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giovedì 15 settembre 2011

Agricoltura siciliana in difficoltà: imprenditori che producono a costi elevati e lavoratori con scarse tutele

Nell'ultimo quinquennio a causa della crisi economica attraversata dal paese che ha peraltro prodotto un aumento eccezionale dei costi di produzione, con particolare riferimento al gasolio ed ai concimi, sono state 50 mila le aziende hanno abbandonato il comparto agricolo. 
Le altre aziende che resistono hanno il fiato grosso a causa della mancanza di liquidità dovuta al crollo dei prezzi sia dei cereali che degli altri generi.
Per la Confagricoltura servono le norme in materia di proroga delle cambiali agrarie e di assestamento delle passività nei confronti degli istituti di credito e dell'Inps.
Sempre secondo la Confagricoltura il governo regionale mostra, giustamente, grande interesse al caso Fiat di Termini, al punto che il governo nazionale ha parlato di investire un miliardo per salvare il salvabile, soldi statali, regionali e un po' anche dei privati, mentre si disinteressa completamente  dell'agricoltura siciliana che impegna direttamente ed indirettamentecentinaia di migliaia di persone.
Salvare Termini Imerese e i 2.100 posti di lavoro è doveroso, ma  nello stesso tempo non si può abbandonare al suo destino il comparto agricolo che produce il 14% del Pil siciliano. Sulla stessa linea della Confagricoltura è la Cgil Flai, che continuano a invocare interventi strutturali, riorganizzazione e ottimizzazione delle imprese contro la letale parcellizzazione. Il segretario regionale, Totò Tripi, quello catanese, Alfio Mannino, così come quelli delle altre province che dovrebbero vivere di agricoltura, sono allarmati della situazione.
Secondo la Flai-Cgil nel Fondo europeo per lo sviluppo rurale giacciono due miliardi e cento milioni non spesi. Ne sono stati impegnati appena il 15% a causa dei problemi interni alla maggioranza politica che regge il governo Lombardo.
Nel quadro della crisi c'è, l'incapacità di impostare serie politiche agricole, ma c'è anche, per esempio, la presenza sul territorio di troppe piccole imprese agricole. Basti pensare che a Catania ce ne sono oltre 15 mila. Difficile, così, essere competitivi sui mercati, il sistema è arretrato e superato e, naturalmente, sempre più avvilito e accerchiato. Al punto che, per sopravvivere, il sistema ha lasciato dilagare l'illegalità che ha portato la quota di lavoro nero a percentuali impressionanti.
Il lavoro nero raggiunge almeno il 50% del totale. Chiaramente ciò è stato anche legato alla presenza di immigrati che si trovano in condizioni disperate e accettano qualsiasi condizione pur di lavorare.
E il dilagare del lavoro nero, degli ingaggi fatti dai caporali, sta coinvolgendo sempre più anche i lavoratori locali, che si trovano costretti pur di lavorare ad accettare le condizioni di imprenditori a loro volta con l'acqua alla gola.
Intanto tutto sembra procedere verso la crisi irreversibile, anche perché gli agricoltori sono schiacciati dai costi vivi e dal fatto che pur vendendo, se vendono, non riescono manco a recuperare quel che hanno speso per produrre, crescono i costi dei trasporti (con i carburanti) e loro pagano i sovrapprezzi.
Per i lavoratori oggi la disoccupazione scatta per chi ha lavorato almeno 102 giorni in un biennio, quindi la media di 51 giorni l'anno. Se no in un anno si deve avere lavorato almeno 78 giorni.

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