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mercoledì 30 aprile 2014

I° maggio a Portella della Ginestra

Domani, festa del Primo maggio che, come ogni anno, su iniziativa della Cgil si terrà a Piana degli Albanesi con un corteo e un comizio sul luogo della strage a Portella della Ginestra, il segretario della Camera del Lavoro-Cgil di Palermo, Maurizio Calà, in risposta all'invito del premier Matteo Renzi di togliere il segreto di Stato sulle stragi impunite d'Italia, chiederà di fare luce proprio sull'eccidio del 1° maggio 1947 di Portella.

Enti Locali. Il governo regionale assicura che i problemi dei comuni sono al vaglio della Giunta

l 5 maggio gli amministratori degli enti locali dell'isola isceneranno una manifestazione di protesta contro i tagli al fondo per le autonomie ed i ritardi nel pagamento dei "trasferimenti" messi in atto da qualche tempo dal governo Crocetta.

Il presidente Rosario Crocetta ha definito la manifestazione «inutile e pretestuosa» stante che la giunta regionale ha già preso in esame la situazione degli enti locali. 
La Regione avrebbe già  in corso i pagamenti della quarta trimestralità dell' anno 2013. Sulla prima del 2014 invece il ritardo «è stato generato dalla necessità di salvare circa 41 Comuni». 
Da una verifica curata dall' assessorato alle Autonomie locali sarebbe emerso che ben 41 comuni si troverebbero quest' anno, senza un approfondimento dello stato dare/avere, nella situazione di andare in dissesto perché in relazione alla loro situazione debitoria nei confronti della Regione non potrebbero ricevere trasferimenti. 

La Regione, assicura il Presidente Crocetta, "si sta adoperando e intende proporre domani un piano per il salvataggio dei Comuni".

Ricordo della visita del Papa Giovanni all’Abbazia di Grottaferrata ... ... di Nicola Graffagnini

Quando si dice , il miracolo della indicizzazione,  il sistema  che consente la  ricerca  sui siti o su FB indicando  parole chiave,  ha fatto sì che l'altro giorno,  un mio amico il giornalista e poeta Fabrizio Giusti che  si occupa  del Mamilio , Blog ufficioso   del comune  di Grottaferrata,  mi abbia inviato  un messaggio  su FB  chiedendomi il permesso di  postare sul Mamilio ,  il mio articolo di  testimonianza sulla visita  del Papa  a Grottaferrata nell'Agosto del  1960 .
Sinceramente me ne ero dimenticato  e avendogli  chiesto  di mandarmelo  appena l'ho ricevuto nel contenitore  del Contessioto , l'ho riletto con curiosità  e mi è piaciuto  per la semplicità dello scritto  pensando di  riproporlo di nuovo  ai lettori.
Nicola Graffagnini

Ricordo della visita del Papa Giovanni  all’Abbazia  di Grottaferrata
 Ricorreva  il 3 Giugno  scorso , il cinquantenario  della morte  di Papa Giovanni  XXIII , detto il  Papa Buono  proclamato Beato  il 3.09.2000 da Papa  Giovanni Paolo.
 In questi giorni  lo si ricorda  con vari   eventi , noi lo vogliamo ricordare  con un ricordo personale  e  con due piccole notazioni che lo avvicinano, in modo straordinario al Papa Francesco : la sua grande umiltà ed umanità  nel rivolgersi  subito al popolo di Roma  con parole  semplici  e  con la sua porta aperta a tutti durante  il  Patriarcato di Venezia.
Se  poi  vogliamo andare  alla   sua storia personale di diplomatico in tempo di guerra, dalla Bulgaria a Istanbul  a Parigi, emerge  da ogni racconto dei testimoni dell’epoca, la sua ansia e la sua determinazione .per  la liberazione  di migliaia e migliaia di deportati nei carri bestiame diretti verso i lager nazisti,  per non parlare  della  sua decisiva mediazione  di Pace tra  Kruscev e Kennedy nei giorni della guerra di Cuba  di quel lontano 1960  in cui il mondo stava contando le ore  che poteva separarlo dalla  terza guerra mondiale , da cui nacque l’idea  della Enciclica <   Pacem in terris >

