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mercoledì 9 marzo 2011

Nella seconda metà dell'Ottocento -con l'Unità d'Italia- in Sicilia mette piede solidamente la mafia, perchè ?


La Prefazione al libro di Anton Blok
Premessa
Charles Tilly, lo studioso americano che ha scritto la prefazione alla seconda edizione del libro di Blok, sin dalle prime righe ci introduce nei concetti-chiave che reggono il discorso di fondo del libro. Nell'odierna societa', retta dalla certezza delle regole, delle leggi, nessun cittadino puo' fare uso della violenza. La coercizione, l'uso della forza, compete solamente allo Stato entro i limiti delle fattispecie predeterminate, e ciòpuò avvenire mediante le forze dell'ordine e la magistratura.
Da lungo tempo conseguentemente gli Stati moderni hanno proceduto a disarmare le popolazioni, a fissare controlli efficaci sulle armi, a disciplinare le forze di polizia e a relegare nel discredito i banditi e coloro che non si attengono alle leggi o fanno uso della violenza. In buona sostanza il crescendo controllo democratico ha fatto si' che lo Stato (attraverso i suoi organi) si sia assicurato il monopolio del potere e della violenza (da usare quando e come prescritto ... dalle leggi).
Così e' in generale, così è la regola, anche se sappiamo bene come molte insurrezioni, comprese quelle che avvengono in questi giorni nel Nord Africa, sono in qualche modo alimentate da bande approvvigionate con armi, assassini e violenze di Servizi Segreti (nazionali e non). In piu' parti del mondo servizi segreti e forze di polizia (talora definite "deviate") frequentemente collaborano con criminali, trafficanti di droga e malviventi per "incanalarne" l'attivita'. Ma sono devianze dalla regola.
In Sicilia, secondo l'analisi di Blok, anche in seguito al formassi dello Stato moderno originato dalla fine della feudalita' nel 1812 e rafforzato (ma non tanto) dallo Stato unitario del 1860, gli specialisti della violenza privata non solo hanno continuato a prosperare ma addirittura hanno visto accrescersi, dilatarsi, la loro influenza.
Cosa fa Blok con la sua ricerca
Blok col suo libro non pretende definire un paradigma universale sull'uso della violenza privata, pero' concentra tutto il suo bagaglio culturale per studiare le condizioni ambientali che hanno condotto al fiorire della "mafia" e delimita dal contesto socio-ambientale le strutture su cui si e' successivamente retta.
L'antropologo ritiene che la "Mafia", struttura unica monolitica, non esista; esiste invece la "mafia" di tanti aggregati che interagiscono fra loro e che coltivano interessi comuni.
Il problema di fondo dello studioso non e' di individuare questo o quel mafioso, o di giudicare il suo comportamento, ma di individuare all'interno della comunità locale i fattori economico-politici che intrecciano, in un unico corpo, l'uso della violenza privata e gli apparati della vita economico-politica della societa' civile.
Il microcosmo sociale preso in considerazione da Blok, per il periodo 1860-1960, originariamente era strutturato su tre classi sociali:
1) persone senza terra, o con poca terra, che lavoravano i campi lasciando gran parte del prodotto del loro lavoro al altri;
2) i grandi proprietari terrieri, che in genere abitavano nei palazzi cittadini di Palermo, e che godevano della rendita fondiaria;
3) tra i richiamati gruppi sociali stavano, in posizione intermedia, i gabelloti, i procuratori, i preposti all'uso della violenza ingaggiati al fine di salvaguardare le proprieta' e tenere sotto controllo affittuari e contadini riottosi o insubordinati.
Il sistema si reggeva sull'onere della fascia intermedia (la n. 3) di garantire le entrate (le rendite) ed il potere politico del proprietario, ricevendone in cambio dal latifondista ampia liberta' nello sfruttare e tenere sottomessa la fascia sociale piu' debole di cui al n. 1).
Il proprietario terriero ( n. 2) che era strettamente in sintonia con gli apparati pubblici dello Stato, per accrescere la sua influenza, si avvaleva della forza e violenza privata (n. 3) per contenere ed eliminare rivali, fermo restando che doveva assicurare a questi personaggi impunita' e protezione dall'eventuale interferenza delle forze pubbliche preposte istituzionalmente al mantenimento della sicurezza e della giustizia.
Questo modo di procedere, fa della Sicilia una realta' arretrata e soprattutto intrappolata in un sistema di sfruttamento, nonostante i meravigliosi periodi trascorsi di grande civilta' dell'isola.
La condizione del contadino, tratteggiato da Blok, e' in larga misura dipendente per sopravvivere dal latifondo, anche se in taluni casi possiede direttamente in proprio piccoli appezzamenti di terra.
La Storia
 Le condizioni di insicurezza endemica e l'incapacità dello Stato nel garantire l'ordine pubblico nelle campagne, rendeva il contadino facile preda di aggressioni e quindi dipendente dai detentori privati di potere in grado di fornirgli protezione in cambio di un tributo.
