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mercoledì 20 giugno 2012

Trattativa Stato-Mafia. Gli uomini (gli ominicchi) delle istituzioni finalmente sotto processo

30 gennaio 1992 - Quel giorno la Cassazione chiude il maxi-processo con tanti ergastoli per i boss di Cosa Nostra.
Il tradizionalee collaudato rapporto tra mafia e politica, tra dc corrotta e mondo mafioso.
Calogero Mannino, ministro siciliano della Democrazia Cristiana, percepisce di essere in pericolo e confidandosi con il maresciallo Giuliano Guazzelli dice: "O uccidono me o Lima".
Una intuizione profetica.
Il 12 marzo, l'eurodeputato Salvo Lima è immersa in una pozza di sangue, sull'asfalto di Mondello.
Mannino ha paura. La sua paura diventa terrore il 4 aprile 1992, quando anche Guazzelli viene assassinato.
Mannino passa a cercare aiuto: in segreto incontra a Roma il generale del Ros Antonio Subranni, lo 007 palermitano Bruno Contrada e il capo della Polizia Vincenzo Parisi.
L'obiettivo del ministro siciliano è aprire un contatto con Cosa Nostra per verificare se c'è un modo per fermare la furia vendicativa ed omicida della mafia dopo la conclusione del maxiprocesso.
Ma il 23 maggio 1992, sulla collinetta di Capaci, Giovanni Brusca preme il telecomando che fa saltare in un tratto di autostrada Palermo-Punta Raisi con 500 chili di tritolo Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo, e tre uomini di scorta. L'Italia è nel caos.
Il 25 maggio, dopo la mancata elezione di Giulio Andreotti, e una votazione che a sorpresa ha attribuito 47 voti al giudice Paolo Borsellino, sale al Quirinale Oscar Luigi Scalfaro.
L'8 giugno, Claudio Martelli, ministro socialista della Giustizia, vara un decreto antimafia che contiene misure repressive, come l'inasprimento del regime carcerario per i boss, che però non viene reso operativo immediatamente.
Le istituzioni sono in preda al terrorismo mafioso.
In questo contesto il capitano del Ros-Carabinieri Giuseppe De Donno contatta, guarda caso in un volo aereo, Massimo Ciancimino e gli chiede un colloquio con il padre, l'ex sindaco mafioso democristiano di Palermo, don Vito.
Inizia la trattativa nell'intento di fermare lo stragismo.
Ciancimino collabora, ovviamente non "gratis", vuole coperture "istituzionali". De Donno informa dei colloqui il direttore dell'Ufficio affari penali, Liliana Ferraro, che, a sua volta, ne parla a Martelli. La Ferraro riferisce l'iniziativa del Ros anche a Borsellino.
Il giudice non pare sorpreso: "Ci penso io", dice.
Il boss dei boss Totò Riina, fautore della sfida stragista, esulta: "Si sono fatti sotto!".
E' Riina a preparare il cosiddetto "papello" con dodici richieste, tra cui la revisione del maxiprocesso e la legge sulla dissociazione.
Sono i giorni in cui Giuliano Amato vara il nuovo governo dei tecnici; Vincenzo Scotti, ministro democristiano degli Interni, considerato dal suo partito un "falco" in materia anti-mafia, viene silurato. Al suo posto al Viminale arriva Nicola Mancino, Dc di sinistra (se questa definizione ha mai avuto un significato) allo stesso modo di Mannino, ritenuto più malleabile.
Anche Martelli rischia di saltare, ma resta alla Giustizia; il democristiano Giuseppe Gargani (anche lui della sinistra Dc) viene proposto dalla dc al suo posto, promettendo di fermare Tangentopoli.
Totò Riina intanto continua a progettare omicidi. Il killer Giovanni Brusca, accompagnato dal complice Gioacchino La Barbera, effettua sopralluoghi a Sciacca e a Palermo nelle segreterie di Mannino per pianificare l'agguato che dovrà colpire il ministro siciliano.
A fine giugno, Borsellino in lacrime confida ai colleghi Massimo Russo e Alessandra Camassa: "Un amico mi ha tradito". Il sospetto degli inquirenti è che si riferisse ad un uomo in divisa, forse a Subranni. Agnese Borsellino, racconterà ai magistrati nisseni di aver saputo dal marito che il comandante del Ros era un uomo d'onore. E che "c'era un colloquio tra la mafia e parti infedeli dello Stato".
Subranni oggi ammette di aver saputo della trattativa, ma solo a cose fatte, cioè quando i colloqui tra Mori e don Vito Ciancimino erano già avviati.
Il 1° luglio è il giorno dell'insediamento di Mancino quale Ministro degli Interni.
Mentre si trova a Roma per interrogare Gaspare Mutolo, Borsellino viene convocato al Viminale. Il giudice palermitano incontra il neo-ministro, anche se Mancino ammette la circostanza solo dopo vent'anni.
Al ritorno dal colloquio col ministro, riferisce Mutolo, Borsellino era  nervoso.
Il pentito riferisce inoltre che durante quell'interrogatorio un funzionario della Dia parla di dissociazione. E che Borsellino commenta: "Questi sono pazzi!".
19 luglio 1992- un'auto imbottita di esplosivo salta in aria in via D'Amelio a Palermo e muoiono Paolo Borsellino, che secondo il pentito Giovanni Brusca viene considerato un intralcio alla trattativa, e cinque uomini della scorta.
Antonino Caponnetto, l'uomo che ideò il pool antimafia (grazie ad un'intuizione di Rocco Chinnici, magistrato ucciso da Cosa Nostra nove anni prima), intervistato dalla tv pronuncia queste parole: "È finito tutto, non mi faccia dire altro".
Il nuovo atto terroristico mette lo Stato in ginocchio, ma neppure adesso la classe politica trova la forza di reagire compatta.
Il ministro della Giustizia Martelli deve firmare personalmente il decreto che istituisce il 41 bis, varato il mese precedente, trasferendo i boss detenuti a Pianosa e all'Asinara, perché - dice lui stesso - "non si trovava chi volesse firmare".
A dicembre finisce -finalmente- per la prima volta nella sua lunga vita affaristico-mafiosa in carcere don Vito Ciancimino, e a gennaio '93 è la volta di Riina, il cui covo non viene pero' perquisito.
L'arresto del capo dei capi avviene all'insaputa del ministro dell'Interno Mancino. "L'ho saputo da una telefonata del capo dello Stato, che si congratulava con me. E anche il presidente del Consiglio non ne sapeva niente", dirà Mancino al presidente della Corte di assise di Firenze, che non ha potuto commentare: "È formidabile".
Intanto i corleonesi si affidano a Brusca e Bagarella con Provenzano più defilato, dietro le quinte. E nelle parole dei pentiti spunta Dell'Utri come "uomo-cerniera" tra mafia e Stato, in regime -ormai- di II repubblica.
La trattativa prosegue sulla gestione del 41 bis, quel decreto firmato da Martelli.
A febbraio '93 salta Martelli (accusato da Silvano Larini e Licio Gelli di avere usato il Conto Protezione) e al Ministero arriva Giovanni Conso. "Non ho mai capito che era in corso una trattativa - dice oggi Martelli - altrimenti avrei scatenato l'inferno".
Le bombe continuano in via Fauro a Roma contro Maurizio Costanzo, che scampa all'attentato, e in via dei Georgofili a Firenze: 5 morti e 48 feriti.
A giugno il duo Capriotti-Di Maggio, con la regia del presidente Scalfaro e l'input dei cappellani delle carceri sostituisce Nicolò Amato al vertice del Dap, il Dipartimento.
Il 26 giugno Capriotti propone di confermare i provvedimenti di 41 bis. E la risposta di Cosa nostra arriva a fine luglio con le bombe di Roma e Milano.
Il 10 agosto la Dia avanza l'ipotesi di una trattativa in corso.
E a novembre arrivano 343 revoche di provvedimenti di 41 bis decise da Conso "in assoluta solitudine".
Questa fase del dialogo si chiude il 27 febbraio del '94 con l'arresto dei boss Giuseppe e Filippo Graviano, che segna la fine delle ostilità.