Un giorno  in Abbazia ,  circolò una notizia  speciale ,  tra qualche giorno il Papa buono , Papa Giovanni XXIII   che stava mettendo le basi del Concilio Ecumenico Vaticano II°  sarebbe venuto a visitare l’Abbazia Greco-Bizantina.
 In  verità   da  alcune settimane  avevamo assistito  ad un via vai  di incontri   di inviati dei Patriarcati più grandi  di Mosca , Costantinopoli ed Atene  e vari minori  con gli  omologhi  del Cardinale Agagianan , Presidente del Pontificio Collegio per l’Ecumenismo   che  aveva  fatto  ormai di Grottaferrata  la sua base operativa per i vari incontri preparatori  con i futuri Osservatori Ufficiali del  Concilio  per  le Chiese Ortodosse d’Oriente .
Mi ricordo  che  ci buttammo  nelle  pulizie straordinarie  dei corridoi   e di tutti gli ambienti  aperti al pubblico  del Seminario, a partire dal piano nobile  .
E  arrivò  il grande giorno,   noi Seminaristi  e  i Probandi,  cioè aspiranti Monaci di S.Basilio,   lo attendevamo schierati   da un lato e dall’altro del corridoio del Piano Nobile  … ove  avevano sede  gli Uffici del Priore  del Monastero e dell’Archimandrita  dell’Abbazia   e una serie di  stanze riservate  ai  più anziani,  come quella  di Padre Lorenzo Tardo, ancora in vita ,  musicologo di fama internazionale   e alcune chiuse  come quella  del fratello di mio nonno, Don Sofronio Gassissi, Fondatore e Direttore di Oriente Cristiano  e  della Biblioteca  e già Priore del Monastero.
Scavalcando il Programma della visita  e lasciando l’Archimandrita Teodoro Minisci   quasi  basito perché  era  pronto già a riceverlo nella sua stanza,  il Papa   quasi ignorandolo , prosegui   incamminandosi subito  nel corridoio  verso di noi, dichiarando ad alta voce che voleva conoscerci  uno per uno,  noi Seminaristi e probandi  e mi ricordo come se fosse ieri  che pur essendo di bassa statura,  con quelli con cui ci riusciva  imponeva le mani sul capo,  chiedendo nel contempo il nome  e a volte scambiava qualche parola  informandosi sulla  provenienza con molta bonomia   da  vero Parroco di campagna  .
Arrivò a passare dalle mie parti , a metà del corridoio e mi ricordo  che anche  a me impose  le mani  chiedendomi  il nome , era seguito da presso dal Direttore Padre Valerio  e dalla lunga barba del Card. Agagianan, colui che  per l’incarico ricoperto in Curia , doveva favorire  il dialogo  con le Chiese sorelle dell’Ortodossia  e naturalmente  noi   eravamo  i futuri sacerdoti e  pontieri  tra le due Chiese,  anche se la fede cristiana  è unica  e il nostro Rito Greco-Bizantino, stava lì proprio a dimostrarlo  e per questo  divenne in quei  giorni  una specie  di vetrina   da   ammirare   durante il Concilio  Ecumenico,  lustra  e pulita  per  far vedere  in quale  rispetto era tenuta  la minoranza religiosa   in Italia .
 Mi ricordo  che un’altra occasione per vederlo da vicino fu il momento del pranzo consumato  nell’enorme Refettorio   che a me dava l’impressione  di una Chiesa più  che di un refettorio,   grazie a quella lunga  fila   di tavoli e sedie  simili ai lunghi Cori delle Chiese  importanti . 
Infatti al passaggio della torta  a me che servivo  col carrello e  un  collega ,  ci toccò di passare   con i piatti delle  torte   per il tavolo numero uno,  ove c’erano seduti soltanto   pochi Cardinali e il Papa   e noi due eravamo così emozionati  che il Papa e Agagianan sempre vigile,  se ne accorsero  e ci chiesero la nostra età,   io dissi  la mia :  <  quattordici  >  e loro fecero finta  di non crederci  per  sollecitarmi  nell’autostima, quasi a dirmi : <   ne dimostri di più> .e in effetti  guardando le foto  di quell’anno  si nota che stavo  sviluppando in altezza .!! 
 E finalmente finito il pranzo  , anche noi che avevamo servito per tutto il tempo,   potemmo ritirarci  in cucina  ove  c’era  la grande   ruota  che ci collegava  alla  vera cucina delle suore  e richiedere  più volte  dei  bei pezzi di torta   con cui   per quel giorno pranzammo ..  da  Papi .
Che cosa dire  del Papa Giovanni XXIII   di cui  ricorre il 3 Giugno  il cinquantesimo  della  morte  , dopo soli cinque anni dalla sua elezione  avvenuta il 28.10.1958 .  
Nei primi giorni  venne considerato  un Papa di transizione ., infatti  nel Conclave  vi erano state  indicazioni  contrapposte che  non avrebbero sortito nessun risultato valido   e quindi  nell’attesa  di migliori  eventi   si decise   di  ricorrere ad  una figura  di un Cardinale , già avanti negli anni ,  senza  grande  visibilità  internazionale  che potesse spianare la strada  poi ad un Papa Italiano , dal temperamento determinato,  si racconta  che  uno dei  contendenti  al seggio Pietrino  fosse  proprio lo stesso Agagianan che  riscosse  dei voti ma insufficienti   alla bisogna .
Ma  il Papa buono  non  si rivelò  tal quale indicato negli schemi della Curia romana , infatti fin dalle prime battute  al popolo di Roma  e ai genitori , raccomandandoli   di  fare una  carezza   ai piccoli tornando a  casa ,  dimostrò subito grande umanità  nella comunicazione ma anche una  forte determinazione,  infatti da lì a qualche mese,  fra lo stupore  della parte conservatrice  della Curia Romana , indisse  un Concilio Ecumenico  e di fronte  ai tempi lunghi organizzativi prospettati dai   Cardinali di Curia molto conservatori, il Papa assunse  nelle sue stesse  mani  il programma e l’organizzazione , così che  in soli  sei mesi  riuscì  a  completare  tutta la fase preparatoria  per dar seguito  all’evento del Concilio  dall’indomani .
 Gli effetti del Concilio si sarebbero prodotti negli anni successivi , come avviene nei corpi sociali complessi  e  vasti come è la Chiesa Universale che abbraccia i  cinque Continenti , dando al cattolicesimo moderno  gli effetti visibili   con la riforma liturgica  ( la Messa  non più in latino ma nelle varie lingue  del luogo   col Sacerdote rivolto verso  il popolo ) in un nuovo ecumenismo e in nuovo approccio al mondo  e alla modernità   di cui Giovanni Paolo e  oggi Papa Francesco  rappresentano, nella continuità ,  gli interpreti fedeli  .
Per quanti si recano  a Sotto il Monte  per visitare i luoghi natali del Papa buono,  il novantenne Segretario  Mons. Loris Capovilla ( unico italiano nominato Cardinale dal Papa Francesco nell’ultimo Concistoro )   ha allestito  dal 1988  un Museo   a lui dedicato  nel luogo  ove  ogni estate  amava  trascorrere le sue vacanze estive, Ca’ Martino,   frazione di Sotto il Monte .
NG

Con le immagini è ... ... più facile




Hanno detto ... ...

ROSARIO CROCETTA, presidente della Regione Sicilia

Salutando Leoluca Orlando: "Ciao Sindaco. Ti devo chiamare Commissario ?"

martedì 29 aprile 2014

Enti Locali in Sicilia. Il destino dei lavoratori precari (sono 20.000) è legato alla capacità dei Comuni di pagare i debiti con le imprese in 60 giorni ?

Spulciare il decreto legge del governo Renzi di due giorni fà rivela delle vere sorprese.
I Comuni della Sicilia potranno protrarre i contratti (rinnovarli) con i precari solo se sono in grado di pagare entro sessanta giorni i debiti maturati dalle aziende nel corso del 2013 e quelli che via via matureranno nel 2014 (questi entro 90 gg.).
Sembrerebbe di capire che appalti e forniture tassativamente vanno regolarizzati (come, peraltro, prescrive la normativa europea) in sessanta giorni, in caso contrario dovranno essere bloccate le assunzioni sia quelle a tempo determinato che indeterminato.

Entro domani, 30 aprile, il ministero dell'Economia per via informatica vuole cnoscere dagli oltre 8.000 comuni l'entità dei debiti maturati nell'arco del 2013. I debiti precedenti -per gli enti siciliani- dovrebbero essere saldati col mutuo di un miliardo varato dall'assemblea regionale nei giorni scorsi.
Se per caso i debiti pregressi non dovessero rientrare nella casistica della legge regionale entro domani i comuni devono certificarli a pena di gravi sanzioni in capo ai funzionari comunali.
Le imprese con la certificazione emessa entro la giornata di domani dovranno presentarsi in uno sportello bancario e richiedere una "anticipazione". E' un pò come presentarsi in Banca per scontare una cambiale attiva.
Se tutti questi buoni propositi a beneficio delle imprese dovessero trovare ostacoli, i Comuni, nell'anno successivo, non potranno prorogare alcun contratto di lavoro.

