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domenica 31 ottobre 2010

Il sindaco Parrino a maggio ha chiesto altre due assunzioni di precari. Vuole mettersi al passo con Cammarata

articolo ripreso dal sito La Repubblica
Record di dipendenti al Comune


Sono 670 i lavoratori in esubero. Palermo ha il rapporto più alto fra le grandi città italiane: tre lavoratori ogni cento abitanti. L'amministrazione municipale che nel 1998 aveva solo 13.733 persone che dipendevano dalle sue casse, oggi paga 21.886 stipendi considerando i lavoratori diretti e gli assunti nelle società partecipate

I lavoratori che rischiano il licenziamento sono 667. In origine, un paio di mesi fa, sono state le 65 lettere di licenziamento spedite dal presidente Amia Essemme Filippo Cucina ad altrettanti spazzini. Poi è stata la volta di Gesip con il liquidatore Piero Mattei che una settimana fa ha spedito la missiva di "licenziamento di massa" a 500 dipendenti. Seguito a ruota, due giorni fa, dal presidente di Gesip Servizi Marcello Amato che ha annunciato il licenziamento a tutti i 102 lavoratori.

Nonostante le procedure di messa in mobilità, almeno per quanto riguarda Gesip, siano state congelate dopo gli impegni assunti dal sindaco Diego Cammarata in un tavolo in prefettura, c'è il rischio che a gennaio 667 persone si ritrovino senza lavoro. Al momento, quelle di Cammarata, sono solo promesse: tant'è che il liquidatore Mattei, all'indomani dell'incontro in prefettura, ha rassegnato le sue dimissioni. Il suo compito era quello di frenare le perdite da 800 mila euro al mese e l'unica strada che aveva trovato erano i licenziamenti di tutti i dipendenti, 488, assunti dopo la costituzione della società. La settimana prossima l'assemblea dei soci nominerà il nuovo liquidatore che con ogni probabilità sarà l'amministratore di Spo Massimo Primavera.
Il Comune che nel 1998 aveva solo 13.733 persone che dipendevano dalle sue casse, oggi paga 21.886 stipendi tra quelli di dipendenti comunali e di società partecipate. I lavoratori pagati dalle casse dell'amministrazione comunale sono troppi: la media è di 3,2 lavoratori ogni cento abitanti. Più che a Napoli, Milano, Roma e Torino. Un esercito di stipendiati pubblici che le casse dell'amministrazione non riescono più a garantire. Finora il Comune ha tentato di evitare il dissesto, aumentando le tasse: nel 2005 i precari del bacino Palermo Lavora furono assunti in Amia Essemme, mentre la Gesip, dopo che la società aveva assunto 1.500 persone a partire dal 2001, inglobò anche 350 giardinieri e assunse 105 precari nella società satellite Gesip servizi. Assunzioni di nuovo personale, a un paio d'anni dal ritorno alle urne, che hanno prosciugato le casse comunali costringendo Cammarata, nel 2006, all'impopolare stangata sui tributi: Tarsu cresciuta del 75 per cento, raddoppio Irpef e aumento Ici sulle seconde case.
Stangata che non è servita: tant'è che i primi a convivere con la spada di Damocle del licenziamento sono proprio i precari assunti nel 2005. Ogni anno il Comune spende di stipendi 623 milioni, il 72 per cento delle spese correnti. Il bubbone società partecipate adesso è esploso con le prime serie minacce sui livelli occupazionali. La settima prossima il sindaco incontrerà i sindacati proprio per affrontare il tema delle aziende. "Abbiamo chiesto che si riordini il sistema delle partecipate - dice il segretario cittadino della Cgil Maurizio Calà - innanzitutto perché i cittadini hanno bisogno di servizi migliori, poi per evitare i licenziamenti, infine per evitare il dissesto del Comune".
Una proposta di "riorganizzazione delle società partecipate" è arrivata anche dalla commissione consiliare Aziende: il presidente Nunzio Moschetti ha scritto ai consiglieri comunali. "Tutte le aziende sono in crisi", scrive Moschetti che invita Sala delle Lapidi "a votare un atto di indirizzo per l'amministrazione" che finora si è limitata "a rinviare i problemi". Per Moschetti serve la ridefinizione delle strutture delle aziende e l'eliminazione degli sprechi. "Non possiamo continuare a tollerare le perdite e non prendere provvedimenti". La proposta è quella di accorpare le società, nominare l'amministratore unico e comprimere le spese "inutili".

“ Sotto il cielo di Roma “: l'occupazione nazista di Roma oggi in Tv

Consiglio TV per oggi
di Nicola Graffagnini



Il 31 Ottobre e il 1° Novembre va in onda “Sotto il cielo di Roma“, miniserie sull’occupazione nazista della capitale. Paolo Mieli ex Direttore del Corriere della Sera è stato consulente storico: -Da ebreo, dico che se il Papa avesse reagito sarebbe andata molto peggio-.
La fiction ricostruisce il ruolo di Pio XII durante l’occupazione nazista della capitale, facendo luce sulla vera attività della Chiesa a favore degli ebrei e di quanti ricercati trovarono rifugio nei palazzi apostolici e nelle gallerie sotterranee del Vaticano.
Dopo il bombardamento degli Alleati e la caduta del fascismo, Roma è in mano ai nazisti. Fuggito il Re, lo Stato Maggiore dell'Esercito e i Ministri verso Brindisi, l’unico punto di riferimento è Pio XII. La situazione precipita dopo il rastrellamento del ghetto (il quartiere ove erano delimitate le case degli ebrei …). Il papa sostenuto dai suoi consiglieri, fra cui Mons. Montini (futuro Paolo VI) cerca di mitigare le violenze contattando il generale nazista Stahel. Ma su Papa Pacelli incombe una terribile minaccia: i vertici nazisti stanno progettando il suo rapimento: …
Domenica 31ottobre, h. 21,30 e lunedì 1 novembre, h. 21,10 – Rai 1.

Famiglia Cristiana dedica l’editoriale a Don Pino Puglisi

di Nicola Graffagnini
Famiglia Cristiana in edicola il 31 Ottobre dedica il tradizionale editoriale di Andrea Riccardi a Padre Pino Puglisi e lo titola con la sintesi della sua azione pastorale: “Dacci oggi la nostra speranza quotidiana”.
Andrea Riccardi ha aperto il pezzo ricordando le parole di Benedetto XVI in visita a Palermo: “Considerava inaccettabile rassegnarsi al dominio della mafia, in cui la menzogna è la verità quotidiana e i bambini crescono in mezzo alla strada alla scuola della violenza, e al proposito Don Pino Puglisi diceva: -venti, sessanta, cento anni …la vita a che serve se sbagliamo direzione? Occorre portare la speranza e non dimenticare che tutti, ciascuno al proprio posto, anche pagando di persona, siamo costruttori di un mondo nuovo-“.
Continua Riccardi: “Più che prete antimafia, era uno che parlava del Vangelo a tutti e anche ai mafiosi. Non solo non accettava i tradizionali compromessi ma sottraeva i piccoli alla scuola della mafia “ ….con quella testardaggine di volerli interessare al pomeriggio con l’oratorio e le attività di ogni genere compreso il doposcuola in vista della Scuola Media che voleva istituire nel quartiere a 30 anni della sua istituzione nel resto d’Italia ……!.
“Negli anni ruggenti di cosa nostra, nel quartiere simbolo di Palermo, quel piccolo prete si permetteva di sfidarla …. E ai bambini raccomandava di non mettersi coi mafiosi ….La sua azione pacifica ed educativa era percepita come più pericolosa di una clamorosa denuncia“.
Conclude così Riccardi: “ Stavo pensando a lui e alla rassegnazione di fronte al nostro quartiere e al nostro Paese …. Diceva Martin Buber: - Cominciare da sé stessi ….ecco l’unica cosa che conta…. Il punto di Archimede a partire dal quale posso da parte mia sollevare il mondo è la trasformazione di me stesso-.
Sì, il problema prima di tutto non sono gli altri . !”
Nicola Graffagnini

Le "emergenze" qui da noi non turbano nessuno

  Tutto ciò che nel resto d'Italia costituisce emergenza, qui da noi, a Contessa Entellina ma anche in un ambito più esteso di quest'angolo di Sicilia, costituisce ordinarietà. Con le "ordinarie" disfunzioni, con le ordinarie "emergenze" noi -residenti dell'area interna della Provincia di Palermo- riusciamo a convivere decenni senza che per noi ci sia nulla di preoccupante.
   La Sicilia dei governi "Lombardo", la Contessa Entellina di Sergio Parrino, non si scompongono di nulla.
  Immaginiamo un pochettino se le immagini che sottoriportiamo (e le loro storie) provenissero dalla Lombardia di Formigoni e di Bossi o da un comune qualunque del Trentino Alto Adige, cosa accadrebbe.
   Molte delle segnalazioni qui mostrate provengono da quei pochi contessioti che cercano di usare Facebook anche per finalità civiche. Ad essi ci sentiamo di dire grazie.
 
