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martedì 10 gennaio 2012

Conoscenza, paura e potere.

di Paolo Borgia

Pico della Mirandola, scomparso qualche secolo fa, viene ricordato per intelligenza e memoria eccezionali: un ineguagliabile paradigma assoluto, che in quanto tale non deve far sentire il comune mortale meno che niente. Piuttosto, la realtà umana è costituita da una originaria mediocrità, dalla quale si cerca di emergere da soli e con gli altri. Per questo gli uomini parlano tra di loro e scrivono; si intendono, si scambiano tra loro i pensieri, cercano il pensiero e l’aiuto degli altri in famiglia e nel lavoro. Senza la parola e la lingua riesce difficile persino pensare all’uomo, alla persona e alla società.
La scrittura ha ulteriormente arricchito la lingua e il potere dei pochi in grado di disporne. Penso a quando, ancora ieri, il treno si fermava alle stazioni e il capotreno gridava dal marciapiede il nome del luogo per chi non sapeva leggere le apposite tabelle. O quando, meno di cent’anni fa all’entrata dei paesi apparvero le tabelle nere del Touring Club indicanti la località sovrapposta ad una sottile banda rossa per lo sponsor, la benzina “Lampo”, mentre ancora a segnalare una mescita c’era una frasca appesa a lato della porta.
Il libro ha consentito la divulgazione del sapere e il sapere si è dilatato in modo esponenziale. Tanto che ormai siamo in grado di abbracciare solo i rudimenti della conoscenza. Anche scienziati di grande valore e fama possono permettersi appena un sapere eclettico, potendo solo approfondire la conoscenza della propria branca professionale e senza poter considerare mai concluso il loro periodo di apprendimento. Pensiamo al difficilissimo compito assolto dal medico generico, vero sinottico dell’arte medica, costretto a dedicare molta parte del proprio lavoro ad aggiornarsi sullo stato dell’arte e sull’evoluzione della farmacologia.
D’altra parte, però, non può esser passato inosservato un fenomeno di ritorno; dagli inizi degli anni ottanta (del XX secolo) il sapere inizia a circolare meno. Il nuovo sapere va ad appannaggio degli addetti ai lavori; sapere e “know-how” diventano prerogativa esclusiva di pochi. Senza voler negare la legittima ricompensa dell’abilità personale che va rimunerata sempre in modo congruo e non solo con commende e cavalierati, si nota, però, un egoismo autoconservativo, talvolta addirittura avverso alla società civile e capace di propinare false verità pur di mantenere qualche nicchia di privilegio o di potere. Un esempio ci aiuterà più di mille parole.
Negli anni ottanta una della navicelle spaziali “Columbus” appena dopo il lancio da terra, a causa dell’esplosione del missile vettore, prese fuoco. Morì tutto l’equipaggio. L’ossigeno che riempiva la cabina, necessario alla sopravvivenza, risultò un assassino incendiario. Lo sgomento della popolazione costrinse il parlamento degli USA a sospendere i finanziamenti alla NASA (Agenzia Nazionale Aeronautica e Spaziale). Almeno centomila scienziati, tecnici, specialisti occupati in centinaia di ditte sparse nel Nordamerica si trovarono tutt’a un tratto a dover affrontare il problema della disoccupazione. Era marzo. A luglio un oscuro tecnico della NASA pubblicò un libro in cui si portava a conoscenza dell’opinione pubblica che sui Poli c’era un calo d’ozono e che in 11 anni tale “buco” s’era allargato (come mai prima non ci era stato detto?). Un buco che, a suo dire, prima non c’era e che i fluoro-cloro-carburi delle bombolette spray (deodoranti, schiume da barba ecc.), le perdite dei frigoriferi e l’eccessiva presenza di gas combusti nell’atmosfera producevano. Il libro riscosse un vastissimo successo: la paura d’una nuova catastrofe si diffuse nell’opinione pubblica. Tanto che a novembre il parlamento USA si vide costretto dal furore popolare a rifinanziare l’attività della NASA e così i centomila disoccupati del settore aerospaziale uscirono dall’incubo della indigenza. Fin qui i fatti.
La prima domanda che ci poniamo è se ciò che si disse corrisponda a verità o se piuttosto non sia strumentalmente premeditato per innescare un acme allarmistico utile per lo scopo nascosto; la seconda è come possa un libro avere una tale forza.
