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giovedì 29 aprile 2010

TARSU 2010: I ricorsi presentati contro l'assurda pretesa di aumento del +160% raggiungeranno, a notifica delle cartelle avvenute, le 200 unità.

La gran parte dei ricorsi dei contribuenti contro l'assurda pretesa dell'Amministrazione Comunale di imporre l'aumento del +160% sulla tariffa tarsu (rifiuti solidi urbani) sono ormai alla fase finale dell'iter prescritto dalla legge, che prevede la presentazione dell'originale dei ricorsi medesimi presso il Comune e la presentazione delle copie presso la Commissione Tributaria Provinciale.
Restano da presentare ancora poche unità che sono, peraltro, in fase di elaborazione. Come si ricorderà l'iniziativa di contestare le cartelle di una Amministrazione insensibile, guidata da un soggetto che in campagna elettorale si autodefiniva 'esperto' delle cose pubbliche, è stata coralmente voluta in più di una Assemblea Cittadina dai contribuenti ed è stata sostenuta, sul piano tecnico, dalla Camera del Lavoro e dalla FederConsumatori (e, per questa, dall'avv. J. Licausi).

Le fasi successive del procedimento, che si ritiene durerà un pò di mesi, prevedono che  il Comune, "L'ente locale potrà essere presente autonomamente o tramite dirigenti o titolari -rispettivamente- degli uffici tributi e di quelli adibiti al contenzioso". In pratica il Comune che ha fortissimamente voluto l'aumento del +160%, grazie alla volontà politica degli Amministratori e al supporto tecnico dei suoi funzionari avrebbe potuto costituirsi presso la Commissione tributaria provinciale di Palermo sia sfruttando le "innate" competenze degli amministratori che quelle dei funzionari (lo prevede la legge !).

Ma che cosa fà il nostro Sindaco-esperto ?
Subisce una crisi che investe le sue doti di "esperto". Non si fida -cosa grave- di quelle dei suoi funzionari, insomma .. entra in tilt, dopo avere asserito, fatto asserire, fatto gridare agli increduli contribuenti stipati nell'Auditorium Comunale (gennaio 2009) "dovete pagareee!!", cosa fa?
Affida la tutela giuridico-amministrativa ad un bravo legale di Palermo.
Così è fatto il nostro Sindaco !
Immaginate voi:
in Italia ci sono milioni e milioni di ricorsi in materia tributaria. Se tutte le Amministrazioni Pubbliche, che pagano fior di funzionari per far girare la macchina amministrativa, si affidassero a professionisti per contrastare le ragioni dei ricorsi, servirebbero milioni di avvocati, dovremmo importarli dalla Spagna.
Tutte, quasi tutte, le Amministrazioni pertanto fanno difendere le proprie ragioni dagli stessi funzionari che hanno patrocinato l'atto amministrativo poi impugnato da pochi o da molti destinatari. Così fa l'Agenzia per le Entrate per le cartelle che riguardano lo Stato. Così fanno i Comuni, così fanno le Province. Tranne quei comuni che hanno sindaci-esperti.

Noi siamo fiduciosi delle ragioni poste a base dei ricorsi e non intendiamo, in alcun modo, condannare -comunque- la scelta del Sindaco che per ogni cartella impugnata riconoscerà al professionista poco meno di €. 400,oo. Cifra questa fissa che varrà sia per le cartelle da €. 1000,oo che per quelle da €. 180,oo.
La scelta del sindaco la riteniamo legittima sul piano normativa. Sul piano politico e dell'opportunità daremo giudizi, non adesso, ma a conclusione dell'iter previsto.
Ha ragione, a parere nostro, l'amico che oggi ha pubblicato su questo blog l'equivalenza fra Padre Mario ed il Sindaco Sergio: entrambi si affidano ad avvocati per contrastare i desideri dei propri (fedeli)/ cittadini.

Contessa ha ai vertici delle istituzioni personaggi contraddittori

Mah, siamo combinati proprio bene !
la medicina, comunque, è di riderci sopra: consoliamoci pensando che sono passati i grandi uomini e passeranno anche...

Calogero: Nenè ! hai saputo che il sindaco ha proposto alla Facoltà Teologica S. Giovanni Evangelista di Palermo di conferire la laurea honoris causa a Padre Mario Bellanca ?
Nenè: Verooo ?, che avessero in comune alcuni "sfizzi" lo sapevo, ma che ci fosse questa sotterranea stima no.
Calogero: A cosa ti riferisci quando dici che hanno sfizzi in comune ?
Nenè: Tutti e due, pur di fregare i contessioti, amano affidarsi agli avvocati.
Padre Mario vuole eliminare, alla radice, l'origine  arbrëshë del paese e si è messo in mano ad un avvocato che gli ha promesso un recinto tutto attorno alla SUA Chiesa alto tre metri in modo che i greci non possano mai valicarlo, il sindaco, invece, vuole a tutti i costi i nostri portafogli e ha dato l'incarico ad un avvocato che gli costerà tanto quanto dovrebbe incassare il Comune dalla tassa dell'immondizia (quella che Mimmo Clesi chiama tarsu).
Calogero: Si tutti e due fingono di parlarsi tramite ambasciatore -l'assessore Bellina-, però si capiscono al volo, nonostante Enzo cerchi di impedire ... .
D'altronde per Padre Mario il sindaco Sergio si è scordato quello che promise in piazza durante la campagna elettorale e che Mimmo Clesi registrò nei filmini, quelli che farà rivedere sul blog: cioè che sarebbe stato lui, Sergio, il sindaco adatto a salvare le tradizioni.
Adesso ci mancava pure la laurea honoris causa a padre Mario come iniziatore della teologia delle porte chiuse.
Per me questa mossa del sindaco significa che Enzo è stato scavalcato pure in questa relazione con padre Mario. Non gli va bene nemmeno una a Enzo.

mercoledì 28 aprile 2010

Padre Mario Bellanca: "si giungerà ad agosto con problemi ancora maggiori, visto che -certamente- non vi potrà essere spazio per ulteriori ingiustizie".

E' proprio vero, non c'è nulla da fare. Padre Mario ha una fissazione. Nella sua chiesa i greci accompagnati dal loro sacerdote (di rito bizantino) non devono metterci piede.
Non è una nostra deduzione conseguente a:
-quindici giorni di portone della chiesa della Madonna della Favara chiuso nell'agosto 2009, con i fedeli bizantini fuori;
-al menefreghismo di questo sacerdote, che sapendo che doveva arrivare nella sua chiesa una processione dei bizantini ad annunciare il Christos Anesti, nella giornata di Pasqua, si attardava con le prove di canto, mentre i "greci" aspettavano fuori dalla chiesa.
No, non è una deduzione. Un nostro collaboratore ha sentito cosa, personalmente, pensa un sacerdote di Santa Romana Chiesa, di nome padre Mario Bellanca, sulla possibilità che in tre occasioni annue i greco-bizantini possano pregare nella chiesa contessiota della Madonna della Favara:
"..Non esiste alcuna valida tradizione che imponga alla comunità latina di subire riti bizantini nella propria parrocchia, nè che fondi la pretesa di gestire in assoluta autarchia la solennità della Madonna della Favara, che è la titolare della nostra Parrocchia; infine non vi è tradizione -e se vi fosse sarebbe nulla- che imponga al parroco greco di sostituire il parroco latino in alcune delle celebrazioni liturgiche parrocchiali più importanti dell'anno (la Patrona della Parrocchia, la quindicina dell'Assunta e l'annuncio della Pasqua. Ci si chiede in tutta onestà. E' davvero così difficile da capire ?..)".
In questa frase (ed in quella riportata nel titolo di questo scritto), che padre Mario ha proferito di proprio pugno, è fondata la teologia delle porte chiuse in faccia ai greci. Questo prete sostiene che queste tradizioni che tutti riteniamo plurisecolari non sono mai esistite e, caso mai fossero esistite, sono fasulle, frutto di arbitrio.
Noi rigraziamo Padre Mario di avere, in maniera inequivocabile, chiarito che il suo proposito è di cancellare ciò che ogni contessioto riteneva facesse parte dell'identità collettiva locale.
Quanto meno, Padre Mario, non è un personaggio ambiguo; per questo va ammirato. Egli non parla mai pubblicamente di queste questioni, ma quella volta che ci mette lingua (o inchiostro) non lascia mai margini di equivoci. Va solamente precisato che i riti bizantini, come quelli romani, non sono subiti. Per chi è credente (greco o latino) i riti religiosi richiamano il Mistero. Ma queste cose pretenderle da uno che è stato ordinato da un Vescovo che non è il suo è eccessivo.
I Contessioti, secondo padre Mario, devono pertanto scordarsi quei tre appuntamenti annuali. Questo è il suo intendimento.
Diverso è -ovviamente- il punto di vista dei Contessioti.

Quello dei conti truccati è un vizietto diffuso. Le conseguenze sono disastrose. A Contessa ancora non arriva nessuna precisazione se abbia ragione la Ragioneria o il Revisore dei Conti: Esistono in bilancio davvero crediti da tempo andati in prescrizione ?

