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sabato 20 febbraio 2010

I Borghi Eras nel territorio di Contessa Entellina - Uno studio di Vincenzo Cilluffo

I BORGHI ERAS NEL TERRITORIO DI CONTESSA ENTELLINA (2)
di Vincenzo Cilluffo
 
INTRODUZIONE
L’evoluzione di un concetto: dal fascismo alla riforma agraria
Durante il regine fascista, il forte impulso dato ai lavori pubblici favorì una costante crescita demografica della città, che ebbe come conseguenza l’espansione della cinta urbana, la settorializzazzione delle aree ( residenziali e urbane) e l’avvio di una terziarizzazione.
Questa situazione portò il duce ad abbracciare la cosiddetta politica demografica-ruralista, con la quale invitava tutti gli italiani ad non abbandonare la vita dei campi. Questa posizione venne espressa nel cosiddetto discorso dell’Ascensione, pronunciato davanti la Camera il 26 maggio 1927. Lo spopolamento delle campagne rappresentò un vero e proprio mutamento sociale che determino la “morte della classe contadina”; infatti non si pose solo fine alla coltivazione dei campi per la produzione, ma cambiò anche quel rapporto socio-economico-culturale con cui l’uomo si accostava alla terra (mentalità, usi, costumi, tradizione, ecc…), rapporto che era parte integrante di u n sistema di vita unico e solo.

A Contessa Entellina questo splendido rapporto con la terra, grazie a tutta una serie di circostanze è riuscito a sopravvivere quasi intatto fino ai primi anni ’70. Lo scenario contadino tipico di tutti i paesini dell’entroterra siciliano, in questo paese viene arricchito dal fatto di essere una colonia italo-albanese. Dal contesto sopra descritto nascono le espressioni di riforma agraria e bonifica come fondamenti di una nuova politica agricola: l’una come azione di trasformazione del sistema di produzione agricolo con interventi dello Stato, l’altra come azione di risanamento (opere edilizie, agrarie, bonifica di terre paludose-aride, ecc…) per renderle coltivabili.

In Sicilia con decreto (18 maggio 1924 n° 753) si diede vita all’istituto “Vittorio Emanuele III” il compito specifico era quello della bonifica dell’agro siculo, ma l’istituto svolse la sua funzione in più direzioni:
-nascita di consorzi;
-progetti di bonifica;
-finanziamenti agevolati;
-ricerche idrogeologiche;
-fondazioni di borghi.
Con legge 2 gennaio 1940 n° 1 l’istituto fu assorbito dal nascente “Ente di colonizzazione del latifondo Siciliano”, con il compito di assistere ai proprietari nell’opera di trasformazione del sistema agricolo produttivo e di provvedere alla colonizzazione delle terre di cui l’ente avesse acquistato la proprietà temporanea o definitiva.
«I borghi del l’Ente di colonizzazione del latifondo siciliano cercano di comporre per singoli edifici le sedi di un centro unitario; si ha così nell’aperta campagna la trasposizione schematica dell’ideologia urbana che esclude paradossalmente un rapporto con la residenza, non essendosi attuato il programma che prevedeva in un quinquennio l’edificazione di 20.000 case coloniche su una superficie di 500.000 ettari ».

In linea teorica tra tutte le soluzioni urbanistiche quella del borgo si presentava la più idonea allo scopo di mediare fra la condizione urbana e quella rurale. La semantica di borgo come raggruppamento di case coloniche, fabbricati e servizi non è tanto corretta in quanto fu stabilito che fossero previsti solo borghi di servizio, cioè costruiti da dei nuclei di servizi messi a disposizione delle varie case coloniche sparse nel territorio circostante. Le caratteristiche dei borghi furono fissati da uno studio di massima eseguito dall’istituto “Vittorio Emanuele III” e raccolto in un volume dal titolo “centri rurali”, che rappresentava una sorta di manuale per la progettazione ed esecuzione dei 3 tipi di centri rurali descritti nel manuale. Questi primi interventi realizzati dallo Stato furono il risultato della demagogia fascista combinata opportunamente con l’ideologia delle opere pubbliche di uno Stato accentratore quale era il regime.
 