Regione Sicilia. Le amministrazioni dell'isola erano già in affanno da prima, adesso il governo Renzi taglia 160 milioni di euro a Regione, Comuni e spreconi vari

L'impatto della politica di Matteo Renzi (quella degli 80,oo euro sulle buste paghe di chi ha un reddito inferiore a €. 25.000,oo lorde) sulla pubblica amministrazione dell'isola sta creando serie difficoltà a Regione e Comuni.
Sia Mamma Regione che i Comuni da noi hanno sempre (dalla notte dei tempi) sperperato il denaro, adesso che il periodo delle vacche magre continua da oltre cinque anni ad esigere sacrifici i politici dell'isola hanno serie difficoltà a tagliare le megagalattiche retribuzioni ingiustificate e indebite di politicanti, alti dirigenti, amici, clienti, finti-consulenti, parassiti etc.
Mamma Regioni è arrivata all'osso. Le sue casse sono letteralmente vuote e tardano ad essere pagate le retribuzioni di 30.000 dipendenti di enti che attingono "latte" dalle casse pubbliche.
La Giunta di Mario Crocetta -lo dicono i giornali amici ed avversari- piuttosto che mettere mano ad una vera e seria riforma dell'intera spesa pubblica, in vista di conseguire un vero riequilibrio dei conti, tenta acrobazie contabili; tentativi che lasciano nel benessere i parassiti e creano difficoltà a chi dovrà amministrare in Sicilia il dopo-Crocetta.

I Comuni dell'isola devono contribuire (ossia, tagliare la spesa) -perchè i famosi €. 80,oo mensili arrivino ai destinatari- di ben 70 milioni di euro. In attesa di capire il criterio con cui questi tagli verranno ripartiti fra comuni grandi, medi e piccoli i sindaci -tutti- hanno aperto le ostilità verso Mamma Regione che, poverina essendo al verde che più verde non si può, tarda a versare quanto dovuto agli enti locali con l'ultima trimestralità 2013.
Ciò che si coglie ad occhio nudo è che il benessere dei palazzi che contano è quello ante-crisi; a stringere la cinghia in Sicilia sono solo e sempre i poveri diavoli.

Hanno detto ... ...

GAD LERNER, giornalista
Il cardinale Bertone precisa di aver ristrutturato a spese sue il superattico. Davvero? Ma quanto guadagnava da segretario di Stato?


Beniamino Deidda , ex procuratore

«L’ex premier meritava una condanna seria».

«Il Tribunale ha sprecato l’occasione di affrontare il tema misure alternative applicate a un uomo ricco».

lunedì 28 aprile 2014

Regione Sicilia. Leoluca Orlando chiede che Rosario Crocetta si faccia da parte

Dice Leoluca Orlando, sindaco di Palermo: “Le istituzioni regionali stanno precipitando nell'abisso. Al presidente Crocetta che dice di voler andare avanti dico: 'Si fermi, c'è il precipizio'. Se fossi al suo posto chiederei il commissariamento della Regione".
Il 5 maggio i Sindaci e gli Amministratori dei comuni dell'isola si troveranno a Palermo per un'Assemblea e discutere della crisi degli enti locali, dei rapporti con la Regione e per presentare un documento di proposte di riforma.
I Comuni siciliani vogliono fare quadrato contro i continui tagli ai trasferimenti da parte di Stato e Regione che "stanno mettendo in ginocchio le amministrazioni locali, con 190 comuni sopra i 5 mila abitanti non in grado di chiudere i bilanci".
Secondo Leoluca Orlando, presidente dell'Associazione dei Comuni Anci-Sicilia "I Comuni sono sostanzialmente tutti in dissesto, la Regione ci costringe a stare nell'incertezza perenne".
Paolo Amenta, vicepresidente dell'Anci, da parte sua dice  che negli ultimi quattro anni il fondo per le autonomie locali è passato da 900 a 400 milioni di euro, "e quest'anno c'è stato il capolavoro, il taglio di 100 mln in quota investimenti che ha effetto sulle rate dei mutui per l'ammortamento dei debiti con la conseguenza per i comuni di dovere trovare le risorse nei bilanci"
La Regione, che ha problemi di liquidità,  non ha ancora pagato ai Comuni dell'isola né l’ultima trimestralità del 2013 né la prima del 2014.
Continua Orlando, nella presentazione alla stampa della giornata di protesta del 5 maggio "In base alla legge regionale sulle Province, entro sei mesi i comuni devono aderire ai Liberi consorzi ma non sappiamo quali funzioni avranno. Come fanno allora i sindaci a scegliere? Se la legge avesse previsto per esempio la gestione dei rifiuti in capo ai Liberi consorzi, sarebbe stato agevole per un comune associarsi assieme al comune di Camporeale, dove c'è la discarica pubblica. Invece, nulla: finirà che fra sei mesi ci saranno ancora i commissari nelle Province e le discariche private continueranno a essere gestire in modo speculativo dagli imprenditori". 