Resti di ciò che viene ancora chiamata Chiesa di Santa Maria del Bosco

A) La Chiesa annessa all'Abbazia di Santa Maria del Bosco è crollata per incuria degli uomini quarant'anni fà e, per non essere siciliani omertosi, è bene dire che quegli uomini che si sono assunti la responsabilità dell'incuria occupavano -da Gerarchi- i palazzi dell'Arcivescovado di Monreale avendone ricevuto l'uso, negli anni trenta del Novecento, dal Ministero degli Interni.
Sebbene dal punto di vista giurisdizionale il complesso ex benedettino ricada all'interno del territorio dell'Eparchia di Piana degli Albanesi, l'Arcivescovado di Monreale preferisce che crolli tutto, impegnato come è a voler creare l'enclave ai danni dell'Eparchia piuttosto che riconoscere l'opportunità di una via che salvaguardi il salvabile del bene monumentale. Ogni estate nel giorno di Sant'Agostino, in Agosto, abbiamo assistito alla scena di "perfetta comunione" di due Vescovi che si recano anei pressi dell'edificio di culto crollato: l'Eparca di Piana degli Albanesi celebra la Liturgia bizantina in un ambiente dell'ex-Abbazia durante la mattinata, in serata sullo stesso punto, poi, celebra la messa l'Arcivescovo di Monreale. Stranamente mai ci è stato offerto di vederli incontrare, nè ovviamente di concelebrare.
Se i due Gerarchi della Chiesa Cattolica ignorano il vero problema del Complesso Monumentale (la minaccia di ulteriori crolli) non è da meno la Regione Sicilia col suo governatore pluri-schierato (ieri col centrodestra, oggi col centrosinistra, domani con entrambi) ovvero con la sua Sovrintendenza ai Beni Culturali.
Lombardo in due anni di governo della Regione è venuto tante volte a Santa Maria per le adunate del MPA, il suo movimento politico. Ovviamente si è impegnato al recupero del Complesso, ha riscosso applausi.   ... Ovviamente, perchè così vanno le cose da noi,  non esiste ad oggi nemmeno il progetto per ipotizzare il cosa fare .. per i prossimi quarant'anni.
  A fronte di questa sgradevole comportamrento di chi "potrebbe" e non "opera", e questo va pure detto,  non esiste purtroppo l'indignazione della pubblica opinione.

Strada Provinciale Contessa Entellina-B.go Piano Cavaliere (località Muricchio)
B) La strada che collega Contessa Entellina con Santa Margherita Belice (passando per i borghi Cozzo Finocchio e Piano Cavaliere) è stata sottoposta ad interventi manutentivi pochi anni fà. Già prima che i lavori fossero completati in più punti furono segnalati inconvenienti e questi furono oggetto di discussioni in Consiglio Comunale.
I presidenti della Provincia intanto si sono alternati ed anche gli Assessori alla viabilità.
Sulla strada allo stato non esistono nemmeno promesse (fasulle) di intervento in quanto in vista non ... ci sono competizioni elettorali.

Provinciale per Santa Margherita (sotto borgo Piano Cavaliere)
C) Da mesi anche nel tratto di strada successivo all'attraversamento di borgo Piano Cavaliere sono stati rilevati segni di cedimento da frana. Ovviamente nessuno interviene nè qui nè in tanti altri tratti.

Traliccio Enel che minaccia la sicurezza della zona (nei pressi di b.go Piano Cavaliere)
D) Da mesi la pericolosità del traliccio viene segnalata da tante persone (forse anche dall'Amministrazione comunale). Evidentemente si attende che prima succeda qualcosa di irreparabile.

Voragine nella strada adiacente la villetta Biveri
E) Da qualche settimana la strada adiacente la Villa di Biveri, abbastanza frequentata perchè via di accesso all'abitato, ha ceduto e si è creata una voragine. Il Comune assicura che interverrà appena possibile.
Intanto le settimane scorrono.

Strada per Bisacquino (attraverso Patellaro Superiore)
F) La strada è in territorio di Bisacquino ma, quando trovavasi in discrete condizioni di percorribilità, era particolarmente fruita dai contessioti. Non si sa per quanti anni resterà intransitabile.

Strada ex-consortile, oggi provinciale, da cui si accede nelle condrade Carruba, Casalbianco etc.
G) E' una strada che da decenni attende l'intervento della Provincia Regionale di Palermo. Ufficialmente dichiarata "non percorribile" da anni. Può essere transitata solamente da trattori e lascia vaste centinaia (forse migliaia) di ettari del territorio comunale non valorizzabili nè per l'agricoltura, nè per la zootecnia nè per altro. 

sabato 30 ottobre 2010

Santa Margherita Belice 400 Anni: Il Contessioto Nicolò LoJacono presenterà domani pomeriggio un saggio storico

Parte oggi il programma delle celebrazioni per il quarto centenario della fondazione di Santa Bargherita di Belìce. Le manifestazione denominate Santa Margherita 400 Anni

La città del Gattopardo celebrare il quattrocentesimo anniversario della fondazione con una interessante serie di iniziative culturali, assegnazioni di riconoscimenti, presentazioni di libri e mostra di filatelia.
Oggi e domani Santa Margherita sarà l’epicentro di eventi culturali del territorio circostante. Stasera il Gran Galà dei riconoscimenti speciali, organizzato dal Lions club Sambuca Belìce, nel corso del quale saranno consegnati a quelle personalità che con la loro attività professionale, culturale e di impegno civile hanno contribuito alla crescita sociale, umana ed economica della Sicilia.
A ritirare i riconoscimenti saranno il Rettore dell’Università di Palermo Roberto Lagalla, gli imprenditori Giacomo Rallo, Francesco Giuffrida, Rosario Amodeo e la Banca di Credito Cooperativo di Sambuca di Sicilia.
Nel campo della cultura saranno premiati il Soprintendente ai Beni culturali di Agrigento Pietro Meli e il sindaco di Burgio Vito Ferrandelli. Per l’ impegno sociale il riconoscimento è andato all’Associazione Padre Nostro di Don Pino Puglisi, al Comitato Addiopizzo e al dirigente del Commissariato di Sciacca Maria Elena Testoni.
Per la Comunicazione alla Rai Sicilia, al Giornale di Sicilia e a Tele Radio Sciacca.
La Cerimonia avrà come ospiti l’attrice margheritese Valeria Bilello interprete dei film di Pupi Avati, Gabriele Salvatores e il grande tenore Pietro Ballo.
  Ci preme segnalare che domani, 31 ottobre alle ore 19,oo, nel Teatro S. Alessandro il nostro concittadino, Nicolò Lojacono, da parecchi anni residente nella città del Gattopardo, presenterà il saggio storico Santa Margherita, Dissertazioni sulle origini.

I giovani dell'Azione cattolica italiana incontrano il Papa - Padre Mario non è gradito nell'Azione cattolica eparchiale

  Centomila giovani oggi si sono presentati a Piazza San Pietro, a Roma. Erano i giovani dell'Azione Cattolica che alla Tv hanno rilasciato dichiarazioni di Amore, carità verso il prossimo, verso il "diverso". Pure Papa Benedetto XVI ha spiegato cosa sia l'Amore, ha dichiarato che non è assolutamente nè l'egoismo nè l'orgoglio.
   Ci viene chiesto: padre Mario, il nuovo Responsabile dell'Azione Cattolica Eparchiale, era lì ad ascoltare ?
Noi abbiamo deciso di non interessarci più di Don Mario. Non sappiamo rispondere, pertanto. 
   A proposito di Azione Cattolica Eparchiale tuttavia sappiamo che il vertice dell'Associazione ha fatto pervenire una lettera a Mons. Sotir Ferrara e a Mons. Francesco Pio Tamburrino con cui viene respinta la volontà di detti prelati ad affibbiare loro, all'Azione Cattolica Eparchiale, l'ex parroco della Chiesa della Favara.  Non conosciamo le motivazioni con cui il "nostro" non viene gradito. E' certo, questo lo possiamo dire, che nemmeno tutti quei contessioti respinti fuori dal portone della Chiesa della Favara, nell'agosto 2009, avrebbero accettato l'ex parroco come guida spirituale, se non dopo altri cinque anni di studi teologici seri in un seminario. 