Silvio Berlusconi si insedia a palazzo Chigi, quando dietro le quinte, secondo i pentiti, Marcello Dell'Utri ha già siglato il nuovo patto di convivenza con Cosa Nostra.
Dal 1996, e per circa dieci anni, la lotta alla mafia esce dall'agenda dei segretari dei partiti; Cosa Nostra appare definitivamente sconfitta e così viene raccontata dai media, che si tratti di media di destra o di sinistra, dei media di De Benedetti o delle tv di Berlusconi.
Riemerge improvvisamente nel dicembre del 2005 con il volto di Massimo Ciancimino, che tra annunci e mezze verità comincia a parlare con i pm e racconta degli incontri tra suo padre e gli ufficiali del Ros, sollecitando la memoria di Martelli, Conso, Ferraro, Violante, Scalfaro, Ciampi, Mancino, Amato.
E dopo quattro anni di tira e molla, consegna ai magistrati il "papello".

Nelle procure di Palermo e Caltanissetta lo Stato tenta di processare se stesso.
Sfilano davanti ai pubblici ministeri ministri, parlamentari e funzionari in una commedia di reticenze, di bugie e di smemoratezze.
Caltanissetta, che sulla stressa materia conduceva indaggini, archivia il fascicolo, ritenendo le condotte dei politici "non penalmente rilevanti", ma formulando pesanti giudizi morali sui personaggi reticenti e smemorati.
Palermo, la procura, va invece avanti ipotizzando il reato di "violenza o minaccia al corpo politico dello Stato".
Dopo quattro anni, i magistrati depositano gli atti, centinaia di intercettazioni svelano le manovre per aiutare Mancino, che si sente "uomo solo" e che chiede a tutti (magistrati di Cassazione, vertici di ogni genere delle istituzioni) di essere tutelato .... per non essere costretto di .... fare dei nomi.
Partono, sono notizie di queste ore, le interferenze del Colle per salvare la classe politica (classe politica da quattro soldi) che ha trattato con Cosa Nostra, e comincia da questo punto il romanzo, la telenovela, Quirinale. Telenovela molto seguita sulle pagine de IL FATTO-quotidiano.
In mano di chi sono stati in tutti questi anni  gli italiani !
Come e' possibile che in questo paese siano scomparsi gli "statisti " ?
E arriviamo ad oggi pomeriggio, alla Camera ?
La trattativa Stato-mafia è qualcosa che non riguarda il ministro Severino.
«Non appare configurabile alcuna violazione di legge e quindi non sono attivabili iniziative da parte del ministero», ha riferito il ministro.
La guardasigilli ha comunque espresso, nel corso del question time, tutto il desiderio affinché si faccia chiarezza.
«A 20 anni dalle stragi di mafia non può che condividersi l'esigenza di piena verità su quella dolorosa stagione».
Ma «a tale debito si può assolvere solo nel rispetto delle leggi, fuori da ogni strumentalizzazione».
Chi ha da intendere, intenda.

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