La Valle dei Mulini ... ... di Calogero Raviotta

La Valle dei Mulini si estende lungo i due argini del torrente Senore, che, sorge sotto il Monte Genuardo e che, dopo aver attraversato alcuni feudi  del territorio di Contessa e di S. Margherita di Belice, si versa nel tratto finale di questo fiume, di cui è il terzo affluente (dopo il Belice Destro ed il Belice Sinistro).
La Valle dei Mulini si estende ad Ovest del Centro abitato di Contessa, a circa tre chilometri, tra borgo Cozzo Finocchio, borgoPiano Cvaliere, Collina Castello, collina  Costa del Conte, contrada Bufalo, feudi di Rivena, Serra, Bagnatele Soprane e Sottane, fino a lambire il feudo di Sommacco.
Fin dal Medioevo le numerose  sorgenti, ricche di acque, rendevano fertili i terreni adiacenti al torrente Senore e facevano funzionare i due mulini, di cui si possono ammirare le strutture ancor oggi alle falde della collina Castello e nella contrada Passicava.
La Valle dei Mulini presenta notevoli potenzialità di valorizzazione turistica sia per le  caratteristiche ambientali (clima, sorgenti, verde molto diffuso con uliveti, vigneti e frutteti) sia per le testimonianze storiche e archeologiche (Castello di Calatamauro, due antichi mulini ad acqua, vecchi casolari rurali, tracce di antichi insediamenti, una cappella rurale dedicata a S. Antonino) sia per le due recenti e moderne strutture turistiche (Ristoro Calatamauro e B& B Rocca dei Capperi).
Nella Vallata hanno sede inoltre due interessanti attività produttive nel settore zootecnico (Allevamento di maiali della macelleria Proietto-Borsellino e l'allevamento di galline per le uova D'Agostino). Sui prati della Valle dei Mulini pascolano ancora  pecore e mucche assicurando un'ottima produzione di ricotta, formaggi e carni.
Per l'intera stagione estiva molti contadini si stabilivano nei casolari, che sorgevano in tanti campi, dalla mietitura alla vendemmia: gli uomini provvedevano ai lavori pesanti e le donne, oltre a provvedere alle faccende domestiche, li aiutavano nella raccolta, essiccazione e conservazione dei fichi, delle mandorle delle noci. Con la raccolta dei pomodori si preparavano per l'inverno la conserva e con la frutta varie marmellate.

Chiesa di S. Antonino
La piccola cappella rurale, dedicata a S. Antonino,  sorge dove la  trazzera di Bagnatele si divide, proseguendo in due direzioni, una verso Costa del Conte e l'altra verso il feudo Sommacco.  Costruita col contributo di tanti contessioti, che avavevano terreni nella Valle dei Mulini, e con l'impegno ammirevole, generoso e costante di Antonino Rizzuto. I lavori di costruzione durarono alcuni anni e fu ultimata sicuramente nell'estate del 1933, quando fu aperta al culto ufficialmente da mons. Evola della Curia di  Monreale. La benedizione della cappella era prevista per il giorno 28 agosto, ma fu rinviata al giorno successivo a causa di un furioso temporale. Costruita con materiali locali di quei tempi, per tanti anni è rimasta aperta al culto il parroco latino di Contessa, d'estate saltuariamente vi celebrava la S. Messa). La chiesetta non  è crollato col terremoto del 1968,  ma è rimasta chiusa al culto per tanti anni. Nel 1991, col contributo del Comune di Contessa Entellina,  iniziano i lavori di restauro, che, per il cattivo stato di conservazione dell'edificio,  determinano la completa  ricostruzione (pietra a vista per le mura e strutture in legno per il soffitto.
Erano state collocate nella cappella inizialmente due statue, una di S. Rosalia ed una di S. Antonino. Oggi solamente la statua di S. Antonino è ancora nella sua nicchia e quattro banchi sono a disposizione dei fedeli.
Abate Francesco, "zu Ciccu Iardinari", coltivava gli ortaggi in un terreno di proprietà della  famiglia Lojacono ( Zonja Karulin).

Coltivazione di arance diffusa in tutti i terreni attigui al torrente Senore, perché potevano essere innaffiate anche d'estate.

Solo nei periodi di particolare siccità si stabilivano i turni per innaffiare gli orti, ma solitamente.
Domenico Mulè (Quarrazza), un giorno disperato perché il vento gli aveva portato via il cappello, prese il fucile e fece fuoco in aria, nell'illusione di poter uccidere lo Scirocco, che soffia spesso impetuoso nel territorio di Contessa.

La valle dei mulini era rinomata per i numerosi frutteti ed per i deliziosi fichi fioroni (bifari). Si racconta che ad un contadino gli stimolavano la gola i fioroni del campo vicino e quindi qualche volta, in assenza del padrone, ne approfittava per assaggiarli. Una volta non c'era l'ambulante di frutta e verduta, che era privilegio di chi aveva nel suo terreno orto e frutteti, quindi ogni contadino attendeva che si maturassero per poterli poi raccogliere e portare a casa a gradimento di tutta la famiglia. Un giorno  volle scoprire chi gli fregava i fioroni e quindi, facendo finta di tornare in paese, dopo un po’ tornò nel suo campo e trovò vicino alla "gebbia" il padrone del campo vicino, che inventò la scusa che si trovasse lì per recuperare una moneta (cinque lire), caduta dentro la vasca piena di acqua mentre beveva.

Le aie per la battitura del grano venivano attrezzare nei campi di ogni contadino, se esposte al vento per vagliare il grano dalla paglia oppure in alcuni punti, solitamente di proprietà pubblica (trazzere). Si prenotava l'uso disponendo alcune pietre al centro dell'aia.

Nel torrente Passicava si pescavano anguille e granchi, che privati subito delle tenaglie, venivano arrostiti al fuoco.

Nella cappella il 13 giugno era celebrata la divina Liturgia dal parroco latino (P. Garaci, P. Lala, P. Clesi).

Le statue di S. Rosalia (senza un occhio) e di S. Antonino furono portate a dorso di Mulo da Antonino Rizzuto per essere collocate nella chiesa. Le donne al mattino al vederle furono prese da spavento.
Case contigue di Antonino Rizzuto, Luca Di Maggio e Luca Caruso.
Casa rurale di don Luca Schirò, costruita nel 1924 e coltivata dalla famiglia Politi, poi da Nicolosi Accursio e quindi da Giammalva per 15 anni dopo il 1945.
Papas Nino e papas Pietro avevano un campo a Bagnatele.
Davanti la chiesetta c'era una scalinata rustica fino alla trazzera che andava per Sommacco, sopra la chiesetta era fiancheggiata dalla trazzera per le case del  feudo Costa del Conte.

Pino Tardo sta ricostruendo in contrada Passo Cristina l'antica "kalive", capanna in canne, molto diffusa nelle campagne come luogo di ricovero in caso di cattivo tempo, utilizzata anche nei soggiorni estivi da chi non aveva una casa in pietra. Di forma quadrata (4 x 4 circa): strato di canne robuste e strato di canne più sottili. Con un montante al centro (tronco di agave).

Maiolica con l'immagine di S. Nicola nella casa di Luca Schirò, in una nicchia, muro di cinta che guarda ad Est.

Frequente la casa rurale nei vari  campi della Valle dei Mulini.

Molti terreni di proprietà della famiglia Musacchia, dopo passati ad altre famiglie per i matrimoni degli eredi.

Nino Lala ha una copia del catasto terreni di Bagnatele del secolo XIX.