La Grecia ammette che non è più in condizione di trovare sul mercato (quello mondiale) chi l'aiuti a rifinanziare il proprio debito, che complessivamente arriva a 250 miliardi di euro. Questo paese da tempo per pagare i debitori si indebbita con altri debitori; adesso non trova chi lo finanzi. Le società internazionali che analizzano le situazioni finanziarie dei vari paesi hanno classificato il debito greco "spazzatura". Significa che chi possiede titoli pubblici emessi da quel paese può scordarsi di avere indietro i soldi. E' un secondo caso Argentina, con la differenza che la Grecia è un paese dell'euro zona.
Come si è arrivati a questo punto ?
Lo abbiamo accennato in uno scritto di qualche giorno fà: Le agenzie che dovevano verificare lo stato finanziario dei vari paesi hanno, invece, collaborato ai conti truccati, aiutando i vari governi ad indebbitarsi a più non voglio. Si aveva la sensazione che bastava fare debiti per raggiungere livelli di benessere inimmagionabili. Oggi il mercato ha scoperto che "i conti pubblici", i bilanci di Grecia, Portogallo, Irlanda, Spagna ed Italia sono non veritieri, motivo percui ogni volta che essi si presentano a chiedere ulteriori debiti devono pagare maggiori interessi, e nel caso della Grecia, addirittura, nessuno è disposto a dare un centesimo.
Toccherà anche all'Italia, prima o dopo ?
Il governo greco per rimettere in sesto le proprie finanze, tenta in queste settimane di tagliare del 20% le retribuzioni dei pubblici dipendenti, di eliminare tredicesime e quattordicesime e di limare sulle pensioni. Tutti tentativi insufficienti. Ormai per recuperare credibilità quel paese ha bisogno che qualcuno garantisca per esso. Gli occhi sono puntati sui paesi dell'Unione Europea, della Germania in particolare.
Tremonti dice oggi "Se la casa del vicino brucia bisogna correre in soccorso perchè altrimenti rischia di bruciare anche la propria".
Secondo alcuni analisti l'Italia, che perora è fuori dalla speculazione dei mercati perchè il secondo intercettato, dopo la Grecia, è il Portogallo, deve fare una manovra di reperimento di nuove risorse (tagli, nuove entrate, etc.) pari a 70 miliardi di euro in tre anni. Devono spuntare sui conti pubblici soldi per quella cifra, contrariamente, il disastro sarà di parecchio più rovinoso che quello greco. Quel paese, in fondo, se la Germania vuole, può trovarsi un padrino che per i prossimi anni garantisca per esso; ma per un debito pazzesco come quello italiano (€. 1.800,oo miliardi di euro) chi potrà mai garantire ? Non esiste potenza mondiale che possa garantire.
Non serviranno nè tagli agli stipendi del 20%, nè contrazione delle pensioni, nè eliminazioni di tredicesime e quattordicesime.
Eppure i governanti che teorizzavano la "finanza creativa" sono lì.
I governanti (compreso il governatore della Banca d'Italia) che intrattenevano rapporti di consulenza con le banche che avallavano i conti fasulli sono ancora, in parte, in sella.
Quando Tremonti dice che la casa del vicino può bruciare la nostra casa non fa altro che tentare di rimediare a quanto ha fatto in questi anni di sua gestione della finanza pubblica. Chi ha portato il nostro debito ad una montagna, che l'Italia non è in condizione di restituire?  Per dare una idea del debito: gli italiani dovrebbero lavorare per un anno e tre mesi per produrre una ricchezza sufficiente a fronteggiare il debito; in questo anno e tre mesi non dovrebbero trattenere nulla per sè, non dovrebbero consumare nulla, e versare tutto alle casse dello stato: altro che ridurre del 20% le retribuzioni!.

Conoscere il patrimonio culturale-religioso bizantino: pentakostarion

a cura di Giuseppe Caruso
La festa:

Il mercoledì della IV settimana di Pasqua segna la metà del pentakostarion, il periodo che dalla Pasqua giunge alla Pentecoste.
Viene detto perciò mercoledì di mesopentikostis.
Gli inni ricordano tale collocazione, il tema della festa è invece specificatamente quella di Gesù Maestro.
Innografia:
Tropari
A metà della festa pasquale, disseta, o Salvatore, l'anima mia assetata con l'acqua della pietà, poiché Tu stesso hai detto a tutti: Chi ha sete venga a me, e beva. Tu sei la fonte della vita, o Cristo Dio, sia gloria a Te.
O creatore e signore di tutte le cose, o Cristo Dio, a metà della festività legale, dicevi a quelli che ti stavano attorno: Venite a me ed attingete le acque dell'immortalità. Per cui noi ci prostriamo davanti a Te e con fede gridiamo: Donaci la misericordia, Tu infatti sei la sorgente della nostra vita.
Iconografia:
L'icona della festa stranamente non richiama il Vangelo del giorno: Giov. VII,14-30, ma mostra il Fanciullo dodicenne che, dopo essere salito con i genitori a Gerusalemme, vi si trattiene nel tempio a discutere con i dottori della Legge.
Il Divino Fanciullo è posto al centro dell'icona, assiso tra un semicerchio di anziani che ascoltano la sua parola.
La figura di dimensioni maggiore e lo scranno più elevato, con uno sgabello per i piedi, mostrano la sua qualità di maestro.
Gli edifici sullo sfondo simboleggiano naturalmente il tempio in cui ha luogo la scena.
Una volta la festa di Mesopentikostis(questo il suo nome greco) era una grande festa della Grande Chiesa di Costantinopoli e una folla immensa vi si radunava. Una prima notizia di questa festa la troviamo in una relazione del Regno d'ordine (Cap. 26) di Costantino Porfyrogenito che ci dice che tale festa veniva celebrata fin dall'anno 903 nella chiesa di San Mokiou a Costantinopoli. Ma quale è il tema di questa festa particolare? Non ingloba possiamo dire una realtà storicizzata dal racconto evangelico. La questione è chiaramente festiva e teorica. Il Mercoledì della Mezza Pentecoste, cade 25 giorni dopo la Pasqua e 25 giorni prima della festa di Pentecoste. Segna la metà del periodo dei 50 giorni festivi dopo la Pasqua. È cioè una sosta, una fermata.
Nel mezzo della festa della Pasqua giudaica Cristo sale al tempio ed insegna. Il suo insegnamento provoca ammirazione, ma anche fa nascere una controversia tra lui e le persone ed i maestri del tempio. È il messia Gesù o non lo è? L’insegnamento di Gesù proviene da Dio o no? Sorge quindi una nuova questione: il Cristo è maestro.

martedì 27 aprile 2010

E se padre Mario perdesse il posto, l'impiego, che allo stato attuale non gli dà 'pari dignità' ?

Noi ci ridiamo sopra
A)
La Santa Sede vuole valorizzare il rito bizantino in Italia, anche perchè fra rumeni, serbi, bulgari etc. da noi gli "orientali" sono circa un milione.

Calogero: Nenè non andare a Piana in questi giorni per gli incartamenti del matrimonio con Mariuccia.
Nenè: Perchè ? non vorrei perdere tempo, perchè padre Mario è capace, se lo faccio attendere, di non farmi entrare in chiesa il giorno del matrimonio. Ricordati che io sono "greco", e a lui, a vedermi, gli viene l'orticaria.
Calogero: Lo so, lo so. Comunque non andare a Piana perchè il vescovo ha letto che il blog di "Contessa" lo ha accostato a Don Abbondio e lui, per far vedere che il blog si sbaglia, ha preso l'aereo per andare a Milano. Ha detto a tutti che partiva per curarsi, ma agli amici (sic !) ha detto che andava a parlare col cardinale Tettanmazzi per chiedergli consiglio su come si fa ad abolire il "rito romano" nell'Eparchia. Nella diocesi di Milano, la più grande d'Italia, infatti, non esiste il rito romano.
Nenè: Non lo dire in giro, per favore. Padre Mario è capace di farmi fallire il matrimonio con Mariuccia all'idea che potrebbe essere licenziato per ristrutturazione dell'Eparchia.

B)
Non è vero che padre Mario non apprezza i canti liturgici dei greci. Se questi sapessero leggere le lettere scritte ... dall'avvocato, non farebbero tutta questa canea.
Calogero: Sai che al circolo, in piazza, c'era Lino, il fanatico latino che fa parte del 'Consiglio Superiore ....', è ha detto che padre Mario ha mandato una lettera di fuoco a Padre Nicolino ?.
Nenè: Si vero è ! Padre Nicolino ieri aveva la tunica bruciacchiata !
Calogero: Padre Mario dice, nella lettera, che "pari dignità" significa che ognuno deve stare nella propria casa. Niente quindicina di agosto, niente 8 settembre, niente di niente. E' un equilibrio al ribasso. Niente tu e niente io.
Nenè: Per favore accettiamo quest'accordo. Così padre Mario non obietta a sposarmi con Mariuccia nella sua Chiesa.
Calogero: Si capisce però, in mezzo alla lettera di fuoco mandata pure al vescovo e a Roma, che se però il comitato, quello che si occupa dei soldi della festa, viene composto così, così, .. ..non ci saranno problemi ...

Il blog cambia linea: racconterà la vita paesana con ironia e sarcasmo. Per il blog non esisteranno portoni chiusi.