Per quanto concerne la prima questione si può affermare che:
un solo missile vettore bruciando combustibili liquidi (con fluoruri e cloruri) produce una riduzione di ozono nella intera alta atmosfera, non solo ai Poli, paragonabile al consumo mondiale di più annualità di bombolette spray;
inoltre, ferma restando la necessità d’incentivare l’impiego di idrogeno come combustibile e nel contempo di ridurre drasticamente i consumi energetici, va notato che il CO2 è indispensabile per la fotosintesi clorofilliana e per il mantenimento (per fare l’“ossatura”) della flora e della fauna marina; il mare, va detto, dopo più di duecento anni di scarichi inquinanti ha ora una ridotta capacità di assorbimento del CO2 e dell’ossigeno (e sta morendo) e rilascia con difficoltà e in modo scomposto, irregolare e violento l’acqua che forma le nubi;
l’affermazione (per estrapolazione) che prima degli 11 anni documentati il buco polare dell’ozono non c’era, è metodologicamente priva di fondamento; il buco, poi, dall’anno della pubblicazione dell’infame libercolo, è andato a sparire e gli astrofisici (tutti) hanno correlato il fenomeno alle cicliche fasi della attività solare; si ipotizza che la minore quantità d’ozono ai Poli sia legata alla esposizione ai raggi solari della loro atmosfera, scarsa d’estate e nulla d’inverno, mentre quella della fascia intertropicale è estesa zenitale, p.es. negli 11 mesi successivi all’eruzione del vulcano Pinatubo la temperatura del pianeta scese di 0,56°C e l’ozono diminuì del 15% nella fascia intertropicale, del 10% da noi e molto meno ai poli e dalla TV ci fu detto di non esporre al sole i bimbi dalle 11 alle 15 perché era pericoloso, senza altra spiegazione e senza che nessun organo di stampa nostrano avesse raccolto il comunicato che la NOAA (Agenzia Nazionale per l’Atmosfera e l’Oceano degli USA) aveva emesso e che l’ANSA aveva diffuso al mattino del 8 luglio 1992 (solo la rubrica televisiva Meteo2 rilanciò la notizia).
Ciò detto, ora sarà più agevole svolgere il secondo quesito ed è questo l’oggetto a cui dobbiamo porre l’attenzione come uomini che vogliono essere liberi e quali riflessi ha su una minoranza che è tale in quanto non ha sufficienti risorse materiali e culturali proprie di autotutela.
Credo fermamente che conoscere la verità ci fa liberi, se siamo testimoni coerenti ad essa nell’agire (Gv.8,32). La questione che stiamo affrontando, rilevante sotto il profilo etico e civile, si inserisce nel contesto degli interrogativi che scaturiscono dalle nuove possibilità offerte dalla ricerca scientifica e dal progresso tecnologico. La visione della vita e le convinzioni ci sembrano scardinate e, d’altra parte, è estremamente difficile districarsi tra la ridda di opinioni e tra i vari “girotondi” presenzialisti che tendono ad imporre col fracasso della “maggioranza democratica” scelte non sempre buone, giuste e disinteressate.
Concretamente, salvaguardando il principio morale della dignità della persona che non ammette né deroghe né eccezioni, occorre determinare quale sia la migliore e la più giusta soluzione da scegliere, di volta in volta, tra le diverse strategie e interessi in campo. In tal senso una corretta dialettica politica dovrà individuare e realizzare gli strumenti in grado di promuovere il bene di tutti e di ciascuno, nel rispetto della integrità dell’essere umano e promuovere così l’autentica libertà, intima vocazione del vero laico. E’ necessario, perciò, il dialogo sincero e l’ascolto reciproco, capaci di produrre una cultura sensibile all’istanza di una autentica democrazia.
Qui mi sarebbe piaciuto concludere. Purtroppo, però, c’è un problema, che da solo è in grado di rendere vana ogni ricerca sincera della verità e che deve spingere ad azioni solidali da parte di tutti. Si tratta della persuasione occulta; vediamo di che si tratta, iniziando da due esempi.
Introduciamo l’ipotesi, certo non astratta, che i nostri tris-trisnonni non sapessero leggere, allora la loro cultura e il loro linguaggio potevano provenire solo dalla tradizione orale-gojëdhëna e dalla dotta sapienza diffusa dai santi preti che avevano studiato in Seminario e conosciuto il mondo materiale e spirituale a Roma nel Pontificio Collegio Greco, nelle Pontificie Università e negli Archivi della Congregazione de Propaganda Fide e in quelli Vaticani.
So per certo, invece, che mio nonno, aveva un bella calligrafia e amava leggere. Ci teneva. Infatti in una sua foto fatta a Napoli, coscritto nel 1911 durante la campagna di Libia, appare seduto in uniforme, tenendo tra le mani “Il giornale di Sicilia” aperto su una pagina interna; in età matura dota il carretto del freno, che alleggerisce in discesa il carico sul mulo e, inoltre, quando muore, nottetempo, nel sonno, è in compagnia dei “Promessi sposi” appoggiato sul comodino, col santino di San Giorgio a segnalibro.
