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domenica 8 agosto 2010

I trasferimenti, il sacerdote ed il Vescovo

perviene in relazione allo scritto di ieri sui trasferimenti il seguente testo
Quello dell'obbedienza nei confronti del Vescovo è un precetto evangelico; precetto che spesso viene disatteso causando notevoli problemi organizzativi e logistici nelle Diocesi e soprattutto nelle parrocchie. Infatti, sovente, prevalgono piccoli interessi di bottega: la comodità, la bella casa, la parrocchia a cui ci si è assuefatti, la parrocchia nel paese natio, la parrocchia “ricca” con tutti i confort, e la vicinanza ai famigliari. Quando il vescovo chiama riceve un sacco di "NO".
Ci sono, non c’è alcun dubbio molti presbiteri obbedienti e capaci di sacrifici, tuttavia non manca di rilevare atteggiamenti di disobbedienza vera e propria che contrastano con il precetto di povertà che il sacerdote si è impegnato ad attuare al momento della sua ordinazione sacerdotale.
Nella realtà molti preti si rifiutano di cambiare parrocchia, di accettare trasferimenti e di rinunciare a una vita ritenuta comoda pur di non andare in zone considerate una diminutio. Un atteggiamento grave quello di questi pochi sacerdoti che non intendono fare sacrifici e rinunciare a posizioni consolidate.
Troppo comodo, per un sacerdote, vivere nell'agiatezza senza fare sacrifici. E la missione? e il gregge? e il Patore? Forse che il gregge della nuova destinazione demerita ?
Il ministero dei sacerdoti - ci ha ricordato più volte papa Giovanni Paolo II - deve saldamente radicarsi in Gesù Cristo e conformarsi alle disposizioni fondamentali del suo animo. Ora, l'atteggiamento interiore che plasma l'intera vita ed il ministero salvifico di Cristo è l'obbedienza totale al Padre. Il Verbo eterno, facendo, per così dire, a ritroso il cammino di Adamo disobbediente, assume la forma di Servo, divenendo obbediente fino alla morte di Croce (Cfr. Fil 2, 8). Egli non ha interessi e ambizioni terrene da coltivare; non ha neppure un proprio personale progetto di vita da realizzare; o meglio, il suo progetto è fare la volontà del Padre, compiere la sua opera, consacrarsi interamente alla causa del Regno di Dio. Questa totale disponibilità e perfetta fedeltà alla volontà del Padre non è stata, per Gesù Cristo, senza sofferenza e senza lotta interiore; gli è costata lacrime e sangue. L'autore della lettera agli Ebrei ci assicura che «pur essendo Figlio, imparò l'obbedienza dalle cose che patì» (Eb. 5, 8). L'obbedienza di Gesù, considerata in profondità, è l'espressione più autentica e la prova suprema del suo amore senza limiti per il Padre e per gli uomini. L'amore è sempre dono disinteressato di se stessi per fare la volontà dell'amato. Gesù è obbediente perché ama il Padre; Gesù è Servo perché ama gli uomini. Egli stesso dichiara ai suoi discepoli: «Se osserverete i miei comandamenti rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i suoi comandamenti e rimango nel suo amore» (Gv. 15, 10). Si deve, inoltre, rilevare come l'obbedienza conferisca allo stile di vita di Gesù Cristo un senso straordinario di libertà interiore al servizio della sua missione.
Poiché è totalmente consacrato alla gloria del Padre, all'annuncio del Vangelo, alla testimonianza della Verità, Gesù Cristo è interiormente libero riguardo ai legami familiari e ai beni terreni, totalmente distaccato dalla ricerca di prestigio umano, alieno dai compromessi, superiore ai pregiudizi del suo tempo. Sull'esempio di Gesù, anche l'apostolo del Nuovo Testamento deve essere una persona che, nella libertà dell'obbedienza, è pienamente disponibile per il servizio alla Chiesa e al mondo. San Paolo, che è il modello di ogni apostolo, è servo di Gesù Cristo, segregato per il Vangelo, totalmente disponibile allo Spirito che lo sospinge incessantemente a percorrere le strade del mondo, distaccato dalla famiglia e dai beni, sempre pronto a sacrificare tutto e in primo luogo se stesso per il bene delle anime.
