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venerdì 4 aprile 2014

Sicilia. Dalle tre Valli, alle Province, ai ... Liberi Consorzi - n. 1

E' di poche settimane fa l'abolizione delle Province nella Regione Sicilia ed è di pochi giorni l'analoga abolizione delle Province nel resto dei territori italiani.
Ci  proponiamo una breve rievocazione storica solamente sulla Sicilia dello Statuto Speciale.

Già nel tardo antico (periodo bizantino) l'isola non era una realtà sociale ed economica unica. Continuerà a differenziarsi ancora con il dominio arabo che imprimerà -in talune aree-  una agricoltura moderna (per allora) con l'introduzione di nuove colture e di impianti idrici.
L'identità fra siciliani orientali ed occidentali sarà ulteriormente differenziata con il Regno normanno. La tripartizione dell'isola in
-Val Demone,
-Val di Mazara,
-Val di Noto,
più che una diversità politico-amministrativa rispecchia in verità una identità molto diversa fra le popolazioni siciliane, plasmati dai diversi assetti fondiari (latifondi e colture estensive in Occidente e colture più intensive ad Oriente), dai retaggi delle tradizioni etnico-culturali (popolazione greco-bizantina ad est e prevalenza di popolazione araba su quella bizantina ad ovest).
La Sicilia Una e Multipla permarrà tale ancora ai primi dell'Ottocento quando il governo riformista borbonico abolirà la ripartizione amministrativa in tre valli ed istituirà per la prima volta le "Province".
Saranno sette le iniziali province siciliane, enfaticamente denominate Reali Dominii al di là del Faro: Provincia di Palermo (Palermo); Provincia di Messina (Messina); Provincia di Catania  (Catania); Provincia di Girgenti (Girgenti); Provincia di Noto (Noto); Provincia di Trapani (Trapani); Provincia di Caltanissetta (Caltanissetta).
Le nuove ripartizioni borboniche contribuiranno non ad unificare i modelli di vita nell'isola ma ulteriormente accresceranno interessi "particolari" che non faranno altro che dissociare ulteriormente un contesto territoriale da un altro.
La "Sicilia profonda" continuerà a chiudersi non tanto attorno al capoluogo di provincia ma all'interno dei territori baronali che, grazie alla riforma avviata da Caracciolo e proseguita con la Costituzione del 1812,  verranno sottratti -sul piano amministrativo- ai signori e affidati ai "civili" del luogo. 
I comuni, sorti dalle ceneri delle baronie, accresceranno il loro isolamento e la loro "sicilianitudine". 
La terrificante "insularità" culturale di gattopardesca memoria fa sembrare ogni realtà comunale uno "stato".
A chi scrive fa impressione ancora oggi sentire a modo di saluto da amici di Sambuca di Sicilia "Che si dice nello stato di Contessa ?", e poi continuano "paghiamo l'Imu per le case delle campagne dello Stato di Cuntissa ma non abbiamo alcun servizio dal vostro Stato".
Un embrione di unificazione culturale e di unificazione linguistica comincia -con le riforme borboniche- solamente a configurarsi attorno alle "capitali" di sempre Palermo, Catania e Messina.
In queste ultime realtà il governo riesce pure a rettificare i confini comunali a beneficio delle tre città e ai danni dei comuni meno popolati.
La modifica dei confini (su cui insiste la giurisdizione amministrativa) rimarrà impossibile nella "Sicilia profonda" dove ogni comune intende mantenere la giurisdizione su tutti i feudi  precedentemente dipendenti dalle baronie. A salvaguardia dell'integrità territoriale incombevano minacce di vere e proprie guerre fra "stati"
(segue) 

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