Piazza san Pietro invasa dai giovani dell'Azione Cattolica, stamane, è stata vista da vicino anche dai giovani del Coro Padre Lorenzo Tardo di Contessa Entellina, i quali in serata a Grottaferrata canteranno sotto la guida di Papas Nicola Cuccia brani liturgici bizantini.

venerdì 29 ottobre 2010

Il Sinodo delle Chiese cattoliche del Medio Oriente

Gerusalemme: pace e non muri
di Nicola Graffagnini


Titola così su tre colonne Famiglia Cristiana in edicola dal 31 Ottobre, per sintetizzare il lavoro finale delle Commissioni del Sinodo per il Medio Oriente.
Ma vediamo per ordine e per grandi sintesi quali sono stati gli argomenti dominanti del Primo Sinodo Orientale.
1. Si chiede alle Nazioni Unite che facciano rispettare le risoluzioni del Consiglio di sicurezza e impongano il ritiro dai territori palestinesi occupati dopo la guerra dei 6 giorni, quindi ritorno ai confini del 1967.
2. Per Gerusalemme e i luoghi santi, si chiede uno Statuto speciale internazionale.
3. Si auspica il ritorno dei profughi palestinesi costretti a lasciare le loro abitazioni per i fatti bellici accennati e la stipula di una pace duratura.
Appare chiara la condanna dell’occupazione israeliana, da cui discendono, secondo i Padri sinodali, infinite conseguenze alla base delle presenti incomprensioni tra i due popoli che influenzano poi tutta l’area … dalla mancanza di libertà nei territori occupati militarmente, alla costruzione del lungo muro di separazione, dalla lunga detenzione dei prigionieri politici, alla demolizione delle case dei profughi palestinesi, ne discende che Israele potrà godere di una pace duratura a condizione che favorisca la nascita di uno stato autonomo per i palestinesi.
Sulla stampa internazionale ha fatto notizia la dichiarazione del greco-melchita Cyrille Saline Bustros che accusa Israele di utilizzare un testo sacro, la Bibbia e nello specifico il passo della terra promessa, per giustificare l’occupazione militare dei territori palestinesi e dato il tema scottante della pace voluta anche da Obama, subito Tel Aviv attraverso il suo Ambasciatore in Vaticano, ha accusato il Sinodo di avere lavorato con criteri politici.
Secondo la Santa Sede, invece nel testo finale la condanna d’ogni estremismo è rivolta ad ampio raggio, contro le violenze e gli estremismi religiosi, il razzismo, l’antisemitismo, l’anticristianesimo e l’islamofobia.
Nicola Graffagnini

Un appunto per padre Mario

Riceviamo e pubblichiamo una nota pervenutaci da un lettore di Milano. E' un estratto della "Nota Pastorale" su Il Volto Missionario delle Parrocchie in un Mondo che Cambia. Il lettore la segnala a Padre Mario Bellanca di cui ha seguito, mediante il Blog, la vicenda locale.
3. La Chiesa nel territorio: dalla diocesi alla parrocchia

Un elemento del tutto
«Costituirono quindi per loro in ogni comunità alcuni anziani e dopo aver pregato e digiunato li affidarono al Signore, nel quale avevano creduto» (At 14,23). Gli apostoli Paolo e Barnaba pongono i primi passi delle Chiese sotto la guida di un collegio di anziani, loro collaboratori. Prima di chiederci quali nuovi tratti deve assumere la parrocchia per rispondere alle nuove esigenze dell’evangelizzazione, va ricordato che la parrocchia si qualifica dal punto di vista ecclesiale non per se stessa, ma in riferimento alla Chiesa particolare, di cui costituisce un’articolazione.
È la diocesi ad assicurare il rapporto del Vangelo e della Chiesa con il luogo, con le dimore degli uomini. La missione e l’evangelizzazione riguardano anzitutto la Chiesa particolare nella sua globalità. Da essa, infatti, sul fondamento della successione apostolica, scaturisce la certezza della fede annunciata e ad essa, nella comunione dei suoi membri sotto la guida del vescovo, è dato il mandato di annunciare il Vangelo. La parrocchia, che vive nella diocesi, non ne ha la medesima necessità teologica, ma è attraverso di essa che la diocesi esprime la propria dimensione locale. Pertanto, la parrocchia è definita giustamente come «la Chiesa stessa che vive in mezzo alle case dei suoi figli e delle sue figlie».
Agli inizi, la Chiesa si edificò attorno alla cattedra del vescovo e con l’espandersi delle comunità si moltiplicarono le diocesi. Quando poi il cristianesimo si diffuse nei villaggi delle campagne, quelle porzioni del popolo di Dio furono affidate ai presbiteri. La Chiesa poté così essere vicina alle dimore della gente, senza che venisse intaccata l’unità della diocesi attorno al vescovo e all’unico presbiterio con lui.
La parrocchia è dunque una scelta storica della Chiesa, una scelta pastorale, ma non è una pura circoscrizione amministrativa, una ripartizione meramente funzionale della diocesi: essa è la forma storica privilegiata della localizzazione della Chiesa particolare. Con altre forme la Chiesa risponde a molte esigenze dell’evangelizzazione e della testimonianza: con la vita consacrata, con le attività di pastorale d’ambiente, con le aggregazioni ecclesiali. Ma è la parrocchia a rendere visibile la Chiesa come segno efficace dell’annuncio del Vangelo per la vita dell’uomo nella sua quotidianità e dei frutti di comunione che ne scaturiscono per tutta la società. Scrive Giovanni Paolo II: la parrocchia è «il nucleo fondamentale nella vita quotidiana della diocesi».
La parrocchia è una comunità di fedeli nella Chiesa particolare, di cui è «come una cellula», a cui appartengono i battezzati nella Chiesa cattolica che dimorano in un determinato territorio, senza esclusione di nessuno, senza possibilità di elitarismo. In essa si vivono rapporti di prossimità, con vincoli concreti di conoscenza e di amore, e si accede ai doni sacramentali, al cui centro è l’Eucaristia; ma ci si fa anche carico degli abitanti di tutto il territorio, sentendosi mandati a tutti. Si può decisamente parlare di comunità “cattolica”, secondo l’etimologia di questa parola: “di tutti”.
Più che di “parrocchia” dovremmo parlare di “parrocchie”: la parrocchia infatti non è mai una realtà a sé, ed è impossibile pensarla se non nella comunione della Chiesa particolare. Di qui un ulteriore indirizzo per il suo rinnovamento missionario: valorizzare i legami che esprimono il riferimento al vescovo e l’appartenenza alla diocesi. È in gioco l’inserimento di ogni parrocchia nella pastorale diocesana. Alla base di tutto sta la coscienza che i parroci e tutti i sacerdoti devono avere di far parte dell’unico presbiterio della diocesi e quindi il sentirsi responsabili con il vescovo di tutta la Chiesa particolare, rifuggendo da autonomie e protagonismi. La stessa prospettiva di effettiva comunione è chiesta a religiosi e religiose, ai laici appartenenti alle varie aggregazioni.

Il paese è in crisi ma il nostro Sindaco gira il mondo per regalare Dvd. A Contessa Entellina attendiamo una invasione di turisti Lituani

Il Sindaco è andato in Lituania per consegnare alcuni Dvd di presentazione su Contessa Entellina. E’ andato col suo amico Giuseppe Di Miceli, precario che svolge attività presso i Servizi Tecnici del Comune, però non ha voluto dire, ai consiglieri interroganti, il nome dell’accompagnatore perché ”in Consiglio comunale, sentite un po’, non si fanno nomi di persone”. Dove abbia letto simili sciocchezze il nostro sindaco non è dato sapere. Però così è andata quella parte di seduta consiliare riguardante l’interrogazione sullo sciupio di denaro pubblico in Lituania. Sciupio di denaro che, non sminuisce la responsabilità del nostro sindaco, per il fatto che in simile iniziativa si sia ritrovato unito ai sindaci di Piana degli Albanesi, Santa Cristina e Mezzojuso. Tutti cultori dell’identità arbrësh non in casa propria ma nel circolo polare Nord.

Immaginiamo un poco con la fantasia:
i lituani hanno visto il Dvd su Contessa Entellina e si sono subito dopo tutti precipitati nelle agenzie di viaggio per prenotare un soggiorno qui da noi.
E’ stato inoltre utilissimo al sindaco l’accompagnamento del giovane “precario” dei servizi Tecnici, il quale (ma noi non lo sapevamo) conosce alla perfezione la lingua dei lituani e mano mano che nelle sale cinematografiche di Vilnius scorrevano le immagini del Dvd effettuava la traduzione simultanea. Traduzione simultanea che è andata in onda anche sulla Tv nazionale lituana.
Ripetiamo, avvalendoci della fantasia sul viaggio lituano:
saremo inondati per le strade del paese dopo la missione del nostro sindaco da lituani e da lituane.
Il nostro sindaco sa quello che fa.
Immaginiamo ancora per un poco: ha già fissato, con l’amico che conosce il “lituano” (parente del russo), un viaggio in Lapponia in modo che quelle popolazioni con le loro slitte vengano da noi a visitare il museo degli elimi ed il Parco dei Monti Sicani.
Il nostro sindaco sa quello che fa !
Per non dare spiegazioni in Consiglio Comunale dello sciupio di risorse pubbliche col suo viaggio a tre mila chilometri dalla Sicilia ha, sentite un poco, contestato che l’Unione Besa, fra le proprie finalità abbia quello di fare sì che nelle Scuole Pubbliche dei paesi arbëresh, nelle Scuole Statali quindi, si insegni l’albanese. Il nostro Sindaco che sa quello che fa e quello che dice, non vuole che l’Unione Besa si occupi di queste cose, preparando progetti di insegnamento di albanese, perché può accadere che le Scuole Statali poi diano l’incarico di insegnamento a chi, per accidente della vita, è insegnante di lingue.
No le insegnanti di lingue devono occuparsi solamente di Inglese, di Francese, di Spagnolo … mai di Albanese perché se per caso fra i suoi avversari politici c’è un insegnante di lingue, questi poi verrà incaricato dal Dirigente Scolastico, funzionario pubblico, ad insegnare.
Immaginate un po’: un avversario del sindaco che lavori, che espleti la sua professionalità ! A Contessa Entellina o altrove devono poter lavorare solo gli amici del Sindaco, che poi andranno in Lapponia a presentare il Dvd su Contessa Entellina. Questa sì che è una iniziativa degna di essere vissuta. E’ bene, quindi, che l’Unione Besa organizzi viaggi al Polo Nord per il Sindaco e per i suoi amici “precari” dell’Ufficio Tecnico. Questa deve essere la vera missione, il vero scopo istitutivo dell’Unione Besa.
Un tale Sindaco merita tutta la nostra gratitudine !
Al prossimo viaggio, Sindaco !