Dopo aver per tanto tempo e per tante pagine scritto in termini di estrema serietà su:
-storia antica e recente del nostro paese,
-di cattiva amministrazione della cosa pubblica, cominciando da casa nostra, Contessa Entellina, paesino del palermitano privo di guida amministrativa e, sulla carta, con amministratori il cui unico problema è di riscuotere la pensionicina mensile, che per pudore di un legislatore arruffone, più degli amministratori, viene chiamata "indennità di carica",
-di arroganza e prepotenza, nella casa dove meno avremmo immaginato di trovarle, la Chiesa;
-e altri argomenti i più vari, riteniamo che il filone da seguire per meglio farci intendere sia quello di ridicolizzare tutti i prepotenti, supposti potenti, gli arroganti e gli sleali, ossia coloro che per compito, incarico, missione, si presentano predicando bene e poi razzolano male.
Ironia e sarcasmo saranno, per qualche tempo, i parametri dei nostri discorsi. Tutto ciò grazie al suggerimento di un amico che, già ieri, ci ha fatto avere i primi due 'racconti da bar' per giudicare l'operato di un prete che è divenuto cliente di studi legali e di un vescovo, discendente di un certo Don Abbondio secondo un albero geneologico che presenteremo in appresso, che non si sente di ammettere che la sua diocesi è divenuta il "ricovero" di tutti coloro che le diocesi di Sicilia non si sentono di 'ordinare' sacerdoti.
 Come possiamo giudicare un vescovo che nell'estate del 2008 ha emesso un decreto che, disatteso da un suo sacerdote, viene giudicato da altri pseudo-cattolici "carta straccia", senza che egli faccia nulla per la credibilità dell'istituzione di cui è responsabile ?

Ci dispiace ovviamente scontentare quel sessanta per cento di nostri lettori che, prevalentemente dall'Italia continentale, ci sollecita (invece) a proseguire sullo "scandagliamento di storia tardo-medievale e del regime baronale in Sicilia". Torneremo su quegli argomenti in prosieguo. Per intanto dobbiamo seguire sul piano antropologico come nasce, si sviluppa, cresce e radica la prepotenza in un piccolo paesino, usando come mezzo gli edifici di culto, le tonache e gli stupidi orgogli di campanile.
Tutto ciò, è notizia dei giornali di oggi, mentre in tutta Europa ed America del Nord i cattolici che, dallo scoppio  dello scandalo sulla pedofilia, hanno abbandonato la loro religione superano il 3%. La quantificazione è facile perchè altrove non esistono i milioni di euro dell'otto per mille che le diocesi (non tutte) sperperano ...., ma le trattenute in busta paga per i cattolici. Negli ultimi mesi, appunto, più del 3% degli europei e degli americani ha rinunciato al cattolicesimo segnalandolo al datore di lavoro.
Padre Mario Bellanca non guarda questo aspetto della vita religiosa, egli vuole pari dignità, non se la vuole guadagnare, no, la vuole riconosciuta dagli altri e basta! Esattamente come i politici. I politici sanno di non avere dignità e la vogliono riconosciuta per legge; leggi che si fanno da soli, in autoproduzione. Ma ogni legge che si fanno per aumentare la loro "pari dignità" è, ovviamente, un boomerang che li rende ulteriormente privi di dignità. 
Ma i preti .... ?

lunedì 26 aprile 2010

Il Codice legale (canonico) ha preso il posto del Vangelo. - Ridiamoci sopra

Riceviamo e volentieri pubblichiamo.
A)
Padre Mario non fa nulla senza l'avvocato

-Pronto, pronto ! E' Monsignor Sotir Ferrara ?
-Si, padre Mario, che c'è ?
-Volevo dirLe che mi assenterò per un mese, vado in  ferie alle Canarie.
-Ah, si ?. Lasci la chiave della Chiesa a qualcuno, a C... ....- Sa, potrebbe servire. Mi lasci inoltre un recapito telefonico.
-Chiederò al mio avvocato se posso lasciare le chiavi. Se dovesse avere bisogno di me si rivolga al mio 'patrono'.
-Mah, non esiste un San Mario !.
-Cosa ha capito, Monsignore ? Si rivolga al mio avvocato, se dovesse avere bisogno di me ! 

B)
Padre Mario ha perso il Vangelo ed ha trovato il Codice. Scatta per tutti la frenesia dell'avvocato

Calogero: Dove vai, Nenè ?
Nenè: a Corleone, vado a parlare con l'avvocato ....
Calogero: che devi fare con l'avvocato ?
Nenè: Padre Mario mi disse che per potere sposare Mariuccia nella Sua Chiesa, io che sono greco, deve consultarsi col suo avvocato. Siccome, con i portoni che si aprono e chiudono a piacimento dell'avvocato, rischio di restare fuori dalla chiesa, con Mariuccia che -latina- potrebbe ritrovarsi sposata con qualche altro, latino, vado a consultarmi con l'avvocato di mia fiducia. Tanto rivolgermi al Vescovo non serve ! Ormai cumanna l'avvucatu.

domenica 25 aprile 2010

Quando il dito indica la luna, lo stupido guarda il dito.

Non abbiamo nulla da eccepire sulla persona di padre Mario Bellanca. Non è la sua persona che additiamo con i tanti scritti che appaiono su questo blog.
Non apprezziamo, non condividiamo, non accetteremo mai, le sue azioni a cui abbiamo improntato gli scritti. In primis la chiusura del portone della Chiesa avvenuta nella prima quindicina di agosto 2009 (che Egli ritiene di aver fatto nei confronti di papas Nicolino, ed invece l'ha fatto nei confronti dell'intera popolazione di Contessa Entellina, greci e latini) e l'attardarsi nelle prove di canto, nel giorno di Pasqua, quando sapeva benissimo che sarebbe arrivata una PROCESSIONE.
Padre Mario, essendo un essere umano, avrà i suoi difetti (che sono suoi e solo lui può mitigare); ma noi non accetteremo MAI che un qualcuno, si chiami padre Mario o padre xy, chiuda il portone di una Chiesa in faccia a gente che vuole pregare, o pensa di poter pregare.
Con questa precisazione, su cui non torneremo più, riteniamo di avere chiarito che è vergognoso asserire che ci occupiamo di padre Mario. Padre Mario non è altro che il protagonista, l'iniziatore, di una storia che non avremmo mai voluto raccontare. Non siamo noi che ci occupiamo di lui. E' stato Padre Mario che CHIUDENDO I PORTONI DELLA CHIESA ci costringe a parlare (non di lui) delle sue imprese INCIVILI, OFFENSIVE ai danni della popolazione di Contessa Entellina. Se ha delle ragioni da far valere contro papas Nicolino -che a quanto pare non ama- le faccia valere nelle sedi opportune, presso il Vescovo, presso dove gli pare, ma non coinvolga la gente di Contessa (sia essa greca o latina). Si comporti, nelle azioni, da cristiano.
Riteniamo di avere chiarito a chi pensa di poter girare la frittata.
Se padre Mario accogliesse tutte le pecorelle, pure quelle più sporche (quali magari possono essere i deprecati greci) non ci sarebbe venuto in mente di occuparci di lui, se non -eventualmente- per elogiarlo. Non possiamo di certo elogiare chi chiude i portoni della Chiesa per quindici giorni col fine di respingere gente che è 'cattolica' al pari di altri, magari più peccatrice dei suoi 'amici', ma pur sempre "cattolica" è.
Quel portone lo vogliamo sempre aperto, anche per i greci, anche per chi è inviso a padre Mario. Lo vogliamo aperto nei pomeriggi della prima quindicina di agosto e all'arrivo della processione del Christos Anesti, per Pasqua. E' dovere di un prete accogliere; se non accoglie che prete è ?
Niente girata della frittata, quindi, ad opera delle solite animelle candide !
Quando il dito indica la luna, lo stupido guarda il dito.
Proverbio cinese

25 Aprile: 65 anni fà l'Italia si liberava dal nazi-fascismo. UN PAESE SENZA MEMORIA NON PUO' AVERE UN FUTURO

La fine del nazifascismo si festeggia in tutta Europa, in forme e modalità diverse. Quella del 25 aprile è in particolare una ricorrenza tutta italiana. Certo a Contessa Entellina la ricorrenza passa senza lasciare tanti segni. E' un errore. Contessa Entellina ha avuto qualche suo figlio che ha militato, dopo l'8 settembre 1943, nelle formazioni partigiane nel nord Italia, in Grecia ed in Jugoslavia. Ha avuto decine di soldati dell'esercito regolare (esercito che come si ricorderà è stato tradito dai regnanti di casa Savoia, che invece di impartire ordini precisi all'esercito, pensarono di scappare da Roma per salvare se stessi, lasciando centinaia di migliaia di uomini allo sbando) che sono stati catturati dai tedeschi e portati nei campi di concentramento. Lì, lontani dalla patria, sono stati ricattati: potete tornare in Italia vestendo la divisa dell'esercito repubblichino di Salò o resterete nei campi di concentramento. Ebbene, decine di contessioti non esitarono un istante: hanno preferito restare prigionieri (alcuni morirono di stenti e di fame) piuttosto che combattere per ripristinare in Italia la dittatura fascista.
Queste decine e decine di contessioti sono stati i nostri padri, i nostri nonni. Una classe politica ed amministrativa 'ignorante' e interessata solo alle frivolezze  -oggi- vorrebbe farci scordare queste cose. In parte lo fa, come dicevo, per ignoranza, ed in parte lo fa perchè interessata al neo-fascismo morbido che in Italia si va insinuando ed instaurando.
I nostri padri ed i nostri nonni erano uomini, noi oggi sembriamo -un pò tutti- protagonisti dell'isola dei famosi.