Si narra che un contadino, irritato per spesso raccoglievano i suoi fichi, un giorno, passata la notta in attesa dell'autore, lo potè cogliere sul fatto e per dissuaderlo sparò delle cartucce di sale sul sedere del malcapitato, che fece tesoro della lezione, senza protestare.

Mulini
 Sono stati sempre un elemento importante di particolare interesse sociale  ed economico, perché consentiva di poter avere in loco la farina, elemento base dell’alimentazione fino a quasi tutto il XX secolo, quando é stato avviato ed ampliato il consumo di altri alimenti  e la pasta ed il pane non sono più la base dell’alimentazione; anche nelle località agricole con alta produzione di grano duro. Si diffonde il consumo di tanti altri prodotti alimentari finiti e la pasta ed il pane non sono più preparati in casa.
I mulini ad acqua (Gorgo e Alvano) hanno funzionato fino oltre la prima metà del XX, quando anche a Contessa furono costruiti i primi mulini funzionanti a corrente elettrica nel centro abitato. Molti contadini continuarono ancora a macinare il grano duro di loro produzione fino alla fine del secolo XX. Anche oggi qualche contadino va nei paesi vicini a macinare il suo grano per fare saltuariamente il pane nel forno a legna domestico, per preparare focacce, pizze o altri prodotti alimentari in particolari occasione. Poche però sono le donne che sono ancora capaci di preparae il pane e la pasta (tagltatelle, lasagne, gnocchi, ecc.) da fare in casa.
Calogero Raviotta

Aprile 1945. La fine dei dittatori e della guerra in Europa

Piazzale Loreto - Milano 1945
Il corpo di Benito Mussolini, tra quelli di Claretta Petacci, amante del Duce, e del generale Achille Starace, segretario del partito fascista, appesi per i piedi come capi di bestiame, in segno di supremo oltraggio.
Dopo che Mussolini, la Petacci e Starace furono fucilati il 28 aprile del 1945 da una squadra di partigiani che li aveva intercettati nella loro fuga verso la Svizzera, i loro cadaveri vennero così esposti a piazzale Loreto a Milano, attaccati alle travature metalliche di una stazione di rifornimento di benzina: lo stesso trattamento che un anno prima avevano subito, nello stesso luogo, 15 ostaggi fucilati dai fascisti.

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Il cadavere di Hitler
Il Capo del Reich, all'arrivo dell'Armata Rossa a Berlino alla fine di Aprile 1945, si era rifugiato in un bunker costruito sotto la cancelleria.
Il Furer contava ancora su una possibilità di successo, quando gli giunse notizia del tentativo da parte di Heinrich Himmler, capo delle SS e delle polizie tedesche, e di Hermann Goring, ministro dell'Aviazione e creatore della Gestapo, di negoziare la resa con i nemici. Entrambi furono destituiti, ma ormai il destino del Reich appariva segnato. Il 30 aprile, mentre i russi stavano giungendo nei pressi della cancelleria, Hitler si suicidò insieme alla sua compagna Eva Braun, che aveva sposato poco prima. Furono gli stessi sovietici a trovare il cadavere, insieme al testamento politico che egli aveva lasciato in cui designava come proprio successore l'ammiraglio Donitz. Anche Himmler e Gobbels seguirono l'esempio del loro capo, e si tolsero la vita prima di cadere in mano nemica. Una settimana dopo la morte di Hitler, il 7 maggio 1945, fu finalmente firmata la resa tedesca e il governo Donitz esautorato.
La guerra in Europa era finita.

Hanno detto ... ...

ANTONIO POLITO, direttore de Il Corriere del Mezzogiorno
Se continua così, Renzi rischia di arrivare alle europee vantando come unica sua riforma l'abolizione del CNEL

MATTEO RENZI, premier
"La frase di Silvio Berlusconi sui tedeschi e i 'lager mai esistiti' è sbagliata e inaccettabile così com'era assolutamente inaccettabile e vergognosa quella di Beppe Grillo sulla Shoah. 
Sono entrambi in campagna elettorale" 

GIANNI RIOTTA, giornalista de La Stampa
Da fine ’800 alla globalizzazione

I pontefici al centro della Storia

Rivoluzione industriale, guerre, dittature, vecchi e nuovi mondi dietro i 4 papi

Roma ha conosciuto molti appuntamenti con la Storia, tragici, gioiosi, indimenticabili. Ieri, nella giornata cui la fantasia popolare ha dato il nome di una trattoria da gita fuori porta, «Quattro Papi», la capitale della Repubblica e ospite della Città del Vaticano, ha però collezionato tanta Storia, davanti a 800.000 pellegrini, telecamere e web, quanta tre secoli non bastano a contenere. San Giovanni XXIII è nato nel 1881, quando la Regina Vittoria regnava sulla Gran Bretagna, l’Italia aveva 20 anni, la Rivoluzione industriale dilagava in Europa e il commercio, non la guerra, sembrava il futuro.  

San Giovanni Paolo II è nato invece nel 1920, dopo la follia della Prima Guerra Mondiale in cui San Giovanni XXIII aveva servito, come tenente della Sanità. Papa Wojtyla veniva dalla Polonia, il paese che innesca la II Guerra Mondiale e che ora, nella più acuta crisi internazionale del XXI secolo, fa da retrovia all’Ucraina, sotto pressione russa. Le decine di migliaia di pellegrini polacchi in Vaticano testimoniavano il ricordo di un paese prima smembrato, poi soggiogato per mezzo secolo dal Cremlino. 

La forza della Storia era anche nei due papi in vita, Benedetto XVI e Francesco. Papa Ratzinger, costretto a 16 anni in divisa come tutta la sua generazione, in un’unità antiaerea a Obergrashof, (quando ci sarà di nuovo, dopo Roncalli e Ratzinger un papa ex soldato?), poi teologo progressista della rivista Concilium e quindi sdegnato per gli eccessi del movimento studentesco del 1968 e da certe derive, a suo giudizio eccessive del Concilio Vaticano II varato da San Giovanni XXIII, teologo conservatore, consigliere di papa Wojtyla e suo successore.  

Papa Bergoglio portava invece il mondo nuovo delle Americhe, periferia diventata centro. Wojtyla aveva combattuto i totalitarismi nazista e comunista e infine il consumismo decadente. Giovanni XXIII, figlio di mezzadri bergamaschi, aveva saputo vedere il conformismo nella Chiesa, la riluttanza ad accettare l’età moderna e aveva introdotto i riti contemporanei, lasciandosi alle spalle secoli di tradizioni, spesso meravigliose –il Canto Gregoriano!- ma che nella frenesia del Novecento più non venivano ascoltate dai fedeli.  