giovedì 28 ottobre 2010

Il Sinodo Intereparchiale: evento di Grazia

(1)

I documenti frutto dell'elaborazione del II Sinodo intereparchiale svoltosi nel 2004-2005 a Grottaferrata sono stati raccolti in un volume di oltre trecento pagine ed in 723 canoni (articoli), pubblicati recentemente.
Chiesa del Monastero greco-bizantino di Grottaferrata
Il volume si apre con il Prologo che si premura di delimitare gli effetti delle nuove regole alle tre realtà territoriali bizantine d’Italia che sono state erette ad un regime ecclesiastico autonomo rispettivamente nel:
-1919: Eparchia di Lungro,
-1937: Eparchia di Piana degli Albanesi
-1937: Monastero Esarchico di Santa Maria di Grottaferrata.
Il precedente Sinodo si era tenuto nel medesimo Monastero negli anni quaranta, a guerra iniziata, e fu quello che diede avvio, fra l’altro, alla rimozione dalle Chiese bizantino degli altari “alla latina” e all’introduzione delle ‘Iconostasi’.
Altari attaccati al muro, architettura delle chiese dal gusto barocco e statue di santi erano state imposte nei secoli precedenti dai Vescovi latini che avevano avuto giurisdizione sulle realtà di rito orientale (come si ricorderà Contessa Entellina, per tre secoli e mezzo, è dipesa dal Vescovo di Girgenti "Agrigento" e poi, per poco meno di un secolo, dal Vescovo di Monreale).
Il Prologo s’introduce evidenziando l’evento di Grazia rappresentato dal Sinodo: “Il Signore Gesù è presente, come ha promesso ai suoi discepoli ogni volta che essi si riuniscono nel suo nome. Lo Spirito Santo, presente ovunque e che tutto riempie, riscalda il cuore dei membri delle nostre comunità e ravviva la speranza”.
Ma vediamo quali sono state le motivazioni e gli obiettivi per i quali si è svolta a Grottaferrata l’assise di cui tenderemo, ma in un tempo lunghissimo, di dare conto.
Mons. Ercole Lupinacci
1) La necessità di una maggiore comunione tra le tre realtà ecclesiastiche (Lungro, Piana degli Albanesi e Grottaferrata). Realtà che finora (ad esclusione di Grottaferrata) venivano denominate ‘chiesa italo-albanese’ e che adesso, negli atti sinodali, sono definite solamente come “bizantine”. Negli atti non vi è traccia, ma nessuno dei partecipanti al Sinodo si è mai nascosto un sottinteso desiderio: la creazione di una Metropolia cattolico-bizantina in Italia delle tre realtà, che in tal modo non  dipenderebbero, come avviene oggi, direttamente dalla Santa Sede ma dall’auspicata Metropolia.
Per dare il senso dell’innovazione si pensi che la vasta arcidiocesi di Monreale oggi è sufraganea dell’Arcidiocesi di Palermo, la quale diocesi palermitana dipende poi direttamente dalla Santa Sede, mentre la piccolissima eparchia di Piana degli Albanesi, oggi, dipende direttamente dalla Sede Apostolica.
2) L’esigenza di un orientamento pastorale unitario che tenga in primo piano l’identità cattolico-bizantina delle richiamate comunità, immerse come sono in un mondo occidentale romano-cattolico. Questo aspetto non va sottovalutato se -come abbiamo avuto modo, noi di Contessa Entellina- è possibile nel 2010 che sacerdoti eparchiali possano essere ordinati senza che nutrano un minimo di rispetto per la realtà bizantina al cui interno vengono inviati a svolgere la loro missione. Il caso di padre Mario Bellanca, sacerdote incardinato nell’Eparchia bizantina, è ancora sotto i nostri occhi. Egli è arrivato al punto di respingere (buttare fuori) dalla Sua chiesa i fedeli greco-bizantini recatisi colà a cantare, come per secoli hanno fatto i loro antenati, la Paraklisis. Se solo prima di ordinarlo sacerdote gli avessero spiegato che cantare la Paraklisis all’interno di una Chiesa non significa menomare il ruolo di quella chiesa o di quella parrocchia oggi non avremmo avuto le conseguenze del fanatismo religioso (nel 2010) che serpeggiano qua e là che portano fino al punto di distinguere fra "veri" e "... falsi (?) latini". Attribuendo, evidentemente meriti agli uni e demeriti agli altri, ed ignorando completamente, alla radice, l'essenza del messaggio evangelico. Perchè non dircelo ? oggi il Cristianesimo da noi è largamente sconosciuto. 
E’ il caso di dircelo, l’Eparchia di Piana degli Albanesi è responsabile, più di padre Mario, per quanto accaduto a Contessa Entellina; non ha saputo assolvere alla funzione pastorale che le compete, che le è proprio.
3) Trovare i modi per fronteggiare, anche fra le tre realtà bizantine, lo smarrimento dei valori cristiani, oggi sostituiti da mille frivolezze, attrazioni e interessi che, alla tirata dei conti, servono solo a tenere le masse distratte da chi possiede le leve del Potere e ne fa uso di parte. L’individualismo, l’edonismo, il potere esercitati contro il prossimo, è palese che non danno spiegazioni sul perché della vita, sul perchè del nostro essere qui. Che la nostra realtà necessiti di recuperare i valori cristiani nessuno ne dubita se torniamo a soffermarci con quanto accaduto negli ultimi tre/quattro anni nel nostro paesino. Quale carità cristiana (espressione sprecata nelle prediche) può mai esistere nel tenere chiuso per quindici giorni il portone di una Chiesa per tenere fuori persone colpevoli di essere state battezzate in un’altra chiesa pure essa cattolica ? Quale amore per il prossimo, per il nostro nemico (!) può esistere quando dai pulpiti si grida e si dà del “farabuto” a chi non ci piace, a giusta o errara ragione ?.
Conitueremo a leggere gli atti sinodali; lo faremo con le nostre lenti e dal nostro punto di vista. Non ci dispiacerà se lo facessimo a due, tre, quattro … voci provenienti da punti di vista differenti.
Chi lo desidera sa come farlo usando l’e-mail del Blog.

Il Coro "Padre Lorenzo Tardo" di Contessa Entellina nel fine settimana sarà a Grottaferrata

A Grottaferrata sorge il Monastero Esarchico (dipende direttamente dalla Santa Sede) di Santa Maria, altrimenti denominato Abbazia Greca di San Nilo (che ne è stato nell’anno 1004 il fondatore e la prima guida assieme al successore spirituale San Bartolomeo).
San Nilo
L’Abbazia oggi rappresenta l’ultimo Monastero che conservi il rito greco in Italia dopo il graduale processo di latinizzazione avvenuto nel Meridione della penisola ove ancora attorno all’anno mille i monasteri bizantini erano annoverati nell’ordine delle migliaia, sostituiti via via da benedettini, cappuccini, domenicani …
Che il processo di latinizzazione non si sia fermato sta a confermarlo la circostanza che ancora  oggi, anno 2010, il Monastero (da sedici anni) ha un "delegato pontificio" che di nome fa ... Francesco Pio Tamburrino.

mercoledì 27 ottobre 2010

E papas Nicola Cuccia, il parroco dei contessioti, accompagnerà e dirigerà da venerdì prossimo il Coro Padre Lorenzo Tardo a Grottaferrata nel Convegno di musica bizantina

Il Coro Padre Lorenzo Tardo di Contessa Entellina a Grottaferrata
di Anna Fucarino