Al Sacerdozio, per il servizio chiamato a svolgere svolgere, si esige un particolare esercizio dell'obbedienza, in profondo spirito di fede. Direi, anzi, che devono interpretare la loro vita, e i vari appelli che gli giungono, in chiave di obbedienza. Non è tuttavia l'obbedienza di un soggetto passivo quella che gli è richiesta; ma un'obbedienza personale, attiva, responsabile. La vera obbedienza, infatti, è capacità di ascolto, apertura di spirito, sensibilità d'animo per captare e interpretare gli appelli che giungono dallo Spirito, dai Superiori, dalle Chiese locali, dal mondo. La varietà e complessità dei compiti, delle situazioni, dei problemi che devono affrontare, esigerà dai sacerdoti una disponibilità di spirito a tutta prova, una non comune libertà interiore, un perfetto distacco da loro stessi e dalle loro ambizioni, una grande agilità mentale e alacrità d'animo.
Sarà proprio questa vita di obbedienza, offerta con generosità al Padre, alla Chiesa e agli uomini, che gli permetterà di servire al piano divino della redenzione dell'uomo d'oggi. Se loro entreranno in questa via dell'obbedienza, sperimenteranno anche un senso interiore di ineffabile pace. Si sente, qui, l'eco delle parole dell'Apostolo delle genti: «So a chi ho creduto, e sono convinto che egli è capace di conservare fine a quel giorno il deposito che mi è stato affidato» (2 Tim. 1, 12).
Infine, il voto di obbedienza dei sacerdoti è destinato ad esercitare un benefico influsso sul loro atteggiamento nel ministero sacerdotale, stimolandoli alla sottomissione nei riguardi dei superiori della comunità che li aiuta, alla comunione dello spirito di fede con coloro che rappresentano per essi la volontà divina, al rispetto dell’autorità dei Vescovi e del Papa nell’adempimento del sacro ministero. Vi è dunque da auspicare e da attendersi dai Sacerdoti religiosi non solo un’obbedienza formale alla gerarchia della Chiesa, ma uno spirito di leale, amichevole e generosa cooperazione con essa. Con la loro formazione all’obbedienza evangelica, essi possono superare più facilmente le tentazioni di ribellione, di critica sistematica, di sfiducia, e riconoscere nei Pastori l’espressione di un’autorità divina. Anche questo è un valido aiuto che, come si legge nel Decreto Christus Dominus del Concilio Vaticano II, i sacerdoti possono e devono recare ai sacri Pastori della Chiesa oggi come in passato e più ancora per l’avvenire, “date le aumentate necessità delle anime... e le accresciute necessità dell’apostolato” (Christus Dominus, 34).
Gesù è il modello di coloro che obbediscono a un’autorità umana discernendo in questa autorità un segno della volontà divina. E dal consiglio evangelico dell’obbedienza i religiosi tutti sono chiamati a obbedire ai Superiori in quanto rappresentanti di Dio. Per questo San Tommaso, spiegando un testo (San Benedetto, Regola, c. 68) della Regola di San Benedetto, sostiene che il religioso deve attenersi al giudizio del Superiore (cf. San Tommaso, Summa theologiae, I-II, q. 13, a. 5 ad 3).
È facile capire che nel discernimento di questa rappresentanza divina in una creatura umana si trova spesso la difficoltà dell’obbedienza. Ma se qui si affaccia il mistero della Croce, non bisogna perderlo di vista. Sarà sempre da ricordare che l’obbedienza religiosa non è semplicemente sottomissione umana a un’autorità umana. Colui che obbedisce si sottomette a Dio, alla volontà divina espressa nella volontà dei Superiori. E' una questione di fede. I sacerdoti devono credere a Dio che comunica loro il suo volere mediante i Superiori. Anche nei casi in cui appaiono i difetti dei Superiori, la loro volontà, se non contraria alla legge di Dio, esprime la volontà divina. Persino quando dal punto di vista di un giudizio umano la decisione non sembra saggia, un giudizio di fede accetta il mistero del volere divino: mysterium Crucis. Per il sacerdote che così concepisce e pratica l’obbedienza, questo diventa il segreto della vera felicità data dalla cristiana certezza di non aver seguito il proprio volere, ma quello divino, con un intenso amore verso Cristo e la Chiesa.
estratto di una relazione del Card. Tetamazzi

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