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mercoledì 29 aprile 2015

Matteo Renzi. Una sua lettera al Direttore de La Stampa: La verità, vi prego sull'Italicum



Caro Direttore, 
il dibattito sulla nuova legge elettorale è molto acceso. Credo che i toni dipendano in larga parte da un giudizio duro e molto diviso sull’azione mia e del governo che presiedo. Rispetto naturalmente ogni diversa valutazione. Ma credo che sia un mio dovere tornare al merito della legge: la verità, vi prego, sull’Italicum.

La verità, fuori dalla rappresentazione drammatica di chi grida all’attentato alla democrazia. O di chi considera fascista la scelta di mettere la fiducia sulla legge elettorale, ignorando che fu Alcide De Gasperi a farlo, affidandone le ragioni in Parlamento all’arte oratoria di Aldo Moro: due grandi democratici, due grandi antifascisti. La verità, solo la verità, sull’Italicum.
Questa legge elettorale prevede un ballottaggio come per i sindaci, anche se la percentuale necessaria ad evitarlo scende al 40%. Attribuisce 340 deputati a chi vince le elezioni, al primo o al secondo turno, consentendo dunque un piccolo margine di sicurezza nell’attività parlamentare. Più o meno la metà degli eletti sarà espressione di un collegio grande poco meno di una provincia media e l’altra metà verrà eletta con preferenze: al massimo due, di cui una donna. Per venire incontro alle richieste di minoranze e anche di alcuni partiti di maggioranza, la soglia di sbarramento è stata abbassata al 3% (in Germania per intenderci è al 5%).
Il premio viene attribuito alla lista vincente, non più alla coalizione: con questo atteggiamento speriamo di arrivare a un compiuto bipolarismo. Il mio sogno è che in Italia si sfidino due partiti sul modello americano, Democratici e Repubblicani. 
Ma in ogni caso, indipendentemente dai sogni, si impedisce di rifare le solite ammucchiate elettorali chiamate coalizioni che il giorno dopo si sciolgono come neve al sole: chi di noi ha votato l’Unione nel 2006 – una coalizione che andava da Mastella e Dini a Bertinotti e Turigliatto – ne ricorda la tragica fine. Ma analogo potrebbe essere il giudizio sull’esperienza della Casa delle Libertà due anni dopo. Torneremo a vedere i candidati sul territorio; torneremo a fare campagne elettorale tra persone sui collegi e non solo nei talk-show; torneremo dopo anni a scegliere le persone e, finalmente, la sera stessa del voto sapremo chi ha vinto.

Rottamato il cosiddetto Porcellum (perché l’ultima legge elettorale approvata da chi oggi grida al fascismo è stata definita dal suo ideatore una «porcata»), mandiamo in soffitta anche il desiderio strisciante di un neocentrismo consociativo teso a mantenere per sempre il proporzionale puro uscito dalla Corte Costituzionale, riservando ai gruppi dirigenti la scelta di governi costanti di grande coalizione.
L’Italicum non sarà perfetto, come nessuna legge elettorale è perfetta. Ma è una legge seria e rigorosa che consente all’Italia di avere stabilità e rappresentanza, che cancella le liste bloccate, che impone la chiarezza dei partiti davanti agli elettori. Soltanto uno potrà dire di aver vinto: non come adesso quando, dopo i primi risultati, tutti affollano le telecamere per cantare il proprio trionfo.
Abbiamo messo la fiducia perché dopo aver fatto dozzine di modifiche, aver mediato, discusso, concertato, o si decide o si ritorna al punto di partenza. Se un Parlamento decide, se un governo decide questa è democrazia, non dittatura. Se il Parlamento rinvia, se il governo temporeggia, il rischio è l’anarchia. È una grande lezione del miglior pensiero costituzionale di questo Paese, non è necessario aver fatto la tesi su Calamandrei per saperlo.
La nuova legge elettorale è stata promessa nel 2006, ma purtroppo non si è realizzata.
È stata promessa nella legislatura successiva e non portata a termine né durante il governo Berlusconi, né durante il governo Monti: tante trattative e poi nulla di fatto.
È stata promessa nella legislatura successiva dal governo Letta, ma il suo iter si bloccò quasi subito, impantanata come altri progetti.
Adesso ci siamo: approvata in prima lettura alla Camera, in seconda al Senato, poi in Commissione alla Camera. Discussa in Parlamento e nelle sedi dei partiti. Approvata da Forza Italia nella stessa versione che oggi viene contestata. Modificata più volte, ma adesso finalmente pronta.
Che facciamo? Facciamo altre modifiche per ripartire da capo?
La legge elettorale perfetta esiste solo nei sogni: decidiamo o continuiamo a rimandare?
Mettere la fiducia è un gesto di serietà verso i cittadini.
Se non passa, il governo va a casa. Se c’è bisogno di un premier che faccia melina, non sono la persona adatta. Se vogliono un temporeggiatore ne scelgano un altro, io non sono della partita.
Se passa, significa che il Parlamento vuole continuare sulla strada delle riforme. Per come li ho conosciuti la maggioranza dei deputati, la maggioranza dei senatori hanno a cuore l’Italia di oggi e quella dei nostri figli. E se lo riteniamo necessario ci sarà spazio al Senato per riequilibrare ancora la riforma costituzionale facendo attenzione ai necessari pesi e contrappesi: nessuna blindatura, nessuna forzatura.
Con lo scrutinio palese – imposto dal voto di fiducia – i cittadini sapranno. Sapranno chi era a favore, chi era contro. Tutti si assumeranno le proprie responsabilità. Il tempo della melina e del rinvio è finito. C’è un Paese che chiede di essere accompagnato nel futuro, sui temi più importanti della vita delle famiglie. Se non riusciamo a cambiare la legge elettorale dopo averlo promesso ovunque, come potremo cambiare il Paese? La politica ha il compito di dimostrare che può farcela, senza farsi sostituire dai governi tecnici e dalle sentenze della Corte. Occorre coraggio, però. E questo è il tempo del coraggio. Alla Camera il compito di decidere se è il nostro tempo. Ma a scrutinio palese, senza voti segreti, assumendosi la propria responsabilità.

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