Sabato 30 ottobre il Coro Padre Lorenzo Tardo di Contessa Entellina diretto da Papàs Nicolò Cuccia si esibirà in un concerto a Grottaferrata in occasione del convegno “Incontri sulla coralità e la musica melurgica bizantina”. Il convegno è stato organizzato dall’Associazione “Corale Polifonica di Grottaferrata” in collaborazione con il “Consiglio Regionale del Lazio”, e con il patrocinio dei seguenti Enti: Comune di Grottaferrata, Università degli studi di Roma – Tor Vergata, Abbazia di San Nilo, Biblioteca statale Monumento Nazionale di Grottaferrata, Associazione Regionale Cori del Lazio, Società Italiana di Musicologia, Centro Socio Culturale di Grottaferrata.
Il convegno, della durata di tre giorni, avrà luogo a Grottaferrata presso la Sala Conferenze dell’Abbazia di S. Nilo .
I lavori avranno inizio il 29 ottobre alle ore 16,00, con una tavola rotonda dal titolo: “L’associazionismo e la coralità amatoriale- il terzo settore”, a conclusione della quale ci sarà il concerto “Coro di voci bianche” della Corale Polifonica di Grottaferrata e subito dopo Archi dell’Accademia Filarminica Tuscolana- Corale Polifonica di Grottaferrata.
Il 30 ottobre alle ore 9,00 si terrà il convegno dal titolo: “La Tradizione Melurgica Bizantina – Grottaferrata e l’Italia meridionale”. I lavori si svolgeranno per l’intera giornata e, alle ore 19,00, è previsto il concerto della Corale Polifonica di Grottaferrata e del Coro Padre Lorenzo Tardo di Contessa Entellina.
Il 31 ottobre alle ore 16,00 avrà luogo un’altra sessione dal titolo: “La coralità: Musica e dinamiche relazionali”. I lavori avranno fine con un concerto di chiusura “Centovoci in Coro” Parrocchia del S. Cuore – Grottaferrata.
Il Coro Padre Lorenzo Tardo partirà dall’aeroporto Falcone Borsellino di Palermo alle ore 15,15 del 29 ottobre prossimo. Il coro, diretto da papàs Nicolò Cuccia, è composto dai seguenti elementi:
Colletti Tiziana; Colletti Irene; Colletti Francesca; Schirò Antonino, Cuccia Angelica, D’Agostino Tania, Gennusa Cinzia, Gatto Anastasia, Rumore Lucrezia, Bondì Melissa, Lala Nicoletta, Anna Fucarino, Schrò Martina, Giallo Rosangela, Lala Roberta, Chisesi Anna, Cusimano Giusy, Caruso Giuseppe, Caruso Mariarosa, Schirò Nino, Lala Nino, Candore Laura, Montaleone Alessia, Papàs Ianni Pecoraro.
Per quanti si trovano a Roma o desiderino farsi un viaggio: ci troverete sabato sera ore 19,00 a Grottaferrata. Vi aspettiamo.
Anna Fucarino

Il Canto bizantino: appunti
Nella Liturgia bizantina nulla accade per caso, ogni elemento inserito nel rito assolve ad uno scopo. Il canto ad esempio si prefige di creare l'atmosfera che adatta per far dimenticare al fedele i travagli di questo mondo.
Il fedele è ovviamente consapevole che Dio, il Mistero di Dio, è sempre vicino all'uomo; da questa certezza scaturisce che non Dio deve manifestarsi, bensì è l'uomo che deve adoperarsi per incontrarlo. 
È questa la ragione per cui la Chiesa invita l'uomo, il fedele, a scrutare nel silenzio dentro se stesso, a perseguire la purificazione del cuore e la lontananza dalle distrazioni.
Porre l'attenzione su ogni pensiero vagante assimila l'uomo ad un fiore che si esclude dai raggi solari, quando questi pone la propria intelligenza esclusivamente a curare i beni terreni.
Gli elementi simbolici, così numerosi nella  Liturgia, hanno pertanto la finalità di avvicinare Dio all'uomo, e si propongono di esortarlo a sollevare e a detergere lo sguardo del suo Spirito.
Tutto ciò raggiunge chiara rappresentazione nell'esecuzione del Canto.
Nella Liturgia  il canto nella sua melodica e/o nelle parole si allontana completamente dal trambusto della realtà secolare, quel trambusto che come spesso capita in tante chiese "alla moda" si fa di tutto per immetterlo e per cacciare via il silenzio, quel silenzio attraverso il quale Dio parla al cuore umano.
Dio, nello spirito liturgico bizantino, deve essere celebrato nella melodia adatta a disporre l'animo, lontano quindi dalla confusione della vita quotidiana. Prima della presentazione del pane e del vino, il celebrante infatti esorta i fedeli a deporre "ogni cura di questa vita".
Il canto liturgico bizantino, nato e sviluppato in un contesto culturale diverso da quello dei nostri giorni, è rimasto sempre vivo perché veicola questa conoscenza.
Come il canto gregoriano, quello "bizantino" è basato su otto toni musicali, che non possono essere riproducibili utilizzando il pentagramma, se non in forma maldestra.

Il luogo della musica nella Liturgia
Nella liturgia l’elemento musicale è onnipresente. Ogni parola deve giungere all’orecchio dei fedeli, ad eccezione dell’omelia, cantata o cantillata, trasmessa con suoni precisi di una certa altezza e duratura. E' indispensabile che il modo sia tradizionale, cioè possegga un carattere fisso e perenne, tale che i fedeli lo riconoscano come parte integrante del patrimonio atavico. La musica possiede determinate caratteristiche. È una musica vocale, capace d’esprimere e di sostenere direttamente la parola assicurandone, la comprensione, l’elevazione spirituale, l’assimilazione e la memorizzazione grazie a una tecnica che è in grado di sciogliere le persone dai legami passionali e renderle ricettive dell’azione della Grazia divina.
Le cantillazioni del clero, dei lettori, dei cantori e del popolo non sono state trasmesse attraverso la scrittura, dal momento che sono state tramandate oralmente.

Dalla famiglia la cultura del “sì!” - Nga familja kultura e “klofsh-it!”

Dalla famiglia la cultura del “sì!”
di Paolo Borgia


Sessanta anni fa, quando ancora la televisione non era entrata in casa, zio Pepè, come finiva il pranzo, si sedeva accanto alla radio ad ascoltare il Listino della Borsa di Milano. Ragazzo del ’98, veterano de “la grande guerra”, uomo appena appena alfabetizzato, pur non possedendo titoli in Borsa, aveva capito che se a Milano c’è il sole, ovunque c’è bel tempo. Egli, come tutti, ripeteva lo slogan, l’idea di sé polare e del potere “frugale”: «Io compro, non vendo! Terra, quanta ne vedi; casa, quanto ti cape». Complice sua moglie, non brillava per liberalità ma, come buona parte dei suoi coetanei, era un padre-padrone e i figli, anche una risorsa economica. Proprio per questo suo essere greve, superò ancora per un po’ il crollo dell’economia granaria del Mediterraneo.
Era il tempo della cultura del “no!”: non devi leggere i fotoromanzi, non devi andare a passeggio senza qualche fidata amica, non devi parlare coi ragazzi. Era tempo di segragazione sessuale! Persino il fidanzamento era spesso frutto di combìne tra famiglie. Ribellarsi alla repressione era inevitabile: restava solo la fuga e la fuitina, il “fare carrozzella” (atto coniugale consumato e poi ratificato). La veste quotidiana non era più il costume tradizionale. E la mancanza di occasioni di lavoro generò altre fughe, l’esodo dei giovani maschi per l’America, poi per l’Europa e infine per il triangolo del “miracolo economico” – Ge-Mi-To – ...
Oggi c’è un’altra cultura del “no!”, figlia delle paure degli adulti tutti presi da altre cure, della “solitudine sorvegliata” (Carmen Belloni, sociologa del dip. di Scienze sociali – Uni. di Torino): asilo nido e stazionamento davanti al televisore, scuola primaria e internet. Ma prima si deve pensare al corpo, perfetto con esercitazioni: piscina, karàte, football, danza. E c’è persino chi impedisce al bimbo stanco di dormire per temprarlo: candido jolì joujou. In breve, i bimbi, oggi, non sono liberi e sono soli! Soli, chiusi tra le mura di casa, in quartieri dormitorio senza vicinati. Persino a scuola c’è più libertà, spazio per sfogare l’energia creativa. Finito l’orario delle lezioni, però, ognuno va per conto suo. In Inghilterra 100.000 bambini di 5 anni, il 18% del totale, non raggiunge a questa età il consueto livello di alfabetizzazione, anzi essi si esprimono come farebbe un bimbo d’un anno e mezzo (Aurora Nicosia, Dipendenti o creativi?, in Città Nuova n.21, 2009). Dov’è il vecchio che racconta loro le favole, attraverso le quali si sedimenta il bene e il male nel cuore e che servono ai bambini per recuperare la semplicità, la freschezza e l’incanto di un dialogo diretto sul trascendente?
Presto, quando esplode la tempesta ormonale, prepotente si fa il bisogno di uscire verso il mondo. Impossibile è mantenere prigioniero il fragile adolescente. Ma in questo preciso momento emerge improvvisamente l’errore educativo della cultura del “no!”. O forse è peggio! Forse è deliberata negligenza educativa. Già! Quando i padri e i figli sono separati per almeno 11 ore al giorno, tolte le 8 ore per il sonno ne restano 1 al mattino e 5 di sera. E queste 5 ore si riducono ancora per le attività fisiche, per gli acquisti, per le relazioni frettolose con i parenti e gli amici o per le ripetizioni, le lezioni integrative e per gli inevitabili spostamenti nella intasata metropoli... Secondo i dati Istat, i bambini trascorrono quotidianamente con entrambi i genitori in media 45 minuti.
Quando la famiglia si ritrova in casa, finalmente si accendono i televisori! Ma in questo modo frenetico di condurre la vita comunitaria essi sono forse uniti? Quanto riescono a fare squadra? E come si realizza l’imperativo di emancipazione dei figli, base di una sana educazione?
Per essere una famiglia unita bisogna comunicare, è essenziale. Partecipare quanto è accaduto nella giornata trascorsa agli altri componenti arricchisce, se no è come se questa andasse perduta. Comunicare il vissuto di ciascuno è come accendere una luce. Per chi racconta e per chi ascolta, l’esperienza fatta deborda dal tempo, come se si fissi per sempre cristallizzata nella mente memore.
Sentiamo di dover uscire dalla estraneità, di partecipare e condividere le esigenze, i desideri, i problemi e le prospettive, cogliendo il positivo ma anche esternando giustamente errori, limiti e colpe. Comunicare – in modo adulto – anche coi figli per farli crescere consapevoli, per far crescere in loro il senso vero della libertà: gradualmente, giornalmente essi si abituano alla responsabilità e alla prudenza che vengono dalla abitudine, dalla consuetudine al discernimento.
Poi, quando si fa il tempo, quelle parole che hai dato ai figli, loro le ridaranno al mondo: il luogo dove non si vive soltanto in una dimensione personale ma comunitaria. Sogno di unità e pace.
Paolo Borgia
Nga familja kultura e “klofsh-it!”

