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mercoledì 6 ottobre 2010

Ancora sul significato dell'Iconostasi

Ieri abbiamo evidenziato che l’iconostasi è quella parete divisoria che sorregge un certo numero di icone di santi -che preannunciano che alle loro spalle sta il Paradiso- e divide lo spazio della Chiesa; in uno il clero celebra i misteri della salvezza nell'altra, nella navata, il popolo  tende ad accostarsi con la purificazione e l’illuminazione a quei misteri.
Nell’Impero romano d'Oriente, nel periodo in cui dal paganesimo molte popolazioni passavano al Cristianesimo si riteneva necessario nascondere allo sguardo dei neofiti i misteri celebrati.
La verità cristiana -si pensava che- per poter essere assunta e vissuta deve essere mostrata in forma graduale e didattica. Non si riteneva opportuno esporre tutto e subito poiché molte cose non sarebbero state comprese e vissute, sarebbero state comprese invece con l’esperienza di un percorso cristiano dell'esistenza.
L’Occidente da un certo periodo in poi ha percorso un’altra via.
Dal periodo barocco, per esempio, ha fatto della liturgia cattolico-romana un luogo splendido per stupire e colpire i fedeli. Il favoloso spettacolo estetico della liturgia barocca richiedeva infatti il primato della visione.
A partire dagli anni ’70 del XX secolo, troviamo chiese che non hanno nemmeno un presbiterio e nelle quali l’altare si situa semplicemente al centro dell’assemblea sotto lo sguardo di tutti.
Nel rito bizantino -in Italia- solamente nel XX secolo sono state ripristinate le iconostasi.
A Contessa Entellina è stato il parroco papas Lino lojacono sul finire degli anni trenta che ha sistemato nella Chiesa dell’Annunziata la prima iconostasi, quella che adesso è situata nella Chiesa di San Rocco.
Esistono anche fra il clero bizantino sporadici tentativi di annullare il significato e l’impatto dell’iconostasi; sono quei sacerdoti succubi di una mentalità non pertinente allo spirito del rito celebrato e al significato storico-teologico sotteso.
Laddove, nell’Occidente cristiano, per incontrare Dio è necessario "vedere" (l’elevazione dell’Ostia dopo la sua consacrazione inizia grosso modo nel XIII secolo), per l’Oriente è indispensabile nascondere. Quest’ultimo atteggiamento è in linea perfetta con il pensiero patristico e, in particolar modo, con quello di San Gregorio di Nissa per il quale "Mosé vide Dio nella tenebra".
Dietro a queste interpretazioni c’è quella mentalità patristica secondo la quale Dio abita in una luce che (per l’uomo) è tenebra ed è solo in essa che è possibile contemplarLo.

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