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martedì 11 febbraio 2014

Entella, Timoleonte e la cultura del tempo

La Storia insegna, fornisce esempi, tratteggia profili, addita modelli. 
Nell'antichita' l'elemento che caratterizzava un'epoca era il prevalere delle grandi personalita'. Nella Sicilia del IV secolo avanti Cristo esisteva certamente un mondo non siracusano, un modo di vivere non segnato dalla cultura greca. Eppure non esiste libro di storia che per tratteggiare la Sicilia di allora possa fare a meno di parlare di Dionisio il Vecchio, Dione, Dionisio il Giovane, Timoleonte, Agatocle. 
Gli storici antichi ci hanno lasciato i tratti dei grandi personaggi, oggi pero' lo sforzo degli storici contemporanei, degli archeologi e studiosi e' quello di ricostruire la realta' socio-culturale della Sicilia timoleontea. 
Timoleonte, il vincitore della battaglia svoltasi a breve distanza da Entella contro i cartaginesi di Asdrubale, e' personaggio che ha sicuramente caratterizzato la storia dei "sicilioti" (greci di Sicilia) di quell'epoca. 
E' stato il mito di un'epoca. Plutarco, storico di allora, scrisse la " Vita di Timoleonte" e la condusse nella trama in parallelo, in comparazione, alla "Vita di Dione". Gia' il fatto che Plutarco decida di ignorare nel contesto storico i due Dionisio lascia intendere che qualcosa nella realta' siracusana di allora creava fratture. Non c'e' dubbio che lo storico, Plutarco, e i condottieri,  Timoleonte e Dione, erano legati dall'avversione verso i tiranni. Comunque la ricerca storica attuale e' arrivata a scindere le personalita' di Timoleonte e Dione e a ricostruire anche fra loro significative diversita'.  
 Scrive Plutarco: " La situazione dei Siracusani prima dell'arrivo di Timoleonte in Sicilia era la seguente. Dione, dopo aver cacciato il tiranno Dionigi, fu subito assassinato a tradimento". 
In effetti lo stato dell'isola era era piuttosto difficile; le maggiori citta' erano finite in mano a mercenari campani (fra esse Entella) o erano in mano ai barbari (tali erano per i sicelioti-greci i cartaginesi). La ragione per cui i sicelioti (greci di Sicilia)  chiesero aiuto ai Corinzi (una delle citta' greche-madre padria) era perche' questa citta' si distingueva per l'avversione alla tirannide. 

I corinti decisero di inviare in Sicilia il loro miglior condottiero, Timoleonte; costui  era tanto amante delle regole democratiche al punto da avere osato una congiura ai danni del fratello che si era trasformato in tiranno. Timoleonte parti' alla volta della Sicilia col grado di "stratego",  con sette navi corinzie, altre due di Concirae e una di Leucade e raggiunse Tauromenio, governata nella parte orientale dell'isola da Andromaco (padre di colui che diventera' uno storico dell'antichita', Timeo). 
Plutarco, lo storico che stiamo seguendo, non si sofferma molto sui particolari di vita e di fatti di Timoleonte. E' uno storico che tende ad avere la vista lunga cosicche' preferisce spiegare il contesto piuttosto che il terreno su cui i fatti accadono. Leggiamo comunque che il condottiero venuto da Corinto e' tipo da grandezza d'animo e amante della giustizia, e al contempo terribile e valoroso con i barbari ed i tiranni, giusto e mite con i sicilioti (gli indigeni greci dell'isola). Ha una particolare credenza e fiducia nei segni che, ritiene, gli arrivano dagli dei. 
Delineati questi tratti personali Plutarco passa a delineare come Timoleonte, in quell'epoca, riusci' a svolgere un'opera , frutto del favore della natura e dell'ingegno, che nessun'altro fu capace a dispiegare. Da qui l'accostamento a Dione, acerrimo nemico della tirannia dei Dionisii. 
Timoleonte viene comunque inserito in un contesto di "giusti" e di magnanimi. Magone un cartaginese "ritenendosi inferiore a Timoleonte nel valore e nella fortuna piu' di quanto fosse superiore  al numero dei soldati , subito salpo' e ritorno in Libia". Nell'assedio e nella conquista di Siracusa nessun corinto perse la vita. 
Su quanto accaduto nei pressi di Entella Plutarco scrive: "la gloria sempiterna del Crimiso (oggi Belice) e persino, la strage dei mercenari sacrileghi, anch'essa voluta dalla Fotuna  ' perche' ai buoni non derivasse alcun danno dalla punizione dei malvagi' ". 
Prima della battaglia del Crimiso, Plutarco racconta dei cartaginesi: " ... come se avessero voluto condurre non una guerra limitata, ma cacciare i Greci d'un solo colpo  da tutta la Sicilia".  
Non c'e' dubbio che Plutarco e' affascinato dallo stratega di Corinto. Per liberare Siracusa dal tiranno, Plutarco, tira in ballo "eleutheria" (la liberta'). Risuonano gli odierni termini di democrazia tirati in ballo in Iraq, Afganistan e magari in Vietnam. La Storia, come notiamo, non cambia. Comunque a Siracusa si e' proceduto -come da prassi- all'abbattimento  delle abitazioni e dei sepolcri dei tiranni e all'edificazione dei Tribunali, simbolo allora della democrazia. 
Quando Timoleonte e' in marcia verso il Crimiso e' ormai chiaro il profilo dell'esercito siciliota al suo seguito: "Virtu', liberta', panellenismo". Il panellenismo sta per solidarieta' fra tutti i greci del Mediterraneo. La battaglia del Crimiso merita di essere descritta e lo faremo in prosieguo col maggior numero di dettagli possibili. Essa appare straordinaria, teatrale, tremendamente reale nella lenta marcia e nel  procedere sulle alture di Carrubba (localita' in territorio di Contessa) e nei pendii delle valli adiacenti. Ancora attuale e' la descrizione di Plutarco della nebbia mattutina  di inizio estate, proprio li' in quelle contrade.

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