Gjashtëdhjetë vjet prapa, kur televizioni ngë kish ende hyjtur në shpì, La’ Pepi, si sosjë të ngrënit, ujej përkrahu radios për të gjegjur Kursin e Borsës së Milanos. Trim i ’98, veteran i “luftës së madhe”, burrë i alfabetizuar çika-çika, megjithëse ngë ish pronar titujsh në Borsë, e kish ndëlguar se nëse Milano ka diell, gjithasajtën ka kthjelltësì. Aì, si gjithë, përsërisjë sloganin, idèn e vetes polare dhe të pushtetit të “përkorë”:«U’ ble, ngë shes! Ara sa sheh; shpì sa i rri». Hjekse (bashkëfajtore), e shoqja, ai ngë shkëlqejë për dorëgjerësì por, si një e bukur pjesë të moshatarëvet të tij, ish një atë –zot dhe bijtë ishin edhè një burim ekonomik. Pikërisht për këtë të klënë të tij shtypës, përshkoi ende për një çikë rënien, gorromimën e ekonomìsë së drithit (drithë, verë, vaj) të Mesdheut.
Ish qëròi i kulturës së “mos-it!”: mos zglidh fotoromane, mos bëj shëtitje vetëm pa një e besuame mike, mos flitfolë me djelmët. Ish qërò veçimi seksual! Ngjera edhe krushqìa ish shpesh fryt kombìnësh ndër familjet. Të veje kundër shtypjes ish i pashmangshëm: qëndrojë vetëm ikja e fuitina, “të bërit karrocë” (akt martesor i kryer e pastaj i ratifikuar). E veshura e përditshme ngë ish më veshja e zakonës. E lypsja e ndodhjeve pune gjinoi tjera ikje, nisja pa e kthyeme të meshkujvet të ri për Amerikën, pastaj për Evropën e në fund për trekëndëshin e “çudìsë ekonomike” – Ge-Mi-To – ...
Sot ka një tjetër kulturë e “mos-it!”, e bija e drevet të të rriturvet, gjithë të marrë nga tjerë kujdese, e “vetmìsë së ruajtur” (Carmen Belloni, sociologe te dip. i Shkencavet shoqërore – Univ. i Torinos): kofpsht fëmijësh dhe qëndrim përpara televizorit, shkollë fillore dhe internet. Por më parë duhet të përkujdesen për kurmin, e përsosor me ushtrime: pishinë, karàte, futboll, valle. E ka kush ngjeredhè i pengon të birit të lodhët të flëjë për t’e bërë i fortë: i pafaj zholì zhuzhù. Me një fjalë, fëmijët, sot, ngë janë të lirë e janë të vetëm! Të vetëm, të mbyllur në shpì, brënda ngastra flëjtore (rriune, lagje fjëtore) pa gjitonì. Ngjeredhè në shkollë ka më lirì, llargë (të gjerë) për të shpërthyer fuqìnë e tyre krijuese. Por kur sos orari i mësimit, nganjerì vete më vete. Në Anglì 100.000 fëmijë pesëvjeçtsh, tetëmbëdhjeti për qind të totalit, ngë arrin te kjo moshë nivelin e zakonshëm alfabetizimi, ose më mirë ata shprehen si kish të bëjë një fëmijë të njëi viti e gjysëm (Aurora Nicosia, Dipendenti o creativi?, in Città Nuova n.21, 2009). Ku iështë plaku ç’i rrëfyen atyre, pullaret (përrallat), nëpërmes të cilavet te zëmbra fundërron (dëndet, pikset në fund) e mira dhe e liga e çë i duhen për t’e rimarrë thjeshtësìnë dhe famasmën (magjepsjen) e njëi lafjeje (llafi) të drejtpërdrejtë për transhendentin?
Shpejt, kur shpërthen duhìa e hormonevet, prepotent bëhet dùhja të zgardhullohet dera e botës. I pamundshëm ë’ të mbahet në filaqì (fillërì) filizin, djaloshin e dobët. Por te ky çast fiks del vetëtimthi gabimi edukativ i kulturës së “mos-it!”. O ndoshta ë’ më lik! Ndoshta ë’ pakujdesì edukative me qëllim. Ëhj! Kur etra e bij janë ndajtur me paka 11 orë në ditë, kur i nxier 8 për gjumin, qëndrojnë 1 menatnet dhe 5 mbrëmanet. E këtò 5 zvogëlohen edhè më shumë për ushtrimet fizike, për të bërë blerje, për bashkëlidhjet e ngutshme me gjirìnë e me miqtë o për mësimet private, për atò plotësuese e për transferimet e pashmangshme tek i bllokuami qarkullim metropòlitan... Sipas të dhënat ISTAT, fëmijët shkojnë ditë për ditë me të dy prindët bashkë mesatarisht 45 minute.
Kur familja mbjidhet në shpi, tekembrëâmja ndhizen televizorët! Por në këtë mënyrë të furishme, me të cilën siellin jetën e përbashkët, rrojnë atà ndoshta njësh? Sa ia dinë të bëjnë skuadër? E si kryehet urdhërimi (imperativi) emancipimi për bijt, themel të njëi edukimi të shëndosh?
Për të klënë një familje e përbashkët duhet të llafosim, është të klënësishëm. Të vëmë në dijenì sa na u ndodh te dita e shkuame tjeravet pjesë përbërëse qos, ndryshe ë’ sikurse kjo dejë të zbirej, të zhdukej. Të llafosim përvojën e nganjerìu ë’ si të ndezim një dritë. Për atë çë rrëfyen dhe për atë çë gjegjet, eksperienca e bërë derdhet jashta qëroit (kohës), sikurse të ngulet përherë e ngurosur te mendja çë ngë harron. Ndiejmë se do të dalim nga të klënit si të huaj, të marrim pjesë e të bashkëpranojmë ekzigjencat, dishirimet, problemët dhe perspektivat, tue mbjedhur pozitivin por edhè tue dëftuar me të drejtë gabime, ngushtësime dhe faje. Të llafosim – burrërisht – edhè me bijt përsè të rriten të vetëdijshëm, përsè t’i rritet atyre ndjenja e vërtetë e lirìsë: dal’e dalë, ditë për ditë atà mësohen përgjegjësìsë dhe urtësìsë çë vijnë nga zakona e shoshitjes.
Pra, kur vjen hera, atò fjalë çë i kemi dhënë bijvet, atà ia japin prapa Botës: vendi ku ngë rrohet vetëm te një përmasë vetjake por e përbashkët. Ëndrra njësìe dhe paqeje.
Paolo Borgia

martedì 26 ottobre 2010

Corleone capitale dei fasci siciliani di Bernardino Verro a RAI 3

di Nicola Graffagnini
Il Sindaco di Corleone Iannazzo invitato a “ Racconti di vita “ di Domenica alle 13,oo di Rai 3, ricorda la figura e la storia di Bernardino Verro e del sindacalista Placido Rizzotto ambedue uccisi dalla mafia.
Parlando degli obiettivi di legalità ed occupazione nel territorio, sostenuti dalla sua Amministrazione, ha fatto rilevare la sostanziale unanimità raggiunta dalle forze politiche anche sul versante degli appalti e del piano regolatore cittadino. Al proposito Iannazzo ha fatto rilevare la positiva esperienza delle Cooperative di Libera che occupa nel territorio almeno 100 giovani, sottratti a sicura emigrazione, che coltivano le terre sequestrate alla mafia, con sacrifici e innovazione, infatti i prodotti di quelle terre hanno gradatamente raggiunto la grande distribuzione, sostenuti dalla rete nazionale di Libera che coordina centinaia di cooperative di Lavoro.
A proposito di Bernardino Verro, non posso non ricordare una “coraggiosa” iniziativa del Preside Governali del Liceo Classico di Corleone che nel 1979, d’intesa con l’istituto Gramsci ha voluto ricordare il periodo storico dei fasci invitando a parlarne gli storici Renda e Casarubbea.
Bernardino Verro
Marcello Cimino de L’ORA inviato speciale, inizia così il suo pezzo: “Presentati dal Preside Governali i due oratori rievocano le pagine dense e drammatiche della storia dei fasci siciliani, storia di quasi novant’anni orsono, seguiti con grande attenzione degli ascoltatori, studenti dei Licei classico e scientifico e i loro professori . …… Non è una lezione obbligatoria ma un libero incontro culturale con gli studenti, gran parte dei quali si intrattiene per seguire il dibattito che poi termina per motivi di orario e non certo per l’interesse suscitato. La prima conclusione è che in una scuola dove si insegna la storia dei Visigoti ….”. occorre anche parlare di quella dei padri e dei nonni contadini e operai in maggior parte, per tante ore si è parlato dunque di materia viva nei ricordi dell’ambiente tanto che il Preside ha avviato l’incontro partendo da queste considerazioni : “C’è stato un tempo in cui Corleone fu chiamata capitale contadina perché vi si stabilirono i primi patti agrari denominati proprio : -Patti di Corleone-….. Gli storici rispondendo ad alcune domande sulla figura di Bernardino Verro, lo hanno definito “uno dei capi contadini più seguito dei fasci e la sua uccisione avvenuta nel 1915, fu un delitto politico e un delitto di mafia che si sbarazzava del leader carismatico che avrebbe continuato a disturbare quegli interessi agrari già minacciati nel 1893-95, il biennio di maggior consenso dei fasci, violentemente recisi dallo -stato di guerra-, deliberato dal Governo Crispi i cui Tribunali militari speciali giudicarono severamente Capi e gregari del Movimento, esteso in tutta la Sicilia e che organizzava almeno 300.000 braccianti e piccoli contadini. Su questo punto ritorneremo con alcune storie particolari.