Costituzione Repubblicana: Artt. 41, 42, 44, 45, 46, 47 (L'iniziativa privata).

di Lorenza Carlassare

La nostra Costituzione è il “risultato della confluenza dell’ideologia socialista e di quella cristiano sociale con quella liberale classica” (Bobbio). Lo si vede in particolare nel titolo III che, dopo le norme a protezione dei lavoratori (artt. 35-40), tutela la libertà economica: all’affermazione di un diritto e di una libertà segue subito l’indicazione di limiti e fini: “L’iniziativa economica privata è libera”, ma non può svolgersi “in contrasto con l’utilità sociale o in modo da arrecare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana” e l’attività economica può essere indirizzata “a fini sociali” (art. 41).

Della proprietà privata “riconosciuta e garantita dalla legge” (art. 42) la legge stessa può determinare i modi d’acquisto, di godimento e i limiti “allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti”. Lo schema è costante; anche alla proprietà terriera privata (art. 44) la legge “impone obblighi e vincoli” al fine di “conseguire il razionale sfruttamento del suolo e di stabilire equi rapporti sociali”, fissa “limiti alla sua estensione… promuove e impone la bonifica delle terre, la trasformazione del latifondo e la ricostituzione delle unità produttive, aiuta la piccola e media proprietà”. L’obiettivo di fondo non è eliminare l’iniziativa economica e proprietà privata – costituzionalmente riconosciute e come tutti i diritti (a partire dall’art. 13) limitabili soltanto con legge del Parlamento – ma renderle “accessibili a tutti” (l’art. 42 riecheggia la Rerum Novarum). Un pensiero unitario domina la Costituzione economica: allargamento del numero dei proprietari, difesa della funzione sociale della proprietà e dell’attività economica. Non par dubbio che la dottrina sociale cattolica abbia esercitato un influsso preminente: il programma economico sociale della Costituzione, se realizzato, non porterebbe infatti a una società socialista con un’economia diretta dallo Stato, e neppure a una società dominata dalle grandi imprese private, ma ad una società dove la proprietà è diffusa e non concentrata. Gli articoli successivi ne sono la riprova: la Repubblica promuove la cooperazione a carattere di mutualità e lo sviluppo dell’artigianato (art. 45), riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare alla gestione delle aziende “nei modi e limiti stabiliti dalla legge” (art. 46), incoraggia e tutela il risparmio favorendone l’accesso “alla proprietà dell’abitazione, alla proprietà diretta coltivatrice e al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del paese” e, a tali fini “disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito” (art. 47). Norma quanto mai opportuna, visto le recenti ‘gesta’ delle istituzioni bancarie e il poco o nullo rispetto per i risparmiatori! Dagli atti dell’Assemblea costituente risulta chiaro come tutti, al di là delle differenti visioni dell’economia, dai comunisti ai democristiani ai liberali fossero concordi nella lotta alle “concentrazioni monopolistiche”. Alle parole di Togliatti e Fanfani si aggiungono quelle di Einaudi, economista liberale, per il quale i monopoli sono “il male più profondo”, “il danno supremo dell’economia moderna”, “vera fonte della disuguaglianza, vera fonte della diminuzione dei beni prodotti, vera fonte della disoccupazione delle masse operaie”. In questo clima fu approvato l’art. 43: “A fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, agli enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie d’imprese che si riferiscono a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio e abbiano preminente interesse generale”. Due le condizioni, dunque, perché le imprese possano essere espropriate: che “abbiano preminente interesse generale”; che siano relative “a servizi pubblici essenziali, a fonti di energia o a situazioni di monopolio”. La previsione di forme autoritative d’intervento pubblico ha quindi carattere eccezionale, la Costituzione non ha inteso incamminarsi sulla strada del collettivismo. Tuttavia il comma 3 dell’art. 41 “La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali” implica, almeno, un indirizzo di politica economica che tenga conto dei fini sociali. Come si conciliano le indicazioni della Costituzione col “principio di un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza” su cui si fonda l’Europa? Molto ne hanno discusso giuristi ed economisti. L’opinione che non siano incompatibili parte dalla libertà d’iniziativa economica che, data la pluralità e coesistenza di più soggetti che ne usufruiscono, è legata al principio della libera concorrenza, a un mercato “regolato” (come vuole l’Europa) da una disciplina antitrust. Una disciplina “che predetermini le regole del gioco valide per tutti”, assicurando la libera esplicazione su un piano di parità delle capacità imprenditoriali di tutti gli operatori: “La libertà di pochi è potere, non libertà” dice Alessandro Pace. Del resto una disciplina antimonopolistica è già implicita nell’intento di evitare il rischio di monopoli espresso alla Costituente da tutte le parti politiche e formalizzato nell’art. 43. Un mercato ‘regolato’, una libera concorrenza che non incida però su altri interessi primari tutelati dallo stesso art. 41 che fonda la libertà economica. Negli ultimi decenni l’idea del primato dell’economia sulla politica ha inciso sul nostro sistema mettendo in ombra valori essenziali. L’alternativa (scrive Natalino Irti) è tra “ordine giuridico del mercato e mercato degli ordini giuridici” dove gli Stati, in concorrenza, offrono alle imprese benefici e immunità per attirare gli affari entro le rispettive sfere anziché rivendicare il primato delle decisioni politico-giuridiche e assumere il governo dell’economia.

Lettura evangelica domenicale nel rito bizantino

a cura di Giuseppe Caruso
Il testo di questa domenica, dal capitolo 5 del vangelo di Giovanni, è molto conosciuto. E’ il racconto della guarigione dell’uomo paralitico, con la presenza un po’ magica dell’angelo che viene ad agitare le acque, e la gara per cui il primo che si immerge viene guarito. Da tale brano questa domenica viene chiamata nel nostro rito Domenica del Paralitico.
Una vita paralizzata.
La vita di quest’uomo è paralizzata su un lettuccio, nemmeno la magia degli angeli riesce a smuoverla in trent’otto anni; quando la vita media ne durava cinquanta scarsi, trent’otto vuol dire tutta una vita! Una vita bloccata, in cui il desiderio rimane assolutamente forte, ma sembra davvero non poter succedere niente. La descrizione di Giovanni di questi infermi che si trovano vicino alla piscina, è segno di un’abitudine diffusa nell’antichità quando non c’erano ospedali e i luoghi di cura, spesso, erano legati alla presenza di acque; acque termali che avevano proprietà benefiche, acque simbolicamente rigeneratrici, ma anche semplicemente acque che consentivano un’igiene non possibile altrove, perché non c’era acqua corrente. Secondo l’abitudine greca i luoghi di cura erano tutti dei santuari e non c’era un confine così netto tra scienza e magia. Non stupisce che, anche in Gerusalemme, seppure vicino al tempio del Dio unico, ci fosse un luogo legato ad una piscina, che riportava a culti precedenti, ad abitudini antiche. “Si trovava là un uomo che da trent’otto anni era malato”. Giovanni, che è sempre così preciso, non dice il nome di quest’uomo; la sua qualifica è essere malato da trent’otto anni. Il numero trent’otto non è usato a caso, richiama gli anni in cui gli israeliti hanno vagato nel deserto, secondo il Deuteronomio. Noi diciamo sempre quarant’anni; in realtà, secondo Deuteronomio, sono trent’otto; secondo Esodo quaranta. Secondo Deuteronomio sono trent’otto, perchè bisogna contare l’ultimo anno in cui erano ancora in Egitto e il primo nella terra promessa in cui non mangiano ancora i frutti che hanno coltivato loro, e si arriva così ai quaranta del deserto. Giovanni cita Deuteronomio: quest’uomo è uscito da una schiavitù, ma non è ancora entrato nella terra promessa. E’ uscito dalla schiavitù di pensare che non potrà guarire, è arrivato alla piscina, può sperare la guarigione, ma non può ancora entrare nella terra promessa perché non riesce a guarire. E il suo grido è meraviglioso! “Io non ho nessuno che mi immerga nella piscina”. Avrebbe potuto dire: ma perché sono paralitico? Invece dice : io non ho nessuno. E’ fedele al suo desiderio. Il suo problema non è che è malato, ma che non è guarito. “Gesù vedendolo disteso e, sapendo che da molto tempo stava così, gli disse. ‘ Vuoi guarire?”. Gesù, quando incontra qualcuno, fa sempre delle domande. Gli incontri con Gesù non sono mai una risposta; in genere non spiega e quando spiega non si fa capire – a Nicodemo fa il discorso del nascere di nuovo, alla Samaritana il discorso sulla fonte di acqua viva …– e i suoi interlocutori non capiscono, però va bene così. Questo nelle nostre teste di credenti non entra mai; noi ci aspettiamo sempre che l’esperienza della fede sia avere una risposta, un senso, una direzione. Invece mettersi dalla parte della sequela di Gesù significa accollarsi un guaio, avere sempre qualcuno che ti fa una domanda e che in genere, tra le varie possibili, ti fa l’unica che non vorresti sentire. Non ti chiede come va, com’è il tempo, ma, a quest’uomo che da trent’otto anni sta tra la schiavitù della malattia e la mancanza di guarigione, dice: Vuoi guarire? E la grandezza di quest’uomo, come di tutti coloro che incontrano Gesù nel vangelo, è nel non sottrarsi alla domanda, non nella qualità di ciò che risponde. Il paralitico non si tira indietro. Dice esattamente la cosa profonda: “Signore, io non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando l’acqua si agita”. “Gesù gli disse: ‘Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina”. Come vediamo, questo prendi il tuo lettuccio diventerà una questione decisiva. Giovanni deve metterla lì perché, se gli dicesse solo alzati e cammina, non potrebbe poi mettere la polemica sul sabato, perché di sabato non è proibito né alzarsi né camminare, ma portare una cosa sì. Ma è anche una bella immagine. Costui, che se ne stava disteso da trent’otto anni, può prendersi carico della cosa stessa su cui stava disteso, può farsi carico di se stesso. E sull’istante quell’uomo guarì e, preso il suo lettuccio, cominciò a camminare”. Il verso dove, non importa a nessuno, né a Gesù, né a lui. Comincia ora il secondo quadro del dittico: “Quel giorno però era un sabato”. Come se questo particolare, in una guarigione, fosse un dramma. Noi diremmo: guarda che bel racconto, una fioritura di vita, proprio nel giorno del Signore! “Dissero dunque i Giudei all’uomo guarito: ‘E’ sabato e non ti è lecito prender su il tuo lettuccio”. Si occupano dell’unica cosa che non c’entrava niente né col desiderio del paralitico, né con la domanda di Gesù, né con la vita di quell’uomo. “Ma egli rispose loro: ‘Colui che mi ha guarito mi ha detto: ‘Prendi il tuo lettuccio e cammina”. Contrappone alla loro questione la parola affermativa ed efficace di Gesù. Lui, che non aveva nessuno, ha incontrato uno che gli ha detto una cosa vera e non ha intenzione di metterla in discussione. Fa come gli è stato detto. Ma poi viene il punto geniale: “Chi è stato a dirti: ‘Prendi il tuo lettuccio e cammina?’ Ma colui che era stato guarito non sapeva chi fosse. Poco dopo Gesù lo trovò nel tempio…” Lui non sa chi è Gesù ma è Gesù che torna e lo trova. E’ sempre Gesù che ci trova. Il problema non è che noi sappiamo chi è Gesù; l’importante è che lui sappia chi siamo noi. Se lui sa chi siamo noi, basta, siamo tranquilli; il resto non è un problema nostro. Il problema non è se noi crediamo in lui, è che lui creda in noi. Se lui crede in noi, basta, non c’è un altro problema. Dunque Gesù si era allontanato, poi lo trova. “Ecco che sei guarito; non peccare più” Entra in questo scambio di parole, ma non per dire, il sabato non è così importante… non entra nella polemica, entra nella situazione e dice all’uomo l’unica parola che, ancora una volta, è significativa: Sei guarito, non peccare più. Non c’è un’altra cosa da dire.

