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giovedì 8 settembre 2011

La Natività di Maria -nel rito bizantino- come illustrata dall'edizione di oggi dell'Osservatore Romano

Oggi la sterile partorisce il nido del Signore

La Natività della Madre di Dio è una delle feste mariane più arcaiche, di origine gerosolimitana, testimoniata già nel iv secolo e introdotta a Costantinopoli nel vi secolo e a Roma nel VII. I testi dell’ufficiatura nella tradizione bizantina della festa — che riprendono autori di Gerusalemme (Stefano, VI secolo) o costantinopolitani (Sergio e Germano, secoli VII-VIII) — sottolineano la preghiera di Gioacchino e Anna nell’angoscia per la mancanza di discendenza e la grande gioia per la nascita di Maria.
Romano il Melodo (VI secolo) ha un kontàkion per la festa della Natività della Madre di Dio. Nella strofa introduttiva l’autore riassume i temi svolti nel testo e soprattutto il mistero che la festa celebra e contempla: Maria stessa, cantata con i titoli di «Madre di Dio, immacolata, nutrice del genere umano», e la sua nascita, fonte di gioia per due coppie, quella di Gioacchino e Anna, liberati dalla vergogna della sterilità, e quella di Adamo ed Eva, liberati dalla morte.
Le due prime strofe sottolineano la mancanza di discendenza di Gioacchino e Anna e la loro preghiera fervente per ottenere il dono e la benedizione di Dio: la preghiera di Gioacchino avviene sul monte, quella di Anna nel giardino (in greco, «paradiso»); con queste due immagini Romano sembra evocare luoghi dove poi Cristo stesso pregherà: «La preghiera e il lamento di Gioacchino e Anna per la mancanza di figli trovarono accoglienza, giunsero all’orecchio del Signore e fecero germogliare un frutto portatore di vita per il mondo. L’uno sul monte recitava la sua preghiera, l’altra nel giardino sopportava la sua umiliazione».
Tre altre strofe contemplano e riassumono la nascita di Maria e il suo ingresso nel tempio, due misteri celebrati dalle Chiese cristiane appunto l’8 settembre e il 21 novembre. Gioacchino e Anna offrono nel tempio i doni prescritti dopo la nascita di Maria: «Gioacchino aveva già recato doni al tempio, ma non erano stati graditi: era privo di discendenza. Ma nel tempo opportuno egli presenta la Vergine con i doni di ringraziamento insieme ad Anna. Gioacchino invitò alla preghiera sacerdoti e leviti e condusse Maria in mezzo a loro».
La quinta strofa del poema riassume il mistero dell’ingresso e la vita di Maria nel tempio, dove lei vive nutrita dalle mani di un angelo ed entra accompagnata da dieci vergini con le lampade accese tra le mani. Quindi, servendosi dell’immagine del ruscello che sgorga dal tempio (in Ezechiele, 47, 1-12), Romano sottolinea come, grazie alla presenza di Maria il tempio stesso diventa luogo da dove sgorga la vita: «Un flusso di vita hai fatto sgorgare per noi, tu che avesti il dono di essere nutrita nel santuario da un angelo, tu che sei santa fra i santi, e tempio e nido del Signore. Le vergini condussero la Vergine con lampade prefigurando il Sole che ella diede ai credenti». Oltre all’immagine del «tempio», Romano applica a Maria quella di «nido del Signore».
Segue la preghiera di ringraziamento di Anna. Il dono di Dio per la nascita di Maria la fa simile all’altra Anna per la nascita di Samuele il profeta; costui nel servizio diventa sacerdote del Signore, Maria diventa Madre del Signore: «Tu hai dato ascolto a me, o Signore, come a quella Anna. Ella offrì il figlio Samuele affinché servisse come sacerdote il Signore, e tu anche a me hai fatto un dono. Grande è la mia ventura perché ho generato una figlia che genererà il Signore Dio prima dei secoli, Colui che dopo il parto conserverà la madre vergine come è. Sarà lei, o misericordioso, la tua porta per la discesa dall’alto dei cieli».
Il poeta descrive quindi l’incontro e il fidanzamento di Maria e Giuseppe: «Maria ora risplende al volgere delle stagioni e rimane nel tempio dei santi. Vedendola nel fiore della giovinezza, Zaccaria per indicazione della sorte la pone sotto l’autorità del fidanzato Giuseppe, suo promesso sposo per volere divino. Ella è donata a lui mediante un bastone mosso dallo Spirito Santo».
Alla fine Romano elenca una serie di titoli che collegano Maria col mistero della salvezza operato da Cristo: «Il tuo parto, o Anna veneranda, è benedetto perché hai partorito la gloria del mondo, l’agognata mediatrice per per il genere umano. Ella è muraglia, fortezza e rifugio di quanti in lei confidano. Ogni cristiano ha in lei protezione, riparo e speranza di salvezza». Chiude il poema una preghiera a Dio, l’unico amico degli uomini.

Manuel Nin

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