I contadini tentarono nel corso dell'Ottocento di sottrarsi ad una cosi' feroce tenaglia (moti del 1848-1860-1893), ma furono sistematicamente sconfitti e reagirono sempre con l'emigrazione di massa verso il nuovo continente.
Nell'analisi di Blok la mafia, ossia quella fascia sociale rientrante nella classificazione al n. 3) nasce con la fine della feudalita' (1812), la liberalizzazione della proprieta' terriera, lo smantellamento della proprieta' ecclesiale e demaniale ed il successivo nascere dello stato unitario. In questo vasto processo di cambiamenti in realta' (gattopardescamente) avviene che i nuovi grandi proprietari congiuntamente ai vecchi baroni preferiscono sbarrare l'intromissione dell'amministrazione statale nella conservazione dei loro patrimoni e si servono, per tenere a bada la fame dei contadini, dei mafiosi, creature armate dei proprietari ma dotati di ampia autonomia nello sfruttare i contadini. "Se da un lato i mafiosi, controllando il territorio, esasperavano le tensioni fra le classi sociali, dall'altro tenevano a freno le aperte ribellioni e le sommosse prolungate in diversi modi: con la forza, controllando le influenze esterne, aprendo canali di ascesa sociale ai contadini e trasformando in alleati banditi e fuorilegge".
La ricerca
Blok sviluppa nel laboratorio contessioto l'analisi ed i processi di collegamento locali con le concentrazioni di potere di livello superiore. Risulta palese che pur essendo la mafia l'antitesi del potere statuale, questa non potrebbe esistere senza il potere dello stato. Infatti il mafioso non potrebbe tiranneggiare la gente comune s'e non potesse vantare la protezione di persone potenti, piu' potenti di quanto lo sia lui. Dall'altro versante i grandi proprietari terrieri (che proteggono i mafiosi) non potrebbero agire con grande influenza se non intrattenessero forti legami con gli apparati dello Stato.
Il sistema si regge quindi su un clientelismo ad ampio raggio e sistematico. Se (teoricamente) venisse meno l'esistenza dello stato, la capacita' dei grandi proprietari di svolgere la funzione clientelare verrebbe meno ed essi non potrebbero garantire l'immunita' ai mafiosi.
Il sistema del potere statuale e quello della mafia sono in piu' sensi paralleli, e talora si intrecciano. Gli uomini della mafia fanno uso della forza (e della violenza) per tenere la gente sotto controllo, impongono tasse (oggi pizzo) e sottraggono flussi di ricchezza dal loro corso legittimo.
Di fronte a questo stato di cose il potere statuale si autoimpone di stare lontano al fine di non interferire, ma abbastanza vicino da poter essere certo che non si verifichino inceppamenti nel funzionamento complessivo del sistema.
Blok ovviamente vede il ruolo civilizzatore nel processo della formazione dello Stato moderno, che dovrebbe monopolizzare solo per sè il potere dell'uso della forza, ma prende atto che in Sicilia il corso di costituzione dello Stato e' rimasto congelato e sono stati mantenuti tanti centri di poteri, privati, che tuttavia necessitano tutti (come abbiamo gia' visto) di un apparato statuale asservito che non si spinga comunque fino al punto di eliminare i preesistenti centri di potere.
Viene fuori che se i governi centrali talvolta hanno avuto voglia di "governare" hanno dovuto venire a patti con i propri concorrenti, i possidenti ed i mafiosi.
E' quindi nel processo di formazione dello Stato che sono avvenute le fratture da cui e' originata la mafia.
Dal 1500, con l'eta' moderna, in Europa gli Stati nazionali hanno rimpiazzato i poteri delle chiese, dei clan, dei vecchi imperi, delle citta' autonome, delle tribu' e così via. Da allora la tendenza e' stata in questa direzione ovunque nel mondo.
In Sicilia ? Qui, da noi, in pratica continuano a sopravvivere poteri concorrenti che svolgono le medesime funzioni di governo sui medesimi territori e sulle stesse popolazioni. Se la mafia, uniformemente, riuscisse ad assorbire tutti i poteri concorrenti, compresi quelli statuali, sarebbe essa a rappresentare sul piano ufficiale l'isola.
Di fronte a questa paradossale dilatazioni concettuale, sembrerebbe spontaneo ammettere che il problema della Sicilia non e' quello di una carenza di governo, bensi' quello di un eccesso di governi.
La mafia secondo Blok non e' quindi un fenomeno legato alla perversita' di alcuni personaggi o della gran parte dei siciliani, e' semplicemente figlia del processo "interrotto" della formazione dello stato.
La lettura del libro consegna, inevitabilmente, la rappresentazione di cento anni di storia e di vicende della comunità contessiota, mette a nudo la sorte e la vulnerabilita' della gente indifesa, della gran parte della comunita', che paraddossalmente viene a soffrire, e ad essere sfruttata, per l'eccesso di poteri che si intrecciano fra loro ai suoi danni.

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