sabato 24 aprile 2010

Schizzofrenia che viene dal Municipio: Venti giorni fa una nota della Ragioneria descriveva il disastro dei conti comunali - Il 9 aprile il Revisore dei Conti fa una relazione paradisiaca (i crediti sono esigibili), non si parla di crediti risalenti al 1997. Significa che in questi ultimi giorni la Ragioneria ha incassato tutto ? Qual'è la verità vera ?

Martedì 27 aprile, alle 16,30, è convocato il Consiglio Comunale di Contessa Entellina per trattare l'esame del conto consuntivo 2009.
Si tratta di un anno trascorso senza onori e senza attività. In altri termini si può dire "un anno della vita umana perso". Nulla è stato avviato, nulla è stato realizzato e nulla resterà per ricordare quest'anno che ha, sotto un profilo non finanziario, ulteriormente visto emigrare le giovani energie dei contessioti verso l'Alta Italia.
I conti del comune segnalano solamente che sono stati erogati stipendi e sono state richieste tasse ai contribuenti. Tutto nel segno del torpore: con assessori che regolarmente hanno riscosso la loro pensioncina mensile "indennità di carica".
Annata senza traumi quindi.

Vediamo perora -in termini generali- qualche numero:
-In termini di cassa il Comune ha incassato €. 4.381.287,73
-Ha sborsato €. 4.078.250,52
-Al 31 dicembre 2009 risultano in cassa €. 1.782.570,52; mentre al 31 dicembre del 2008 la giacenza era di €. 1.479.533,28.
Questi numeri (che riguardano la cassa) già danno l'idea di una realtà dormiente, inerme, senza fiato.
Riporteremo in seguito un resoconto più di dettaglio per evidenziare che al Comune di Amministratori che operino c'è grande assenza.

Cosa c'entra la "pari dignità" con le celebrazioni bizantine ? Se padre Mario conosce gli inni bizantini non deve pretendere 'pari dignità', deve esigere di guidare le liturgie e le para-liturgie dei greci. Ma se non li conosce, stia zitto !! - La preghiera bizantina non è un dibattito parlamentare.

Sono reduce da una discussione fra amici. Nessuno di noi ha capito finora le ragioni di Padre Mario Bellanca, parroco nella Chiesa della Favara, che lo inducono con determinazione (senza se e senza ma) di sbarrare la strada di ingresso che conduce all'interno della SUA Chiesa ai cattolico-bizantini di Contessa Entellina in tre occasioni, ogni anno: Pasqua, prima quindicina di Agosto e (si suppone) 8 Settembre, festa della Natività di Maria.
Qualcuno azzarda che quelle visite, con lo sfarzo delle processioni costantinopolitane, contraggono, sminuiscono, l'autonomia di quella parrocchia. Insomma Padre Mario non risulta essere per l'intera durata delle visite il "dominus" di quella Chiesa. I greci, a sentire, l'amico 'latino' che tenta di spiegare le ragioni di Padre Mario, la fanno da padroni in quei giorni, mettono in un cantuccio Padre Mario (che, in pratica, non avrebbe voce in capitolo in quelle celebrazioni da greci).
Spunta, finalmente, ad opera dell'amico "latino" la parolina magica "pari dignità" che mancherebbe a Padre Mario. Quelle visite dei greci nella Chiesa dei latini metterebbero in ombra la "pari dignità".
Noi che abbiamo dimestichezza col linguaggio della politica non percepiamo cosa possa significare in termini ecclesiali la "pari dignità" nel pregare l'Eterno. Vogliamo tentare di svolgere, comunque, un nostro percorso logico, che non pretendiamo debba essere condiviso. Infatti è un nostro ragionamento.
Da 300 - 400 anni i 'greci' si recano nella Chiesa della Madonna della Favara per svolgere i servizi religiosi che abbiamo più sopra elencati (Pasqua, Paraclisis, Natività di Maria). Si tratta di belle e grandiose celebrazioni, oltre che sotto il profilo religioso e della fede, anche sotto il profilo culturale (gli inni vengono infatti dai primi secoli del Cristianesimo e alcuni -lo ha riferito Luttwack nel corso della 'Shega 2010- addirittura sono l'adattamento cristiano a precedenti inni ebraici del periodo di Gesù Cristo su questa terra). Partecipare a questi riti è, per chi è cristiano, come sentirsi plasmare balsami sulla coscienza.
 Chi non ricorda cosa riferirono gli ambasciatori del principe di Kiev al loro signore che li aveva mandato in giro per i paesi che si affacciano sul Mediterraneo per riferirgli il modo di pregare dei vari popoli ?
Essi riferirono cosa avevano visto a Roma, presso i cattolico-romani, presso i mussulmani delle terre islamizzate e, infine, spiegarono cosa viddero presso i greco-bizantini di Costantinopoli: "La liturgia non è altro che l'incontro degli uomini e degli angeli che insieme, in forma non umana, innalzano lodi a Dio".
A Contessa Entellina, la Chiesa bizantina, conserva inni liturgici e para-liturgici che sono di altri tempi e di altri modi di sentire. Per chi si immerge nell'ascolto quella liturgia è ancora in condizione di far 'vedere' l'incontro fra il Cielo e la Terra.
Se a Contessa Entellina abbiamo questo privileggio, che la Chiesa di Roma nella persona dei vari Papi non cessa di apprezzare, mi chiedo: di quale 'pari dignità' si parla ?
La dignità è un elemento, personale, collettivo, che o si possiede o non si possiede. Non si può imporre al prossimo di riconoscerci dignità che non riesce a cogliere. Qui entriamo nel campo della psicologia. Non è comunque il nostro campo.
Se la Chiesa bizantina per 300-400 anni ha cantato queste lodi all'esterno delle sue Chiese, se ha portato questi tesori di altri tempi nella Chiesa di rito romano, cosa c'è di così drammatico, psicodrammatico, da indurre padre Mario Bellanca a chiudere -o semichiudere- i portoni della SUA Chiesa ? Che c'entra la "pari dignità" ? Tenti, pure lui, di immergersi, di capire, ci provi. Se non ci riesce, pazienza. Si tratta di riti che -tuttosommato- durano, ciascuno, meno di un ora, ad esclusione del pontificale della Natività di Maria che ha tempi di "greci".
Egli, in seminario, avrebbe dovuto coltivare la stima e il rispetto per il rito bizantino (in proposito abbiamo pubblicato qualche giorno fa su questo blog una lettera del Vaticano -del 1986- a tutti i rettori di seminario). Se poi, per ragioni personali, non riesce ad amare queste tradizioni contessiote, ebbene, faccia uno sforzo, si imponga di starsene contenuto, in riserbo, come l'abito che porta gli impone. Non canti, non partecipi a queste liturgie che vengono da lontano, ma eviti di chiudere le porte.
Possiamo accettare, anche se non condividere, l'avversione per la bellezza decandata dagli ambasciatori del principe di Kiev nei confronti delle lodi innalzate a Dio dai greci, ma non accettiamo, non accetteremo mai, che un prete che ha dei chiodi fissi nei confronti delle "cose" dei greci chiuda le porte. No, questa non è più "autonomia" della parrocchia, questa in Italiano si chiama INTOLLERANZA nei confronti di mezzo paese (i greci), si chiama INCIVILTA' nei confronti dell'intero paese (greci e latini messi assieme).
E padre Mario potrà invocare tutti i canoni del suo codice personale o di quello canonico, ma non troverà mai comprensione nello sbattere le porte contro chi appartiene ad altri riti. Mai.
Ci guadagnerebbe tantissimo se le sue ragioni, che non vanno ammantate di religiosità ma di 'piccoli poteri' umani di questo mondo, le facesse valere in termini, non dico evangelici (sempre difficili per noi uomini-peccatori) ma in termini di civiltà. Si, i termini di civiltà nel 2010 da Padre Mario li esige Contessa Entellina, tutta intera, da lui e da chiunque.

