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giovedì 24 marzo 2011

150°. Questione meridionale e questione settentrionale

Nel 1861, al momento della proclamazione del Regno d'Italia, l'agricoltura occupava il 70% della forza lavoro, e il tenore di vita medio della popolazione era al livello della sopravvivenza. Da Contessa, primo comune in assoluto in Sicilia iniziò (in verità proseguì) un flusso migratorio che allarmò, per le dimensioni sia le autorità locali, preoccupate della sopravvivenza della comunità comunale, che le autorità prefettizie.
Ai nostri giorni il 70% degli occupati lavora nei servizi, l'agricoltura occupa meno del 4% della forza lavoro, e il tenore di vita medio è fra i più alti del mondo.
In questi 150 anni c'è stata l'industrializzazione del paese, la scolarizzazione di massa, il dilatarsi dei consumi, il benessere diffuso lungo lo stivale, sia pure a macchia di leopardo. 
Eppure il disagio sottile si è impadronito del paese, e col passare del tempo assume tratti sempre più mesti. Perchè questo sentimento tende a diffondersi ?
Sicuramente influisce la circostanza che la natalità è fra le più basse del mondo e ci avviamo ad essere un paese di vecchi.
Influisce la circostanza che i nostri giovani raggiungono la libertà e l'autonomia in età sempre più alta e restano a godere per tempi lunghi, molto più lunghi che in altri paesi degli appoggi e benefit familiari.
Il vero peccato originale, il vero male d'Italia, resta comunque l'incapacità di risolvere la «questione meridionale». Una incapacità che -inverosimilmente-  è adesso divenuta la «questione settentrionale», con la consistenza quantitativa della Lega Nord e l'inesorabile e generalizzato diffondersi di sentimenti antimeridionali. Sentimenti che producono il contraltare nel Mezzogiorno, dove il disagio derivante dal dissesto delle finanze pubbliche e dalla crisi rinfocolano il revival neo-borbonico che si avverte in tanti libri recenti.

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