Placido Rizzotto
Nella stessa puntata sono stati intervistati anche altri Sindaci di territori permeati dalla criminalità organizzata, come il Sindaco di Isola di Capo Rizzuto nel Crotonese in Calabria, eletta dopo 5 anni di lungo commissariamento ed oggetto di attentati incendiari ( specialità della zona ) alle autovetture di famiglia. Secondo il Sindaco l’obiettivo della Sua Amministrazione è quello di restituire “semplicemente l’ordinaria amministrazione” ai cittadini del comune… A seguire sono stati intervistati anche i colleghi di Giunta del compianto Sindaco di Pollica, Angelo Vassallo ex pescatore, assassinato recentemente, anche se tutti gli intervistati hanno ribadito che il Cilento è stato estraneo finora a fenomeni di criminalità. Il Vice Sindaco ha testimoniato la determinazione del Sindaco Vassallo, Presidente del parco del Cilento, di lavorare sull’immateriale, sulle risorse umane ed ambientali della zona, quindi puntare sui giovani per far emergere le loro capacità di scommettere sui progetti innovativi e di sviluppo del territorio, uno degli angoli più belli della costa, che hanno fatto da sfondo al film in programmazione in tutte le sale d’Italia: “Benvenuti al Sud”, in modo da proiettare quelle bellezze ambientali al di là degli angusti confini per mirare ad un turismo qualificato. Vassallo si era speso in prima persona per assicurare una location di eccellenza alla produzione del film ed era molto attento all’inquinamento della costa e del suo mare, tanto che vigilava personalmente ogni mattina sulla funzionalità dei depuratori che assicuravano una balneazione riconosciuta di primo livello dalle guide internazionali.
Nicola Graffagnini

Giovedì seduta del Consiglio Comunale

  Alcune interrogazioni presentate al Sindaco, dott. Sergio Parrino, dai consiglieri dell’Opposizione ed una proposta di deliberazione costituiscono l'insieme della materia in discussione nella seduta consiliare di giovedì 28 Ottobre.
  Interessante è l’interrogazione con cui viene chiesto al Sindaco di riferire sulle ragioni e sui benefici per Contessa Entellina del suo viaggio in Lituania e di illustrare pertanto le eventuali ricadute socio-economiche positive che egli si attende a vantaggio della comunità locale. Con l’interrogazione si vogliono inoltre conoscere le ragioni che lo abbiano indotto a recare con sé, nel viaggio a Vilnus (Capitale della Lituania), un giovane “precario” che svolge attività nei Servizi Tecnici Comunali (Giuseppe Di Miceli), quando altri sindaci che hanno partecipato alla missione promossa nell’ambito dell’Unione dei Comuni “Besa” hanno preferito coinvolgere rappresentanti dei rispettivi Consigli Comunali e/o esperti culturali (in ragione dei costumi arbëresh colà presentati).
  Altra interrogazione riguarda l’imminente avvio del “Parco dei Monti Sicani”, di cui il Sindaco ha finora fatto parte quale VicePresidente del Comitato provvisorio di amministratori sul cui territorio l’Ente gestore avrà giurisdizione.
Da quanto è dato sapere nei prossimi giorni sarà pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Regione Sicilia il decreto istitutivo dell’Ente Parco e questo, alla faccia della sempre sbandirata crisi finanziaria della Regione Sicilia, avrà quattro sedi distribuite in altrettanto comuni* ad esclusione di Contessa Entellina (sul cui territorio gravitano, come è noto, la Riserva del Bosco di Santa Maria e quella di Monte Genuardo). I consiglieri interroganti in buona sostanza si chiedono quanto abbia inciso, in termini di mancata autorevolezza, il ruolo di VicePresidente del Comitato di avvio del Parco ricoperto dal sindaco Parrino.
  E’ prevista inoltre, nel corso della seduta, la deliberazione di ammissione del Comune di Palazzo Adriano all’Unione dei comune “Besa”. E’ verosimile che l’ammissione di Palazzo Adriano, che va ad aggiungersi a Piana degli Albanesi, Santa Cristina Gela, Mezzojuso e Contessa Entellina, venga votata all’unanimità dai consiglieri.

Nota
(*) I comuni interessati dall’avvio del Parco dei Monti Sicani sono 12: Palazzo Adriano, Chiusa Sclafani, Burgio, Bivona, Prizzi, Castronovo di Sicilia, San Giovanni Gemini, Cammarata, Santo Stefano Quisquinia, Contessa Entellina, Sambuca di Sicilia e Giuliana.