L'edizione 'Shega' 2010 finisce in mano ai politici. Il sindaco di Piana degli Albanesi organizza, gestisce e fa flop. Quando i politici si sostituiscono alle strutture competenti ...

  Non è un segreto per nessuno, il sindaco Caramanno è un uomo capace di grandi amori e di analoghi odi. Tutto dipende dall'interlocutore. Se questi ha una visione delle cose del mondo differente dalla sua, è un uomo finito, da mettere da parte, per il sindaco. 
Sindaco, ricordiamocelo, che nel 2009 non ha fatto partecipare, dopo 60, il gonfalone del Comune all'annuale celebrazione a Portella delle Ginestre della strage eseguita dal bandito Giuliano, in cui perirono lavoratori anche di Piana.
Piana degli Albanesi ha la fortuna di avere, nell'organico del Comune, un uomo dalle qualità eccezionali nel comparto della cultura, delle tradizioni e della storia: Pietro Manali.
Lo abbiamo letto in un fascicolo di 'Biblios', Pietro Manali -vero uomo di cultura- non rientra nelle grazie del sindaco Caramanno. Tanto è che quella preziosa collana editoriale, ci pare di aver capito, è stata sospesa.
A organizzare l'edizione, in tono minore, di Shega 2010 non è stato Pietro Manali e la differenza rispetto alle precedenti è stato palpabile. Non tanto per i relatori, tutti bravi, dotti e all'altezza del compito. L'organizzazione è stata un flop in assoluto. Dalle migliaia di partecipanti di tutte le precedenti edizioni si è passati a poche decine di persone presenti.
Conclusione:
I politici di quest'epoca impareranno mai a fare politica e a lasciare a chi di competenza la gestione delle iniziative ?

Riportiamo un articolo, di La Repubblica, sulla presenza a Palermo di Edward Luttwak (uno dei relatori di Shega 2010).
Edward Luttwak severo con Palermo: “Città abbandonata, in balia di se stessa”



In qualche modo si tratta di un ritorno. Edward Luttwak a Palermo ha abitato tre anni, dal 1948 al 1951. Era un bambino che frequentava le elementari. Suo padre, un industriale ebreo, aveva lasciato la Romania con la famiglia e scelto Palermo per farsi un’altra vita. Palermo era l’unica capitale europea sopravvissuta, pressoché indenne, al martirio del conflitto mondiale. Parigi, Londra, Berlino erano state distrutte. E Roma, Milano, Torino invivibili o quasi. “Palermo era confortevole, c’era il riscaldamento, le strade erano pulite e la città era ordinata e ben amministrata, in più – ricorda Luttwak – al Teatro Massimo si poteva assistere alle performances musicali più importanti del tempo. Grandi orchestre, grandi artisti”.
I ricordi di Luttwak sono nitidi e generosi. Gli anni dell’infanzia e dell’adolescenza pretendono gratitudine e nostalgia, ma qualcosa di buono deve essere rimasto nella memoria di una delle più celebri “teste d’uovo” Usa viventi.
Nel rievocare la “sua” Palermo e ricordare a chi non ne avesse più memoria che “abitano” qui i monumenti architettonici più importanti d’Europa, come la Cappella Palatina, Edward Luttwak si llascia andare ad una mezza invettiva che appare più un gesto d’affetto che una critica: “Palermo è abbandonata, male amministrata”. E poi, rivolto al Presidente della Provincia, Avanti, che gli sta accanto, gli propone l’annessione, visto che le cose vanno così male.
Se Edward Luttwak – cittadino del mondo, europeo ed americano insieme – ha questa percezione del capoluogo isolano, una città in balia di se stessa, qualcosa deve essere accaduto a Palermo.
Luttwak ha presentato a Palermo il suo ultimo libro, “L’Impero Bizantino”, la seconda fatica storica dopo “L’Impero Romano”, pregevole opera di grande successo. Difficilmente eventi siffatti destano interesse e guadagnano attenzioni, ma ascoltare Luttwak è come assistere alla performance di Luciano Pavarotti nel campo della storia. È impressionante la capacità di analisi, la qualità e la quantità delle conoscenze tenute insieme da un ragionamento lineare e di semplicità straordinaria. Chi s’era fatto idee su come sono andate le cose al tempo dei bizantini, deve averle riviste o rimosse. L’impero bizantino è stato raccontato come il più grande di ogni tempo. Nell’immaginario collettivo è stato tramandato come un’epoca di astruserie. I bizantini sarebbero complicati, ambigui, sofisticati a sproposito e perciò infrequentabili o, comunque, irragionevolmente complicati. Icona della doppiezza, dunque. Luttwak ha smantellato tutto questo, dimostrando esattamente il contrario. Erano fini diplomatici, colti e tolleranti, amanti della pace (ma preparati a far guerra) e in possesso di una forte identità. Ed è grazie ad essa che l’impero è stato il più longevo di ogni tempo: l’identità cristiana, la fiera padronanza della cultura ellenica, la conservazione e lo sviluppo delle istituzioni latine. Sono stati i bizantini a “salvare” la cultura greca e, in buona misura, quella latina. Sono stati loro a tramandare tutto ciò che valeva la pena di ricordare. Innumerevoli i documenti, i manuali, le testimonianze raccolte e diffuse in epoca bizantina.
Ma Luttwak ha fatto di più. Ha raccontato la storia di quell’impero tenendo sotto traccia la storia del nostro tempo. Per esempio ha confessato, forse è la prima volta che lo fa, il suo profondo dissenso nei confronti della politica statunitense degli ultimi anni nelle terre dell’Islam. Confidando nel buonsenso bizantino e nella conoscenza dei fatti, Luttwak considera un grande errore gli interventi militari in Iraq ed Afghanistan. Perché? Laddove prevale il fanatismo violento, basta sapere aspettare pazientemente e fare come i bizantini, creando le condizioni perché provvedano da soli alla loro dissoluzione. Il fanatismo, discetta Luttwak, fagocita se stesso perché non ammette deviazioni, piccole o grandi eresie. Sunniti contri sciiti e tutto il resto.

venerdì 23 aprile 2010

La Regione Sicilia, i cui vertici sono coinvolti in indagini di mafia, forse varerà la legge finanziaria.

Se la legge finanziaria della regione Sicilia raggiungerà il traguardo (il dubbio sussiste dati i tempi particolari in cui viviamo) qualcosa di buono potrebbe venirne ai cittadini. In Commissione bilancio, in questi giorni, sono state varate queste ipotesi:
-L’acqua, il bene fondamentale dell’uomo, tornerà ad essere un bene pubblico. Ciò avviene dopo che il Parlamento nazionale ha deliberato di affidare, invece, l’intero sistema idrico a 6-8 grosse aziende private, con partecipazione pubblica minoritaria.
-Sarà varato il credito d’imposta a favore delle aziende che assumono disoccupati. L'implicazione sarà quella di una riduzione del costo del lavoro e conseguenti benefici nella base produttiva della regione.
-dovrebbe esserci un abbattimento dei ticket sanitari diagnostici a beneficio delle fasce sociali più deboli.
-sarebbero messi a disposizione degli enti locali fondi da destinare al ripianamento dei debiti dei comuni con le società di gestione degli Ato-rifiuti. Si tratterebbe di una misura tesa al completamento della recente riforma che ha ridotto il numero degli Ato-rifiuti in Sicilia.
-non è invece prevista la stabilizzazione dei “precari” degli enti locali, circa 20.000 unità che da oltre venti anni lavorano nella Pubblica Amministrazione senza averne lo status pieno. Per questi (ex giovani) sono stati individuati i soldi per proseguire nella “precarietà” per ulteriori cinque anni.
Con quanto detto, ossia che qualche cosina di buono ci sarà, non intendiamo dire che siamo in presenza di una legge finanziaria soddisfacente. Gli sprechi per mantenere il sistema clientelare infatti non si contano. Il parassitismo atavico non è scalfito e i fondi per la formazione continueranno a fluire nelle casse degli organismi in cui sono presenti le mogli, i figli, le amanti etc. etc. di tanti parlamentari. Almeno fino a quando la magistratura non farà piena luce.
Accontentiamoci intanto dei pochi spiragli che la classe politica, oggi in sella, ci offre.
Chissà che fra un cinquantennio la nostra regione non sarà retta da persone serie e soprattutto integre.