Bergoglio –che ha assistito agli orrori delle dittatura in America Latina, ricavandone scetticismo sul libero mercato e gli Stati Uniti- è papa post-moderno. Attento a un mondo dove le ideologie politiche o morali, Wojtyla che sgrida il prete e poeta sandinista Cardenal, Ratzinger che chiude sulle innovazioni etiche, contano meno della pratica comune, il dialogo, l’incontro in una rete di relazioni, virtuali o personali, tra Chiesa e realtà. Dove «realtà» non è più solo la gerarchia, come sembrava spesso –magari erroneamente- con Ratzinger, o la Chiesa intera, come sembrava con Wojtyla ma di nuovo, come ai tempi di Roncalli, «tutta» l’umanità, cattolici e no, fedeli e no, ciascuno «pecorella» cara al «pastore». Quando Bergoglio cita la fede semplice che gli viene dalla nonna, certi nasi raffinati, in Vaticano e no, si arricciano «la teologia della nonna, ora!». Ma non si tratta di ingenuità.  

Se volete capire la macchina di simboli storici, politici e di fede che Bergoglio ha messo in moto con la canonizzazione parallela di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, rileggete il racconto «Padre Sergio» di Tolstoj, il protagonista ufficiale brillante, deluso dalla corte dello zar, che diventa monaco celebre, poi eremita in odore di santità, ma che quando si perde e diventa vagabondo, capisce che la fede semplice di una casalinga, sua ex compagna di giochi da bambino, è più vicina a Dio del suo misticismo narcisista. Chi ancora equivocasse sull’«ingenuità» di Francesco, dimenticando il candore delle colombe e l’accortezza dei serpenti evangelici, rilegga un editoriale del Washington Post di tre anni fa, a firma del columnist E. J. Dionne (http://goo.gl/eccxj), che per smussare i contrasti nella Chiesa tra conservatori e riformisti suggeriva, con sottile diplomazia da analista politico, appunto di celebrare insieme Wojtyla e Roncalli, neutralizzando polemiche e fazioni. 

Quante altre istituzioni al mondo sono in grado di mettere in campo tanta storia, in un solo giorno? Dopo le amarezze, gli scandali, le divisioni, è stata una buona giornata per i cattolici. I problemi di Francesco restano enormi, in Europa e America le chiese romane si svuotano, tanti cattolici lasciano la fede, per delusione o indifferenza, il «materialismo» attrae più della religione. Ma il Novecento ha lasciato il dubbio –non ci parlano di questo dubbio Kafka, Beckett, T.S. Eliot?- che la luce assoluta della ragione, temuta dal filosofo Adorno, non illumini l’Eden, ma anche il lager, la solitudine, l’alienazione. 

Celebrando con Ratzinger due papi santi, papa Francesco è sembrato chiederci, con la sua sorridente profondità, ma quando la Costituzione europea negò senza eccezioni un sia pur minimo riferimento alla remota tradizione religiosa, mentre gli Americani hanno «In God we Trust» e «A nation under God», per venire poi bocciata dai cittadini, non si trattò forse di un errore? Forse tra le ideologie finite non c’è pure il muro di filo spinato tra Chiesa e Stato, sempre divisi da una Porta Pia di diffidenze, vecchie ormai di secoli? 
Non ci può essere nel presente un diverso dialogo tra politica e religione, tra ideali civili e fede, tra laici e cattolici, tra atei e cristiani: non ci sentiamo forse in tanti, di giorno in giorno, protagonisti di queste diverse parti nel nostro tempo?

domenica 27 aprile 2014

L'Albania. Conoscere il paese da cui discendono gli arbëresh (n. 10)

Ancora su Religione e Letteratura
L'Albania (Republika e Shqipërisë) dal punto di vista religioso è uno stato laico in cui è garantita la libertà di culto. La maggior parte della popolazione è musulmana (oltre un terzo della popolazione).
Seguono i Cristiani, con una prevalenza -secondo il censimento del 2011- dei Cattolici sugli Ortodossi. I Cattolici sono insediati in prevalenza nel Nord del paese mentre gli Ortodossi prevalgono nel Centro-Sud.
Al Censimento del 2011 il 14% della popolazione si è rifiutata di rispondere alla domanda circa la religione di appartenenza.

Art. 10 della Costituzione

1. La Repubblica non ha una religione ufficiale.
2. Lo Stato è neutrale nelle questioni religiose e in quelle di coscienza, e garantisce la libertà della loro esposizione nella vita pubblica.
3. Lo Stato riconosce l’uguaglianza delle comunità religiose.
4. Lo Stato e le comunità religiose rispettano la loro indipendenza reciprocamente e concorrono per il bene di ognuno e di tutti.
5. I loro rapporti sono regolati sulla base di intese stipulate tra le relative rappresentanze e il Consiglio dei Ministri che si ratificano dal Parlamento.
6. Le comunità religiose hanno personalità giuridica. Esse hanno una loro autonomia amministrativa e patrimoniale secondo i propri principi, regole e canoni, a condizione che non violino l’interesse di terzi.
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La lingua albanese, lo abbiamo già scritto in precedenti scritti, appartiene alla famiglia delle lingue indoeuropee e si suddivide in due grandi sottogruppi  dialettali, il ghego (a Nord) ed il tosco (a Sud), tra i quali esistono delle differenze.
Per la mancanza di un alfabeto unitario, istituito solo dopo il 1908 (congresso di Monastir) e definitivamente consolidatosi dopo il 1945 con l'adozione del tosco come lingua letteraria , il filone più ricco della cultura albanese, la poesia popolare, fu affidata fin dalle origini alla tradizione orale e fissato per iscritto, con numerose alterazioni, solo nel XIX secolo. 
Per questo motivo e per l'oppressione politico-culturale dei Turchi subita dall'Albania dal XV secolo fino al 1912, la storia letteraria albanese è relativamente povera di autori e di opere.


