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giovedì 20 gennaio 2011

Agricoltura. Il comparto che la Sicilia trascura

Alla luce di un Convegno svoltosi lo scorso 14 gennaio a cura dell’Accademia dei Georgofili presso l’Aula Magna della Facoltà di Agraria dell’Università di Palermo risulta che fra il 2008 e il 2009 nel Sud Italia nel comparto agricolo è avvenuto il 12% di contrazione degli investimenti, con una perdita del 20% della produzione di olio e del 15% di quella dei cereali.
Le 110.000 imprese iscritte alla Camera di Commercio, così come i 130.000 braccianti agricoli iscritti all’INPS e le 15.000.000 di giornate lavorative registrate solo in Sicilia sono numeri che imporrebbero la definizione di un nuovo piano di sviluppo agricolo che sappia guardare al futuro e sappia darsi la direzione della meta che intende raggiungere.
Troppo spesso l’Istituto per il Commercio Estero ha agito senza nessuna attenzione preliminare delle conseguenze delle azioni delle decisioni economiche messe in atto, ed i recenti accordi in deroga con Egitto e Marocco sono delle armi ai danni della Sicilia.
La riforma della Politica Agricola Comune può essere una soluzione per l’istaurarsi di un nuovo dialogo con la grande rete di distribuzione che fra l’altro, essendo gestita prevalentemente da capitale estero, ha creato grosse carenze comunicative non indifferenti.
Quali soluzioni ?
Servono delle infrastrutture degne di tale nome, che ci rendano competitivi sia sul fronte dei costi che su quello dei tempi. I porti di Palermo e quello di Catania sono due realtà sbagliate di intendere la competitività territoriale e la strategicità di posizione di cui la Sicilia gode nel Mediterraneo.
Serve il coinvolgimento dei gruppi politici sensibili alle problematiche dell'interno dell'isola.
Serve puntare in direzione delle energie rinnovabili offrendo finanziamenti e contributi a fondo perduto per lo sviluppo dell’energia solare.
In Sicilia il vero problema non è solo l’avere “fatto male”, ma soprattutto il non avere da anni agito.
Servirebbe incrementare le colture di cereali a destinazione energetica, rivalutare la filiera produttiva, partendo dalle colture da cui si ottiene la produzione di sementi alla distribuzione del prodotto, con una analisi dettagliata dell’eventuale impiego degli OGM, fino al dialogo costante fra i vari operatori.
Servirebbe il sentire la terra non come luogo di lavoro, ma come patrimonio della propria cultura, della propria famiglia e come bene inestimabile capace di produrre non soltanto reddito, ma vita sopra ogni altra cosa.

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