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martedì 29 gennaio 2013

Il dovere della memoria

Il dovere della memoria, lo ricordava due giorni fà il titolo di apertura di un quotidiano.
Ai nostri giorni la Chiesa cattolica e il popolo ebraico sperimentano un avvicinamento e una comprensione impensabili appena qualche decennio fa.
Il 27 gennaio,  nei paesi Occidentali si ricorda lo sterminio sistematico che il Nazismo (ed anche il Fascismo) sin dagli anni trenta del Novecento ha intrapreso ai danni del popolo ebraico.
Il riepilogo di quella inaudita violenza, a fine guerra, è stato condensato nell’avvenuto assassinio di sei milioni di persone.
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Il Blog, volendo restare fedele alla sua missione di aderenza alla storia locale, vuole ricordare un avvenimento non dissimile da quello nazista di persecuzione ai danni del popolo ebraico: l’espulsione degli Ebrei dalla Sicilia nel 1492, proprio nel periodo in cui  nell’isola si stabilizzavano le comunità arbëreshë.
Sul finire del Quattrocento la Sicilia è un regno, una articolazione, uno dei tanti domini aragonesi in Europa. Nel 1492 in Sicilia, come nel resto dei domini aragonesi si festeggia la presa di Granada, l’ultimo caposaldo mussulmano in terra iberica. A Palermo, a Catania e nei grossi centri si svolgono processioni, le strade sono addobbate, e musiche e canti si elevano in segno di giubilo per la liberazione di Granata.
In questo contesto festivo arriva dalla Spagna l’ordine di procedere all’espulsione degli ebrei che non accetteranno di convertirsi al cattolicesimo.
La comunità ebraica era insediata in Sicilia da oltre mille anni e faceva parte dell’assetto sociale ed economico dell’isola. Certo la convivenza con la comunità cristiana avveniva su basi di minorità (gli ebrei erano tenuti a pagare la tassa detta gizia, avevano l’obbligo di portare come contrassegno  la ‘rotella’, nei loro confronti vigeva l’inibizione ad esercitare certe professioni  nei confronti dei cristiani), ma essi erano conterranei al pari dei cristiani. Essi erano attivi nel commercio, nell’artigianato, nella finanza, nella professione medica  e godeva di una sorta di autogoverno comunitario.
Certo, quelli erano tempi di fanatismo cattolico e spesso essi subivano gli effetti dell’intolleranza indotta periodicamente dalle predicazioni quaresimali e pasquali in quel modello di società ancora sostanzialmente violenta. Mai però era esistita una persecuzione vera e propria promossa dalle Autorità.
Generalmente gli ebrei nelle città abitavano in quartieri tutti loro, le giudecche, con uno stato giuridico particolare che inibiva loro la proprietà di immobili, di schiavi cristiani e il divieto di esercitare pubblici uffici o curare i cristiani.
Il loro autogoverno prevede un consiglio di dodici notabili coadiuvati da contabili, auditori, esattori etc. mentre l’autorità rabbinica centrale è rappresentata dal dienchelele.
Il decreto di espulsione giunse in Sicilia inaspettato e fu diffuso in tutte le 57 comunità locali in cui gli ebrei erano insediati. Da un giorno all’altro migliaia di persone furono poste davanti all’alternativa di abbandonare la terra dei loro padri che da oltre un millennio erano vissuti nell’isola oppure di rinunciare al credo trasmesso e custodito da sempre.
All’inizio i baroni e le autorità dell’isola mostrarono solidarietà agli ebrei ma non poterono far nulla rispetto alla disposizione emessa da Isabella e Ferdinando d’Aragona.
In breve iniziarono i sequestri dei beni e l’accompagnamento degli ebrei nei porti di imbarco verso terre mai immaginate.
Furono periodi e circostanze di umiliazione e di depradazione da parte di tutti coloro che in quella drammatica situazione si ritennero autorizzati ad inferire su un popolo abbandonato al suo destino.
Pochi furono gli ebrei che accettarono, o finsero di accettare, la conversione e quei pochi non furono mai sottratti all’occhiuta vigilanza dell’Inquisizione.
Tutte le giudecche di Sicilia si spopolarono, vennero meno tante attività economiche e fu un danno immenso per l’isola che invece necessitava  di uomini e di energie.

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