I nostri preti arbëresh

I nostri preti arbëresh: la sfera della riproduzione
di Paolo Borgia

La benedizione del Signore si stende su Hora. Il miracolo della sua sopravvivenza è frutto della fede dei nostri padri in Dio, Padre Onnipotente, Figlio Crocifisso e Risorto e Spirito Paraclito a cui da sempre e oggi ancora innalziamo in coro le lodi e le preghiere in lingua arbëreshe nostro simbolo e tangibile segno della Sua operante grazia e per la intercessione della Beata Semprevergine Maria, nostra sentinella, e per l’azione meritoria dei nostri preti (e delle suore) che tale fede hanno diffuso e mantenuto intatta e viva.
Preti preparati culturalmente nella città eterna, culla della cultura e del cristianesimo, a contatto con tutte le provenienze tradizionali e innovative, consapevoli della peculiarità storica del proprio popolo, certo ultimo baluardo all’imperialismo ottomano ma anche freno al pretestuoso proselitismo cappuccino che con costanza cercarono di convertirci (sic!) al cappuccinesimo d’espressione sicula.
I nostri preti hanno innalzato in villaggi e paesi umili splendide chiese costate anche cinquemila scudi-oro (S.Demetrio, cattedrale di Hora, 1588), in tempi in cui il soldo era raro. Hanno saputo accattivarsi la fiducia e la munificenza del re (perché da loro confermato nel titolo di imperatore cristiano del S.R.I.O.), costruendo scuole frequentate sì per preparare preti ma soprattutto tanti coloni istruiti e professionisti nostrali in un’oscura epoca in cui l’ignoranza sovrastava tutti i ceti e le caste gerarchiche del profondo Sud [a Palermo il nostro Collegio Greco era uno dei quattro soli ginnasi; inizi del XVIII sec.]. Hanno fatto uscire di casa le nostre ragazze per andare a scuola di cucito, rammendo, ricamo e tombolo [ma anche di religione, storia patria, dignità e femminilità] nel Collegio di Maria (dal 1731), rigenerando l’attuale costume femminile, meraviglia mondiale ed artistica espressione dell’estro creativo muliebre arbëresh [mentre nel 1789 l’Assemblea generale francese negò l’istruzione alle donne]. Hanno insegnato ai giovani a parlare, per esprimere i loro pensieri e a scriverli nella lingua propria, forgiandoli così alla competizione esistenziale, forti della loro identità nello scenario del tempo e dello spazio. Hanno dato voce albanese alla parola del Signore, appunto Fjala e t’in Zoti ( ma anche E mbëzuame e krështerë, 1592, e gli odierni Java e Madhe, Psalteri, Minea ecc.) sorgente di vita meravigliosa e armonica, senza ausili di sostegno per le minoranze linguistiche. E questi preti non sono santi: sono soltanto arbëreshë!
E’ la loro corretta guida spirituale che ha permesso di percorrere indenni cinquecento anni di storia: per la forte e pregnante spirtualità greco-orientale, germe fondante l’autentico carattere franco e leale, l’identità distintiva e la disposizione alla santità del nostro popolo arbëresh, resi manifesti dall’adesione al funzionale comandamento divino: il binomio lavoro - riproduzione, duplice azione sostanziale della storia. Dove lo spirito di fratellanza, la solidarietà e la gjitonia così come il rispetto e la considerazione per la donna frutto dell’antico Kanun, il codice comportamentale orale balcanico, anticipa culturalmente il successivo sviluppo di civiltà che tale concezione avrà in Europa, oggi ancora non recepito in altri paesi anche del Mediterraneo e radice dell’odierno contrasto planetario. Un codice, il Kanun, informato al rispetto sacrale della vita specie della donna, del bambino, del vecchio, del prelato e del nemico disarmato, oggi sempre più calpestati in un endemico imbarbarimento regressivo della società.
Oggi i nostri preti sono alla prese con quest’ultima globalizzazione: più forte di tutte le precedenti.
Ruota, mulino, siderurgia, vomere, pettorale del cavallo, concime, e poi tutto ciò che negli ultimi secoli è stato scoperto o inventato non è forse stato mezzo strumentale di globalizzazione? Accompagnato spesso dalla costituzione di egemonie più o meno forzose da parte di chi per primo deteneva tali mezzi vantaggiosi? O non ha forse causato il crollo di sistemi economici più arcaici (cioè appena meno meccanizzati), come il non ultimo crollo del fragile bacino economico mediterraneo, Arbëria compresa, cinquanta anni fa?
Oggi i nostri preti hanno colto il pericolo crescente di omologazione edonistico-materialista a-funzionale nel villaggio globale che si accompagna con la debilitazione della persona dei contesti deboli, come quello arbëresh, che all’interno del contesto globalizzato non sono più economicamente autosufficenti e adeguatamente competitivi. Ciò ha spinto gli Ordinari delle nostre tre Circoscrizioni Ecclesiastiche Bizantine alla preparazione del II Sinodo Intereparchiale in Italia con l’indizione di Consultazioni delle Comunità locali sulla “Bozza” dei progetti di schemi, elaborati dalle competenti Commissioni preparatorie e valutate dalle Comunità locali, le cui osservazioni reattive possono incidere profondamente sul volto della Chiesa. Un volto sempre più teso alla primitiva vocazione apostolica (e missionaria) di iniziativa, forse rivolta meno verso l’estensione spaziale e più verso il bisogno di comprensione del tempo attuale e dei suoi problemi, per colmare così un certo vuoto di risposta e il conseguente vuoto nella casa terrena di Dio.
E’ una grande opportunità che viene offerta alla comunità arbëreshe di riflettere su se stessa e su quali strumenti vuole darsi per affrontare il prossimo cammino sì di salvezza ma anche di sopravvivenza e di potenziale crescita. E’ forse il momento di prendere adeguate misure per far fronte alle nuove realtà con rinnovata energia vitale. E’ forse l’ultima occasione che ci viene offerta per non andarci a spiattellare nella indistinta monodimensionalità del globalizzato “prêt-à-porter” spirituale.
Paolo Borgia
Priftërat tanë arbëreshë: sfera e riprodhimit
Urata e Perëndisë pështron Horën. Mërakulla e mbijetesës së saj mburon nga besa e etëravet tanë te Perëndia, Atë i Gjithmëndëm, Bir i Kryqëzuar e i Ringjallur e Shpirt Ngushëllimtar kujt çë nga gjithmonë njera më sot ngrëjmë lavdi e lutje gjithnjëzëri me gluhën arbëreshe: simbolin tënë dhe shenjën e dukshme e hirit veprimtar të Tij e për ndërmjetësinë të së Lumtës Povirgjër Mëri, mburonjës sënë, e për veprën e lavdërueshme të priftëravet tanë (e të monkavet) që këtë besë kanë përhapur e ruajtur e pastër dhe e gjallë.
Priftëra të përgatitur me urtësi te qyteti i përjetshëm, djep i kulturës e të krishterimit, pikë përpjekjeje me gjithë prejardhjet tradicionale e të reja, të vetëdijshëm për tiparet historike karakteristike e popullit të vet, pa lafe i sprasmi mur kundër imperializmit otoman po’ edhe fren për prozelitizmin e pashkak të kapuçinëvet çë pa pushim kërkuan të na bindnin (sic!) kapuçinizmit të shprehjes siçiliane.
Priftërat tanë te katunde e horë të varfra kanë stisur klishë të shkëlqyeshme kushtuar edhe pesë mijë skudë-ar (Sh. Mitër, katedrale e Horës, 1588), te qëronje kur edhe një sold ish i rrallë. Kanë dijtur të fitojnë besimin e dorëgjerësinë e rregjit (të sprasmit perandor të krishterë të Bizantit), tue stisur skollë ku, ëhj, përgatiteshin priftëra po’ mbi të gjitha ku studiuan shumë bujq e profesionistë tanë te një epokë në të çilën padija sundoj gjithë shtresat e kastat hierarkike e Jugut të thellë (në Palermo Kolegji Grek ynë ish një nga të vetmit katër gjimnaze; në fillim të shek. XVIII). Kanë bërë çë të dilnin nga shpia vajzat për të vajtur te skolla ku mësonin të qipnin, të arnonin, të qëndisnin e të bënin thekët “te bala” (po’ edhe të njihnin besë, histori atdhetare, dinjitet e femëri) te Kolegji i Shën Mërisë (nga 1731), tue ringjallur kostumin e gravet si është sot, çudi botërore e shprehje artistike të frymëzimit krijues të gravet arbëreshe (ndërsa në 1789 Asamblea e përgjithshme franceze ia mohoi arsimin gravet). I kanë mësuar të rinjvet të flasin, për të shprehur mendimet e tyre e të i shkruajnë me gluhën e vet, tue i farkëtuar kështu për konkurrimin e ekzistencës, të fortë me identitetin e vet te skenari i qëroit e të hapësirës. I kanë dhënë zë arbëresh fjalës së Perëndisë, vjenmethënë Fjala e t’in Zoti (po’ edhe E mbëzuame e krështerë, 1592, e të sotmit Java e Madhe, Psalteri, Minea etje.) burim jete i çuditshëm e i harmonishëm, kujt nëng i duhet ndihma mbështetëse për pakicat gluhësore. E këta priftëra ngë janë shejtëra: janë vetëm arbëreshë!
Është e ndershmja prijë shpirtërore e tyre çë na ka lënë të përshkojmë me shëndetë pesë qind vjet historie: për të fortin e të plotin spiritualitet greko-lindor, filiz nga i çili mbijnë karakteri autentik i haptë e besnik, identiteti dallues e prirja për shejtërinë e popullit tënë arbëresh, bërë të dukshëm nga adezioni urdhërimit hyinor funksional: binomi punë-riprodhim, i dyfishti veprim substancial i historisë. Ku shpirti i vëllazërimit, solidariteti e gjitonia ashtu si respekti e përfillja për gruan që mburojnë nga i lashti Kanun, kodi gojor ballkanik i sjelljes, vjen më parë te kultura jonë se zhvillimi i pastajmë i qytetërimit çë ky botëkuptim do të ketë mbi kontinentin evropian, edhe sot pa përvetësuar në tjerë vende edhe të Mesdheut e rrenja e konfliktit planetar të ditëvet tona. Një kod, Kanuni, përbërë nga respekti i shejtë për jetën majdhena e gruas, fëmijës, plakut, priftit e të armikut çarmatosur, sot gjithnjë e më shumë shkelur te një endemik barbarizim prapanik e shoqërisë.
Sot priftërat tanë përpiqen me këtë të sprasëm globalizim: më i fortë se gjithë të mëparshmit.
Rrota, mulliri, siderurgjia, plori, takëmet e kalit, plehtë për arat, e pra gjithë atë çë te të sprasmit shekuj u ka zbuluar e shpikur ngë është thomse mjet instrumental globalizimi? Shoqëruar shpesh nga formimi i hegjemonive pak o shumë të detyruara nga ana e atij çë i pari mbaj këto mjete përfitimshme? O Thomse ngë ka shkaktuar rënien e sistemevet ekonomike më arkaike (domethënë pak më pak të mekanizuar), si jo e sprasmja rënie e të dobëtit pellg ekonomik mesdhetar, Arbëri e përfshirë, pesëdhjetë vjet prapa?
Sot priftërat tanë kanë kuptuar rrezikun çë rritet të homologimit hedonisto-materialist jo-funksional te katundi global që shoqërohet me dobësimin e vetës te kontekstet e dobët, si ai arbëresh, të çilët brënda kontekstit të globalizuar ngë janë më ekonomikisht të vetëmjaftueshëm dhe të aftë për të konkurruar me përshtatshmëri. Kjo ka shtyitur Përgjegjësit e të triat Rrethevet tona të Klishës Bizantine për të përgatitur të dytin Sinod Ndëreparkial në Itali me shpalljen e Këshillavet të Bashkësivet lokale për “Bocën” e projektevet të skemave, të përpunuar nga Komisionet përgatitore kompetente e të vlerësuar nga Bashkësitë lokale, shënimet reaktive e të çilevet mund të skalisin thellë në fytyrën e Klishës. Një fytyrë përherë e më shumë e shtrirë kah kërkesa e kuptimit të qëroit aktual e të problemevet të tij, për të mbushur kështu niëfarë zbrazëti përgjegjjeje dhe konsekuentja zbrazëti te shpia e përdheshme e Perëndisë.
Është një ndodhje e madhe çë i jipet bashkësisë arbëreshe për të menduar mbi vetveten e me çilat vegla do të pajiset për të i bërë ballë udhës së ardhshme, ëhj, shpëtimi po’ edhe mbijetëse e rritjeje. Thomse është momenti për të marrë masa të përshtatshme për të i bërë ballë realitetevet të reja me fuqi jetësore të përtëritura. Thomse është e sprasmja ndodhje çë na jipet të mos vemi e shtypemi te monodimensionaliteti padallues i të globalizuarit “prêt-à-porter-it” shpirtëror.
Paolo Borgia