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martedì 30 ottobre 2012

L'affermazione del Movimento di Grillo rende superfluo il partito di Antonio Di Pietro

L’Italia dei Valori in Sicilia ha incassato una pesante sconfitta e tuttavia si sta leccando le ferite non per il pessimo risultato siculo ma per ben altre vicende, ancora piu' brutte e complesse. All'interno del gruppo parlamentare sono in parecchi a voler eliminare, ed al piu' presto, prima che la barca affondi,  la gestione leaderistica che finora ha fatto il bello ed il cattivo tempo. L'ultima puntata di Report (domenica scorsa)! sulla gestione patrimoniale del movimento tiene banco nella discussione del gruppo parlamentare.  Il sindaco di Napoli Luigi De Magistris non vuole piu' sentire parlare di Di Pietro. I deputati che hanno lasciato il partito in questa legislatura sono tanti. Oltre al famosissimo Scilipoti, c'e' Antonio Razzi, Renato Carbusano ed altri ancora.  Tanti sono preoccupati. C’è anche chi in queste ore inizia a immaginare percorsi alternativi, pensano di  saltare giù dalla nave  adesso che si rischia di affondare. Le certezze sull’avvenire delI’Italia dei Valori restano poche.  Il capogruppo a Montecitorio Massimo Donadi chiede il  «Congresso straordinario per rinnovare e non morire». Tra i parlamentari sono in molti a pensarla così.  Il sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, arrivato a Roma per sensibilizzare il governo in vista del decreto sui comuni pre-dissesto ha dichiarato «Non faccio più parte dell’Italia dei Valori da quando faccio il sindaco di Napoli. Lavoro 20 ore al giorno e anche volendo non potrei occuparmi delle questioni interne al partito. Mi auguro però che ci sia un segnale di cambiamento forte in generale». Poi non risparmia qualche frecciata al leader Idv. «La figura carismatica nei partiti è superata. Di Pietro dice da tempo che toglierà il suo nome dal simbolo? Forse è arrivato il momento di farlo». Non evita di commentare la vicenda del consigliere regionale del Lazio Vincenzo Maruccio, indagato dalla procura di Roma per peculato. «Oggi non regge più la favoletta delle mele marce, perché se le mele marce sono tante diventa un frutteto». E'  un leader attorniato «solo da yesman» ammette Cambursano. Il deputato fuoriuscito racconta alla stampa un episodio che risale allo scorso novembre, quando si insediò il governo Monti. «Un paio di giorni prima del voto di fiducia, venne organizzata una riunione dei due gruppi parlamentari. Per la prima volta si decise a maggioranza: 23 votarono a favore della fiducia, una decina, tra cui il presidente e la sua cerchia più ristretta, votarono contro. Bene, qualche settimana più tardi, al momento di decidere la linea politica sul decreto Salva Italia, tutti i presenti cambiarono idea. E si stabilì all’unanimità di votare contro la fiducia». Tutti tranne Cambursano, ovviamente. Che per correttezza decise in quell’occasione di lasciare il gruppo e il partito. Oggi sono in molti a rimpiangere quelle scelte. Dalla bocciatura tout court del governo Monti al progressivo allentamento dal Partito democratico. Basterà un congresso straordinario per cambiare linea politica? Forse è troppo tardi. 

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