. Fino al 1951, anno in cui le verrà concessa la cittadinanza statunitense, rimane priva di diritti politici.
Il periodo americano inizia in maniera non certo facile: alle iniziali difficoltà economiche si aggiunge l’impegno, faticoso, dell’apprendimento di una nuova lingua su cui scriverà note di grande approfondimento, anche su problemi della traduzione. E’ proprio nel nuovo mondo che Hannah ha modo di creare nuove amicizie, e di scrivere opere importanti, che le permettono di acquisire autorevolezza e notorietà come intellettuale e pensatrice politica.

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