giovedì 22 aprile 2010

La Chiesa gerarchica è cosa diversa dalla Chiesa dei credenti

Ci siamo dedicati al comportamento di Padre Mario Bellanca, parroco a Contessa Entellina, nominato sacerdote e parroco da Mons. Sotir Ferrara, Eparca di Piana degli Albanesi. Questo sacerdote ordinato all'interno di una diocesi cattolico-bizantina (perchè la diocesi di origine, cattolico-romana, non aveva nessuna intenzione di ordinarlo) non ama i cattolici-bizantini e da qualche tempo in quà si esibisce in quella che abbiamo definita la "Teologia delle porte chiuse e semichiuse".
Egli decide chi ammettere e chi escludere dalla SUA Chiesa e se del caso chiude per quindici giorni il portone della SUA chiesa per evitare le "intrusioni" dei greco-cattolici. Non è che sia un leghista che blocca gli extra-comunitari; egli nella SUA chiesa è libero di accogliere chi gli pare e piace. Se i greci vanno a trovarlo da soli egli li accoglie con socievolezza e con piacere; se però si presentano accompagnati da Papas Nicola Cuccia (parroco bizantino) egli non ci vede dagli occhi. 
Siccome l'autonomia di un sacerdote è un "dogma" di Santa Romana Chiesa (sancito nei primi sette concili universali), ovviamente, il Vescovo di Piana (quello che ha ordinato Don Mario) si guarda bene dall'intervenire. Un dogma è un dogma, ed il Vescovo deve pur salvarsi l'anima. (ndr. Non chiedeteci dove abbiamo letto del dogma).
Egli, il Vescovo, può decidere se andare a celebrare un matrimonio bizantino ad Acireale, a Roccacannuccia, ma guai se gli chiedete di interessarsi di ciò che capita fra le parrocchie della sua diocesi.
Questa è materia che Egli vorrebbe fosse risolta a Roma, da qualcuna di quelle Congregazioni dove siedono a bizzeffa cardinali di vari ordini e gradi, impegnati nelle grandi cose di questo mondo.

Quanto accade a Contessa è poca cosa rispetto a ciò che accade a Roma.
In questi giorni è stato ricordato con incontri, cerimonie e ricevimenti, il 5° anniversario dell'elezione di Benedetto XVI. I giornali ci hanno inondato di tutti i particolari sulle cordialità fra il segretario di Stato, cardinale Bertone numero due in Vaticano, gerarchicamente dopo il Papa, e cristianissimi esponenti politici padani (quelli che amano tanto evangelicamente gli extracomunitari). Il cardinale Bertone si è inoltre calorosamente intrattenuto col devotissimo premier italiano, colui che sabato scorso al funerale di Vianello ha ricevuto la comunione benchè divorziato e risposato.
Noi scriviamo queste cose non perchè vogliamo evidenziare che qualcuno prende in giro Gesù Cristo, sono fatti suoi. Vorremmo però capire dal cardinale Bertone perchè Santa Romana Chiesa è così severa con i semplici cittadini (e fedeli) ai quali non smette di elencare divieti e minacce di anatemi e si intrattierne convivialmente con i potenti ?
Noi sappiamo che lassù c'è qualcuno superiore a tutto e a tutti.
Ignoravamo che si chiamasse Silvio.

(di seguito una nota di Ratzinger sui divorziati/risposati)
14 settembre 1994

LETTERA AI VESCOVI DELLA CHIESA CATTOLICA CIRCA LA RECEZIONE DELLA COMUNIONE EUCARISTICA DA PARTE DI FEDELI DIVORZIATI RISPOSATI

Consapevoli però che l'autentica comprensione e la genuina misericordia non sono mai disgiunti dalla verità, i pastori hanno il dovere di richiamare a questi fedeli la dottrina della Chiesa riguardante la celebrazione dei sacramenti e in particolare la recezione dell'Eucaristia.