Tra queste due generazioni c’è stata una enorme quantità di innovazioni tecnologiche ed un allargamento delle conoscenze ma anche un radicale cambiamento dello stile e qualità della vita. Tra le cose nuove credo, però, che vadano considerate più importanti, dopo la diffusione della stampa, la nascita dei giornali insieme al diffondersi delle telecomunicazioni. Con esse finisce l’isolamento in cui si svolgeva la vita in ogni luogo, quella del pastore errante in Asia come quella, di nostro interesse, del contadino dell’Italia meridionale .
Nel contempo, un secolo fa, Ferdinand de Saussure poneva le basi della semiologia come disciplina autonoma con il suo Corso di linguistica generale (pubblicato nel 1913). Gia! La semiologia,  “semiotics” come dicono gli americani, la scienza dei segni, che coglie le regole e la metodologia della comunicazione. Charles Sanders Peirce parlava di “semiosi illimitata”, come dire: il fumo rimanda al fuoco, il fuoco evoca una comunità, una comunità è potenzialmente nemica, un nemico può minacciare la pace… Più tardi Roland Barthes ci dice che una bistecca con le patatine e i “Promessi sposi” sono enunciati, testi (“tessuti”) di eguale valenza. Umberto Eco vede nel fruitore colui che produce un significato al testo (“macchina pigra”), uno degli infiniti “sensi” di un testo. Testi da intendere, con Gianfranco Bettetini, il luogo in cui avviene lo scambio di comunicazione, più che la comunicazione vera e propria. Poi nasce Internet e tutta la semiologia va in crisi.
Intanto, però, senza fare clamore si va estendendo l’applicazione di quanto la semiologia aveva germinato. Si persuadono e si condizionano masse ignare, non in modo palese e brutale ma morbidamente passo dopo passo, per così dire “a rate”. Una volta conosciuti i meccanismi della comunicazione, si mette in atto il concetto della semiosi illimitata nel campo commerciale (spot pubblicitari), nell’informazione politica tattica (condizionamento, disinformazione) e nell’azione militare (“intelligence”, trattamento dati, escussione del nemico). Si tratta, una volta stabilito l’obiettivo da imporre, di partire dal traguardo (da raggiungere) andando a ritroso verso il punto di partenza, cioè dallo scopo, a cui si vuol tendere, regredire a tappe alla situazione di opinione iniziale. Capovolto, poi, l’ordine di successione, ne risulta una azione di diffusione di una serie di “input dosati” sui “media” compiacenti, una serie temporale di scelte d’opinione forzate univocamente, di biforcazioni d’opinione pilotati o “creoti”, fino all’obiettivo da imporre, obiettivo che nella convinzione generale parrà scelto liberamente dalla società civile.
Tutto questo è manipolazione mediatica: l’impiego delle conoscenze semiotiche ed altre, per violare la libertà umana, ossia per assoggettare al volere di oligo-potentati occulti (burattinai) la moltitudine umana (pupi), annichilendone l’autonomia e la personalità. La semiologia da scienza umanistica diventa potenziale strumento di disumana tirannia occulta.
Finché si tratta di bere “Coca-cola”, di mangiare “hamburger” con “ketchup” da “Mcdonalds” o di curare il “glamour” (quell’insopportabile fascino massificato) per essere “in”, passi ma quando si vuole contrabbandare male per bene, guerra per pace o giustizia per iniquità, occorre difendersi e contrattaccare. Sviluppare lo studio e la ricerca nelle discipline umanistiche, finora considerate improduttive e che in questo contesto hanno assunto un ruolo utile e indispensabile alla società civile, contraltare per la salvaguardia dello stato democratico dal rischio d’involuzione pluto-oligarchica planetaria. Poi costituire canali di controinformazione, cosa che è ieri era difficile e costosa da realizzare e che oggi, grazie alla rete telematica, è semplice e possibile anche per la più povera, sprovveduta ed inerme tra le infinite minoranze del pianeta. Queste a detta di molti studiosi sono la salvezza, già in atto, per l’appiattita cultura globale ormai giunta ai suoi limiti strutturali che sempre più fa ricorso alle risorse “altre” per dare un barlume d’anima, per sollevare dalla decadenza, per mantenere ad un livello di decenza la produzione artistica e culturale, che anche la più potente capacità organizzativa da sola non è in grado di proporre. Pensiamo alla forza interiore della sperduta ma sana e credula provincia americana, che la letteratura e la filmistica ci continuano a proporre, contrapposta alla decadenza degli empori bostoniani, losangesiani e nuovayorchesi. Certo, per salire sul treno delle ultime opportunità, c’è molto da fare ma soprattutto tocca rimboccarsi le maniche e riportare al lucido la propria identità forse un po’ opacizzata dalle troppe tentazioni al mimetismo. Credere fermamente nel proprio io e con l’aiuto di Dio incrementare l’informazione indipendente, un po’ come da tanto tempo, instancabilmente, fa KY, ideale palestra idonea al cimento  arbrescio.

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