Art. 14 della Costituzione

1. La lingua ufficiale della Repubblica dell’Albania è l’albanese.
2. La bandiera nazionale è colore rosso con un’aquila bicefala nera in mezzo.
3. Lo stemma della Repubblica albanese presenta uno scudo sullo sfondo rosso con un’aquila nera bicipite in cima allo scudo colorato d’oro, è posta l’elmo di Scanderbeg.
4. L’inno nazionale è “Uniti intorno alla bandiera”.
5. La festa nazionale della Repubblica albanese è il giorno della bandiera, il 28 novembre.
6. La capitale della Repubblica albanese è Tirana.
7. La forma, le dimensioni dei simboli nazionali, il contenuto del testo dell’inno nazionale e la loro applicazione sono stabiliti secondo la legge.

Il Vangelo alla luce dei fatti di ogni giorno

GIOVANNI 20 19-31
IL SIGNORE MIO E IL DIO MIO
19 Essendo dunque la sera di quel giorno, il giorno uno dei sabati della settimana ed essendo sprangate le porte dove erano i discepoli per la paura dei Giudei, venne Gesù e stette nel mezzo e dice loro: Pace a voi. 20 E detto questo mostrò loro le mani e il fianco. Allora gioirono i discepoli, avendo visto il Signore. 21  Allora disse loro Gesù di nuovo. Pace a voi. Come il Padre ha mandato me, anch’io invio voi. 22  E detto questo, insufflò e dice loro:
Accogliete lo Spirito Santo. 23 A chi rimettete i peccati gli sono rimessi, a chi li ritenete, sono ritenuti. 24 Ora Tommaso, uno dei Dodici, quello detto Didimo (= gemello), non era accanto a loro quando venne Gesù.25  Dicevano dunque a lui gli altri discepoli: Abbiamo visto il Signore. Ora egli disse loro: Se non vedo nelle sue mani l'impronta dei chiodi e non getto il mio dito nell'impronta dei chiodi e getto la mia mano nel suo fianco, non crederò affatto. 26 E, otto giorni dopo, di nuovo erano dentro i suoi discepoli e Tommaso accanto a loro. Viene Gesù, a porte sprangate, e stette (in piedi) nel mezzo e disse: Pace a voi. 27  Poi dice a Tommaso: Continua a portare il tuo dito qui e vedi le mie mani; e continua a portare la tua mano e gettala nel mio fianco. E non continuare a diventare incredulo, ma credente.- 28 Rispose Tommaso e gli disse: Il Signore mio e il Dio mio! 29  Gli dice Gesù: Perché mi hai visto, hai creduto: beati quelli che non videro e credettero.  30  Certo molti altri segni fece Gesù al cospetto dei [suoi] discepoli che non sono scritti in questo libro;  31  questi però sono stati scritti affinché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e affinché credendo abbiate vita nel suo nome. 
Brano del Vangelo di Giovanni proclamato in questa domenica nelle Chiese di Rito Bzantino
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Didimo, significa gemello. San Tommaso è gemello di tutti noi che, oggi, nel ventunesimo secolo, ci diciamo Cristiani, e -come lui- non c'eravamo quando il Signore apparve agli impauriti suoi discepoli, che stavano a porte chiuse. 
Tommaso non c'era quando gli altri lo videro ed è tentato, come molti di noi, a non credere alla loro testimonianza, al loro racconto.
In pratica chi vide credette. Egli non c'era e non vide. 
Dopo l'esperienza di coloro c'erano e videro, inizia la vicenda dei "cristiani" che non c'erano e devono credere a ciò che raccontano i pochi che c'erano. Inizia la vicenda della Fede.
Tommaso non solo dubita del Risorto, ma esclude pure il valore della testimonianza.

Allora ?
Più volte abbiamo insistito su questa rubrica sul concetto "Cristianesimo= relazione col prossimo".
Tommaso non crede perchè non era con gli altri. Era assente, non sappiamo per quale motivo. Il senso del Cristianesimo sta nel rapporto col prossimo, nella relazione con l'altro.
Pure noi oggi nel mondo globalizzato, individualista, liberista, il più delle volte non crediamo. Non ci siamo lì dove dovremmo trovarci.
Chi di noi vuole credere, vuole possedere la Fede non l'ottiene lontano dagli "altri", contrastando gli altri, gli "emigranti", chiudendosi nelle torri d'avorio, lontano dalle paure e dalle preoccupazioni degli altri.
E' indispensabile che si vivano i problemi, le paure degli altri ed allora ci si accorge che la vita cambia. 
Incontrare il Risorto non significa che solo Questi è risorto, ma che con lui, visto vivo e presente nella cerchia in cui stanno gli "altri", tutti possono scoprire di essere "risorti". 
Lo scoprono oltre che con gli occhi della vista, pure con gli occhi del cuore.
Tommaso ha scoperto il Risorto quando si è ritrovato con gli altri. 

27 aprile 2014. La domeniica dei quattro papi



sabato 26 aprile 2014

Berlusconi conosce la Storia ?

Nessuno sembra averci fatto caso, ma la battuta sul kapò di Silvio Berlusconi è stata di pessimo gusto in quanto frutto di finta ignoranza della Storia e perchè rivolta all'esponente di un partito (la SPD) che si è opposto al nazismo e di cui molti membri sono finiti nei lager per davvero, e non per una barzelletta berlusconiana.
Widerstand (="resistenza" in tedesco), fu il movimento di opposizione clandestino al governo di Hitler, attivo in Germania negli anni dal 1933 al 1945.
Dopo il 1933 e la presa di potere da parte di Adolf Hitler il partito Socialdemocratico fu dichiarato illegale in Germania. I suoi membri decisero di opporsi clandestinamente al nazionalsocialismo e Brandt (per citare un nome fra i più conosciuti in Italia) fu incaricato di costituire una cellula di opposizione a Oslo. 
Emigrò infatti in Norvegia assumendo nel 1934 il nome di copertura di Willy Brandt che nel 1949 (a guerra finita) divenne il suo nome ufficiale (al posto del suo vero cognome Frahm). 