Eccellenza Reverendissima,
1. L'Anno Internazionale della Famiglia è un'occasione particolarmente importante per riscoprire le testimonianze dell'amore e della sollecitudine della Chiesa per la famiglia(1) e, nel contempo, per riproporre le inestimabili ricchezze del matrimonio cristiano che della famiglia costituisce il fondamento.
2. In questo contesto una speciale attenzione meritano le difficoltà e le sofferenze di quei fedeli che si trovano in situazioni matrimoniali irregolari(2). I pastori sono chiamati a far sentire la carità di Cristo e la materna vicinanza della Chiesa; li accolgano con amore, esortandoli a confidare nella misericordia di Dio, e suggerendo loro con prudenza e rispetto concreti cammini di conversione e di partecipazione alla vita della comunità eccesiale(3).
3. Consapevoli però che l'autentica comprensione e la genuina misericordia non sono mai disgiunti dalla verità(4), i pastori hanno il dovere di richiamare a questi fedeli la dottrina della Chiesa riguardante la celebrazione dei sacramenti e in particolare la recezione dell'Eucaristia. Su questo punto negli ultimi anni in varie regioni sono state proposte diverse soluzioni pastorali secondo cui certamente non sarebbe possibile un'ammissione generale dei divorziati risposati alla Comunione eucaristica, ma essi potrebbero accedervi in determinati casi, quando secondo il giudizio della loro coscienza si ritenessero a ciò autorizzati. Così, ad esempio, quando fossero stati abbandonati del tutto ingiustamente, sebbene si fossero sinceramente sforzati di salvare il precedente matrimonio, ovvero quando fossero convinti della nullità del precedente matrimonio, pur non potendola dimostrare nel foro esterno, oppure quando avessero già trascorso un lungo cammino di riflessione e di penitenza, o anche quando per motivi moralmente validi non potessero soddisfare l'obbligo della separazione.
Da alcune parti è stato anche proposto che, per esaminare oggettivamente la loro situazione effettiva, i divorziati risposati dovrebbero intessere un colloquio con un sacerdote prudente ed esperto. Questo sacerdote però sarebbe tenuto a rispettare la loro eventuale decisione di coscienza ad accedere all'Eucaristia, senza che ciò irnplichi una autorizzazione ufficiale.
In questi e simili casi si tratterebbe di una soluzione pastorale tollerante e benevola per poter rendere giustizia alle diverse situazioni dei divorziati risposati.
4. Anche se è noto che soluzioni pastorali analoghe furono proposte da alcuni Padri della Chiesa ed entrarono in qualche misura anche nella prassi, tuttavia esse non ottennero mai il consenso dei Padri e in nessun modo vennero a costituire la dottrina comune della Chiesa né a determinarne la disciplina. Spetta al Magistero universale della Chiesa, in fedeltà alla Sacra Scrittura e alla Tradizione, insegnare ed interpretare autenticamente il "depositum fidei".
Di fronte alle nuove proposte pastorali sopra menzionate questa Congregazione ritiene pertanto doveroso richiamare la dottrina e la disciplina della Chiesa in materia. Fedele alla parola di Gesù Cristo(5), la Chiesa afferma di non poter riconoscere come valida una nuova unione, se era valido il precedente matrimonio. Se i divorziati si sono risposati civilmente, essi si trovano in una situazione che oggettivamente contrasta con la legge di Dio e perciò non possono accedere alla Comunione eucaristica, per tutto il tempo che perdura tale situazione(6).
Questa norma non ha affatto un carattere punitivo o comunque discriminatorio verso i divorziati risposati, ma esprime piuttosto una situazione oggettiva che rende di per sé impossibile l'accesso alla Comunione eucaristica: "Sono essi a non poter esservi ammessi, dal momento che il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell'unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dalI'Eucaristia. C'è inoltre un altro peculiare motivo pastorale; se si ammettessero queste persone all'Eucaristia, i fedeli rimarrebbero indotti in errore e confusione circa la dottrina della Chiesa sull'indissolubilità del matrimonio"(7).
Per i fedeli che permangono in tale situazione matrimoniale, I'accesso alla Comunione eucaristica è aperto unicamente dall'assoluzione sacramentale, che può essere data "solo a quelli che, pentiti di aver violato il segno dell'Alleanza e della fedeltà a Cristo, sono sinceramente disposti ad una forma di vita non più in contraddizione con l'indissolubilità del matrimonio. Ciò importa, in concreto, che quando l'uomo e la donna, per seri motivi - quali, ad esempio, I'educazione dei figli - non possono soddisfare l'obbligo della separazione, "assumano l'impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi""(8). In tal caso essi possono accedere alla comunione eucaristica, fermo restando tuttavia l'obbligo di evitare lo scandalo.
5. La dottrina e la disciplina della Chiesa su questa materia sono state ampiamente esposte nel periodo postconciliare dall'Esortazione Apostolica "Familiaris consortio". L'Esortazione, tra l'altro, ricorda ai pastori che, per amore della verità, sono obbligati a ben discernere le diverse situazioni e li esorta a incoraggiare la partecipazione dei divorziati risposati a diversi momenti della vita della Chiesa. Nello stesso tempo ribadisce la prassi costante e universale, "fondata sulla Sacra Scrittura, di non ammettere alla Comunione eucaristica i divorziati risposati"(9), indicandone i motivi. La struttura dell'Esortazione e il tenore delle sue parole fanno capire chiaramente che tale prassi, presentata come vincolante, non può essere modificata in base alle differenti situazioni.
6. Il fedele che convive abitualmente "more uxorio" con una persona che non è la legittima moglie o il legittimo marito, non può accedere alla Comunione eucaristica. Qualora egli lo giudicasse possibile, i pastori e i confessori, date la gravità della materia e le esigenze del bene spirituale della persona(10) e del bene comune della Chiesa, hanno il grave dovere di ammmonirlo che tale giudizio di coscienza è in aperto contrasto con la dottrina della Chiesa(11). Devono anche ricordare questa dottrina nell'insegnamento a tutti i fedeli loro affidati.
Ciò non significa che la Chiesa non abbia a cuore la situazione di questi fedeli, che, del resto, non sono affatto esclusi dalla comunione ecclesiale. Essa si preoccupa di accompagnarli pastoralmente e di invitarli a partecipare alla vita ecclesiale nella misura in cui ciò è compatibile con le disposizioni del diritto divino, sulle quali la Chiesa non possiede alcun potere di dispensa(12). D'altra parte, è necessario illuminare i fedeli interessati affinché non ritengano che la loro partecipazione alla vita della Chiesa sia esclusivamente ridotta alla questione della recezione dell'Eucaristia. I fedeli devono essere aiutati ad approfondire la loro comprensione del valore della partecipazione al sacrificio di Cristo nella Messa, della comunione spirituale(13), della preghiera, della meditazione della Parola di Dio, delle opere di carità e di giustizia(14).
7. L'errata convinzione di poter accedere alla Comunione eucaristica da parte di un divorziato risposato, presuppone normalmente che alla coscienza personale si attribuisca il potere di decidere in ultima analisi, sulla base della propria convinzione(15), dell'esistenza o meno del precedente matrimonio e del valore della nuova unione. Ma una tale attribuzione è inammissibile(16). Il matrimonio infatti, in quanto immagine dell'unione sponsale tra Cristo e la sua Chiesa, e nucleo di base e fattore importante nella vita della società civile, è essenzialmente una realtà pubblica.
8. É certamente vero che il giudizio sulle proprie disposizioni per l'accesso all'Eucaristia deve essere formulato dalla coscienza morale adeguatamente formata. Ma è altrettanto vero che il consenso, col quale è costituito il matrimonio, non è una semplice decisione privata, poiché crea per ciascuno dei coniugi e per la coppia una situazione specificamente ecclesiale e sociale. Pertanto il giudizio della coscienza sulla propria situazione matrimoniale non riguarda solo un rapporto immediato tra l'uomo e Dio, come se si potesse fare a meno di quella mediazione ecclesiale, che include anche le leggi canoniche obbliganti in coscienza. Non riconoscere questo essenziale aspetto significherebbe negare di fatto che il matrimonio esiste come realtà della Chiesa, vale a dire, come sacramento.
9. D'altronde l'Esortazione "Familiaris consortio", quando invita i pastori a ben distinguere le varie situazioni dei divorziati risposati, ricorda anche il caso di coloro che sono soggettivamente certi in coscienza che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido(17). Si deve certamente discernere se attraverso la via di foro estemo stabilita dalla Chiesa vi sia oggettivamente una tale nullità di matrimonio. La disciplina della Chiesa, mentre conferma la competenza esclusiva dei tribunali ecclesiastici nell'esame della validità del matrimonio dei cattolici, offre anche nuove vie per dimostrare la nullità della precedente unione, allo scopo di escludere per quanto possibile ogni divario tra la verità verificabile nel processo e la verità oggettiva conosciuta dalla retta coscienza(18).
Attenersi al giudizio della Chiesa e osservare la vigente disciplina circa I obbligatorietà della forma canonica in quanto necessaria per la validità dei matrimoni dei cattolici, è ciò che veramente giova al bene spirituale dei fedeli interessati. Infatti, la Chiesa è il Corpo di Cristo e vivere nella comunione ecclesiale è vivere nel Corpo di Cristo e nutrirsi del Corpo di Cristo. Ricevendo il sacramento dell'Eucaristia, la comunione con Cristo Capo non può mai essere separata dalla comunione con i suoi membri, cioè con la sua Chiesa. Per questo il sacramento della nostra unione con Cristo è anche il sacramento dell'unità della Chiesa. Ricevere la Comunione eucaristlca in contrasto con le norme della comunione ecclesiale è quindi una cosa in sé contraddittoria. La comunione sacramentale con Cristo include e presuppone l'osservanza, anche se talvolta difficile, dell'ordinamento della comunione ecclesiale, e non può essere retta e fruttifera se il fedele, volendo accostarsi direttamente a Cristo, non rispetta questo ordinamento.
10. In armonia con quanto sinora detto, è da realizzare pienamente il desiderio espresso dal Sinodo dei Vescovi, fatto proprio dal Santo Padre Giovanni Paolo II e attuato con impegno e con lodevoli iniziative da parte di Vescovi, sacerdoti, religiosi e fedeli laici: con sollecita carità fare tutto quanto può fortificare nell'amore di Cristo e della Chiesa i fedeli che si trovano in situazione matrimoniale irregolare. Solo così sarà possibile per loro accogliere pienamente il messaggio del matrimonio cristiano e sopportare nella fede la sofferenza della loro situazione. Nell'azione pastorale si dovrà compiere ogni sforzo perché venga compreso bene che non si tratta di nessuna discriminazione, ma soltanto di fedeltà assoluta alla volontà di Cristo che ci ha ridato e nuovamente affidato l'indissolubilità del matrimonio come dono del Creatore. Sarà necessario che i pastori e la comunità dei fedeli soffrano e amino insieme con le persone interessate, perché possano riconoscere anche nel loro carico il giogo dolce e il carico leggero di Gesù(19). Il loro carico non è dolce e leggero in quanto piccolo o insignificante, ma diventa leggero perché il Signore - e insieme con lui tutta la Chiesa - lo condivide. É compito dell'azione pastorale che deve essere svolta con totale dedizione, offrire questo aiuto fondato nella verità e insieme nell'amore.
Uniti nell'impegno collegiale di far risplendere la verità di Gesù Cristo nella vita e nella prassi della Chiesa, mi è grato professarmi dell'Eccellenza Vostra Reverendissima dev.mo in Cristo.
Joseph Card. Ratzinger
Prefetto
+ Alberto Bovone
Arcivescovo tit. di Cesarea di Numidia
Segretario

Il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, nel corso dell'Udienza concessa al Cardinale Prefetto, ha approvato la presente Lettera, decisa nella riunione ordinaria di questa Congregazione, e ne ha ordinato la pubblicazione.
Roma, dalla Sede della Congregazione per la Dottrina della Fede, il 14 Settembre 1994, nella festa dell'Esaltazione della Santa Croce.

NOTE
(1) Cf. Giovanni Paolo II, Lettera alle Famiglie (2 febbraio 1994), n. 3.
(2) Cf. Giovanni Paolo II, Esort. apost. Familiaris consortio, nn. 79-84: AAS 74 (1982) 180-186.
(3) Cf. Ibid., n. 84: AAS 74 (1982) 185; Lettera alle Famiglie, n. 5; Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1651.
(4) Cf. Paolo VI, Lett. enc. Humanae vitae, n. 29: AAS 60 (1968) 501; Giovanni Paolo II, Esort. apost. Reconciliatio et paenitentia, n. 34: AAS 77 (1985) 272; Lett. enc. Veritatis splendor, n. 95: AAS 85 (1993) 1208.
(5) Mc 10,11-12: "Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio contro di lei; se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio".
(6) Cf. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1650; cf. anche n. 1640 e Concilio Tridentino, sess. XXIV: Denz.-Schoenm. 1797-1812.
(7) Esort. apost. Familiaris consortio, n. 84: AAS 74 (1982) 185-186.
(8) Ibid,. n. 84: AAS 74 (1982) 186; cf. Giovanni Paolo II, Omelia per la chiusura del VI Sinodo dei Vescovi, n. 7: AAS 72 (1982) 1082.
(9) Esort. apost. Familiaris consortio, n. 84: AAS 74 (1982) 185.
(10) Cf. 1 Cor 11,27-29.
(11) Cf. Codice di Diritto Canonico, can. 978 § 2.
(12) Cf. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1640.
(13) Cf. Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica su alcune questioni concernenti il Ministro dell'Eucaristia, III/4: AAS 74 (1983) 1007; S. Teresa di Avila, Camino de perfección, 35, 1; S. Alfonso M. de' Liguori, Visite al SS. Sacramento e a Maria Santissima.
(14) Cf. Esort. apost. Familiaris consortio, n. 84: AAS 74 (1982) 185.
(15) Cf. Lett. enc. Veritatis splendor, n. 55: AAS 85 (1993) 1178.
(16) Cf. Codice di Diritto Canonico, can. 1085 § 2.
(17) Cf. Esort. apost. Familiaris consortio, n. 84: AAS 74 (1982) 185.
(18) Cf. CIC, cann. 1536 § 2 e 1679 e CCEO, cann. 1217 § 2 e 1365 circa la forza probante delle dichiarazioni delle parti in tali processi.
(19) Cf. Mt 11,30.