StatCounter

lunedì 19 settembre 2011

La Grecia è sull'orlo del baratro e ci resterà, se non capirà che deve tirarsi fuori da sola senza fare prevalentemente affidamento sui paesi europei

Grecia (1)
L’Europa non trova le giuste argomentazioni per spiegare ai propri elettori, ai propri contribuenti, le ragioni per cui con i soldi delle tasse si deve aiutare un paese che ha scialacquato oltre le proprie possibilità. E intanto, la prossima tranche di aiuti, che era attesa per settembre, slitta ad ottobre, e se non dovesse arrivare nemmeno ad ottobre, la Grecia potrebbe essere costretta a dichiarare il default perché non avrà più un euro in cassa. Non rimborserà più il suo pesante debito con conseguenze pesantissime soprattutto per le banche francesi che detengono buona parte dei titoli greci, ma anche per Unicredit ed altrte banche pure italiane. Si aprirà una catena di affanni che diventeranno voraggini per il resto dell'Europa. Si bloccherà comunque la vita dello Stato greco con conseguenze pesantissime per la gente.
I ministri dell'Economia si sono riuniti in questi giorni, dallo scorso 21 luglio quando approvarono l'aumento del fondo salva-Stati (Efsf) e il secondo piano salva-Atene, composto da prestiti da 109 miliardi.
Da allora, entrambi i piani sono rimasti al palo anche perché la Merkel doveva affrontare alcune tornate elettorali che ha regolarmente perso: i tedeschi infatti non si capacitano di dover fare sacrifici per salvare oggi la Grecia e domani l’Italia, paesi che stanno dimostrando di non saper badare a se stessi.
Certo fra i problemi c’è quello delle garanzie sui nuovi prestiti alla Grecia. Subito dopo l'accordo del 21 luglio, la Finlandia, sotto la pressione del partito euroscettico, ha cominciato a negoziare con Atene un accordo che garantisse la sua parte di prestito. E subito Austria e Olanda l'hanno imitata, chiedendo una contropartita anche sotto forma di immobili o altri beni dello Stato (l’Acropoli di Atene … merce di scambio). Per evitare un trattamento di favore per alcuni, da settimane si negozia per raggiungere una forma di garanzia comune a tutti, senza mettere in pericolo l'intero piano.
C’è il problema sulle ratifiche all'accordo che porta il fondo salva-Stati da 250 a 440 miliardi di euro e ne aumenta i poteri, dandogli la capacità di acquistare bond sul mercato secondario, di ricapitalizzare le banche e di aprire linee di credito per quei Paesi che non rientrano in programmi di aiuto. Finora solo cinque Stati, tra cui l'Italia, l'hanno ratificato.
Intanto, la nuova tranche di aiuti alla Grecia dal vecchio piano, ovvero 8 miliardi di euro che Ue-Bce-Fmi avrebbero dovuto sbloccare a settembre, resta congelata almeno fino ad ottobre. Il via libera non c'è stato perché la Grecia non ha rispettato gli obiettivi richiesti (a parte il mal di pancia dei contribuenti tedeschi.
E mentre restano ancora tutte aperte le incognite sulla soluzione del caso Grecia, prendono consistenza le voci sul suo possibile default: «È da prendere in considerazione se il salvataggio fosse troppo costoso», dice il ministro austriaco delle finanze, Maria Fekter.
Il segretario del Tesoro statunitense, Tim Geithner, dà intanto una strigliata alla gestione europea della crisi. Le divisioni fra i governi dell'area euro e quelle all'interno della Banca centrale europea, ha detto Geithner mettono a rischio le contromisure contro la crisi quando servirebbe massima collaborazione per togliere dai mercati gli attuali «rischi catastrofici. Non basta la collaborazione fra banche centrali.
Quello che è molto dannoso -secondo gli americani- non è solo vedere le divisioni europee nel dibattito sulle strategie, ma il conflitto continuo fra i Paesi e le banche centrali.

Nessun commento:

Posta un commento