La Modernità. Come l'Umanesimo, l'Illuminismo, la Scienza hanno cambiato l'uomo

Nell'antichità rappresentava la cultura di ciascun popolo
Basta andare a Segesta, Selinunte, Agrigento e capire che l'uomo antico, l'uomo greco, metteva al centro della propria vita il Tempo, la religiosità. 
La stessa cosa capita con la successiva cultura romana, la cui testimonianza archeologica ci lascia capire che accanto al Tempio, alla divinità dei Cesari, viene posto nel centro delle grandi città il Circo, il divertimento, la distrazione della gente rispetto all'esercizio del Potere da parte dei potenti. 
In ogni caso, sia nel caso della civiltà greca che romana, è la ricchezza, lo splendore del potere accanto alla violenza del Potere che domina il cuore delle città. 
Il Tempio, il Circo o altre realizzazioni simboliche esprimevano bene la concezione dell'uomo circa ciò che era buono, era auspicabile. Il Tempio rappresentava il "divino" invisibile che si manifestava attraverso la volontà di chi -di volta in volta- esprimeva il potere: il re, l'imperatore, il tiranno.
La volontà del Divino non era altra che la volontà del Potere terreno dei più forti. Accadeva così che volta in volta il popolo inneggiava chi occupava il Potere terreno; e costui si presentava a chi lo inneggiava come espressione della volontà divina. 
Il potente di turno delegava  l'interpretazione, il linguaggio, del divino ai "sacerdoti" che abitavano il Tempio, il grande e magnifico edificio che stava al centro della vita comunitaria, mentre egli,  il Re, l'Imperatore, il Tiranno, si occupava della gestione della ricchezza, del dominio con la forza della violenza sul popolo, gli schiavi, i sudditi e faceva però sapere loro che egli era loro Capo perchè li difendeva dai nemici. 
Godere della ricchezza, difendere la città, lo Stato, dai nemici esigeva che il "potente di turno"  fosse il più violento della comunità. 
Quando quel re, imperatore, tiranno, veniva fatto fuori perchè non sufficientemente "violento" a subentrargli era un altro personaggio più "feroce" del primo; il nuovo arrivato finiva per rappresentare, nel Tempio, la divinità. Si presentava ai sudditi come il più capace di difenderli dai ... nemici.
(segue)

Pasqua a Contessa Entellina: tradizioni, inni, preghiere, poesie ... ... di Calogero Raviotta

Canti liturgici e paraliturgici della tradizione religiosa e popolare
I testi di seguito riportati, che riguardano il giorno di Pasqua, completano quanto già proposto all'attenzione dei lettori  per far conoscere le celebrazioni della Quaresima e della Settimana Santa a Contessa Entellina.
La Resurrezione di Cristo viene annunciata già nella notte di Pasqua da gruppi di giovani, che, accompagnati da strumenti musicali, per le strade di  Contessa e  fermandosi anche davanti alla porta delle case, cantano l'inno della Resurrezione in greco, in albanese ed in italiano: “Cristòs anésti ek nécròn, thanàto thànaton patìsas, kjé  tis en tis mnìmasi zoìn harisàmenos - Krishti u ngjall! Aì tue vdekur ndridhi vdeqjen e shkretë e të vdekurvet  te varret i dha gjellën e vërtetë - Cristo é risorto dai morti; morendo calpestò la morte e donò la vita a quelli che giacevano nei sepolcri”.
Completano il testo di questo inno liturgico i versi di seguito riportati, scritti da Antonino Cuccia, poeta popolare arbresh di Contessa.

Tri ditë In'Zot                                        Tre giorni Nostro Signore
Rrijti nën dhe;                                        Stette sotto terra
Na u gjall si sot,                                     E' risorto come oggi,
Me shum' haré.                                      Con molta gioia.

Të vrart Iudhenj                                     I malvagi Giudei
Kur Krishtin vran                                   Quando uccisero Cristo
Ruajtin varrin                                         Custodirono la tomba
Me lëftar' nga anë!                                  Con sentinelle ad ogni lato.

U sdrip një engjjëll                                  Discese un angelo
Gjithë  i shkëlkjiem:                                Tutto splendente
Drasë sbëlòn,                                         Scopre la lastra:
Crishti fluturòn.                                      Cristo vola via.

Lëftartë u llavtin                                     I soldati si atterrirono,
Jiktin e vanë,                                          Fuggirono e andarono
Gjithvet i thanë                                       A dire a tutti:
Gjella fluturoj.                                        La vita é volata.

Me shumë menatë                                  Di buon mattino
Jerdhën grat;                                          Vennero le donne,
Engjëllin pan:                                         Videro l'angelo
Ku isht Krishti? I thanë.                          E gli chiesero: dov'é Cristo?

Engjëlli i thot:                                         L'angelo risponde:
Mos kini dré,                                         Non abbiate timore,
Mos Kërkoni,                                        Non cercate,
Nga varri u ngré.                                    S'é alzato dal sepolcro.

U nisën grat,                                          Si avviarono le donne,
Jertin më dhe                                         Per ritornare
Tue kunduar:                                         Cantando:
Kemi haré!                                             Abbiamo la gioia.

Antonino Cuccia (1850-1938), poeta popolare arbëresh
Nato a Contessa Entellina nel 1850, Nino Cuccia (Strollaku), come tutti i ragazzi contessioti delle famiglie contadine, ben presto dovette dedicarsi ai lavori di campagna.  Dotato di una intelligenza non comune, imparò a leggere ed a scrivere.
Osservatore acuto del comportamento dei concittadini, ne rilevò gli aspetti più ridicoli, descrivendoli satiricamente. Non ci rimane però nessuna opera scritta direttamente da lui, che era solito recitare i suoi versi. Conosciamo alcune sue opere, perché il testo é stato trascritto da qualcuno, che l’aveva ascoltato dalla sua viva voce.
Di due opere satiriche, “Tania” e “Tavulata” conosciamo il titolo, qualche verso ed il contenuto, tramandati oralmente fino ad oggi.
Nel poemetto “Tania” critica il lavoro delle donne nei campi e mette in rilievo l’avarizia di alcuni contadini. Nel secondo poemetto, “Tavulata”, mette in ridicolo gli interminabili e tradizionali banchetti nuziali (pettegolezzi, litigi, ecc.).
La poesia “Stosanesi”,  conosciuta da molti, descrive, con espressioni sintetiche ma molto efficaci, la resurrezione di Cristo e la tradizione, che si rinnova ogni anno a Pasqua a Contessa.
I versi di un’altra poesia, di cui si conosce solo il titolo (“Zotrat” - I preti), illustrano invece i secolari vivaci rapporti tra il clero di rito bizantino ed il clero di rito romano, che nelle comunità siculo-albanesi costituiscono una caratteristica e interessante componente della vita locale.
Molti gli epigrammi e le poesie, composti nella tarda età, di ogni genere e tramandati solo oralmente.
Le sue opere costituiscono una testimonianza significativa sia della lingua albanese parlata a Contessa sia  della vita della comunità contessiota, relativamente al periodo in cui é vissuto.
Antonino Cuccia, cultore poco noto della poesia popolare arbëreshe, é morto a 88 anni a Contessa Entellina.