Per motivi ben diversi nel periodo post-bellico fu ripresa l’attività di colonizzazione e negli anni ’50 la riforma agraria avviò la prima esperienza di pianificazione territoriale in Italia.
La guerra aveva messo in ginocchio l’intero Paese e soprattutto il meridione dove le condizioni di povertà e di arretratezza nelle campagne aveva raggiunto livelli allarmanti e la lotta contro la fame era il problema con il quale erano costretti a convivere numerosi siciliani. I contadini si mobilitarono in numerose manifestazioni (scioperi, occupazione delle terre, ecc…) per rivendicare i propri diritti: l’applicazione delle leggi emanate dallo Stato (i Decreti Gullo e Segni) per l’assegnazione delle terre infoltivate e la ripartizione dei prodotti.

Ricordiamo che in quel periodo in Sicilia regnava il latifondo, il quale era un vero e proprio centro di potere.
Per far fronte alla grave situazione il Governo Regionale, presieduto dall’On. Franco Restivo, presentò il 7 giugno 1950 all’Assemblea Regionale un proprio disegno di legge sulla riforma agraria, il quale, dopo un aspro scontro tra i vari gruppi parlamentari, venne approvato come legge n°104 del 27 dicembre 1950. I punti essenziali di questa Legge, in estrema sintesi, erano i seguenti:
1. esproprio di superfici superiori ai 200 ettari (ad eccezione dei boschi); erano oggetto di esproprio solo i seminativi, mentre non erano comprese le colture arboree e specializzate e i terreni irrigui (in pratica i terreni migliori);
2. facoltà di conferimento da parte del proprietario. Il proprietario cioè poteva scegliere quali terreni destinare al conferimento;
3. assegnazione delle aree espropriate in lotti di superficie variabile dai 3 ai 6 ettari, a seconda della tipologia del terreno;
4. assegnatari iscritti in elenchi comunali di lavoratori agricoli capifamiglia manuali-coltivatori, con un reddito totale, comprensivo anche delle case di abitazione, non superiore a £. 100.
L’ articolo 2 della legge stabilisce che: «all’attuazione della riforma agraria sovrintende l’Assessorato dell’Agricoltura e Foreste presso il quale è istituito un ufficio regionale per la riforma avente compito di indirizzare, vigilare e coordinare l’attività degli enti ed organismi preposti all’esecuzione della presente legge, anche a mezzo dell’Ispettorato Agrario Compartimentale che assume la denominazione di Ispettorato Agrario Regionale »

L’ Ente per la Riforma Agraria i Sicilia (ERAS aveva preso il posto del vecchio Ente di Colonizzazione del Latifondo Siciliano) aveva il compito di assistere gli assegnatari dei terreni nella progettazione ed esecuzione delle opere di miglioramento fondiario che andavano dalla realizzazione della casa colonica alla consulenza e assistenza tecnica di tipo agronomica. L’ Ente, pur mantenendo gli stessi compiti, successivamente fu strasformato in “Ente di Sviluppo Agricolo” (ESA).

Una volta fatta la legge bisognava andare ad applicarla e il dibattito si concentrò nuovamente sul tipo di modello insediativi da andare ad utilizzare: sparso, accentrato e semiaccentrato; il primo prevedeva l’insediamento delle famiglie all’interno del podere, il secondo la realizzazione di un borgo residenziale dotato di servizi e il terzo prevedeva la realizzazione di nuclei residenziali in posizione intermedia fra i campi da coltivare e la sede dei servizi pubblici.

L’insediamento sparso, applicato prevalentemente nel centro-nord, veniva sostenuto da diversi studiosi quali il Marconi e il Grassini, mentre veniva osteggiato dalla cultura urbanistica più avanzata rappresentata da Quadroni. « L’insediamento sparso veniva infatti tacciato di oscurantismo politico, in quanto separava la popolazione ed impediva il mutarsi di una coscienza politica e sociale, ad esso veniva contrapposto il borgo come momento sociale e politicamente più aggregante ».

Altra questione che impegnò gli studiosi fu quella relativa al loro posizionamento; bisognava stabilire se il borgo doveva costituire un elemento di congiunzione tra i centri esistenti e la campagna, o come insediamento autonomo dotato di servizi a disposizione esclusiva dei suoi abitanti.

Per rispondere a tutti questi interrogativi nacquero tutta una serie di studi e ricerche di carattere manualistico, che presentavano sia soluzioni tecniche, che indicazioni sui materiali da usare e le tipologie da adottare.

« Le soluzioni adottate in Sicilia, mentre a livello architettonico riprendono quei connotati epidermici di monumentalità coniugati insieme a quelli di rusticità, che avevano caratterizzato i borghi del regime, nella progettazione urbanistica si differenziano da questi per la ricerca di una organizzazione del borgo in rapporto alla residenza contadina e alla struttura degli insediamenti e viaria esistenti . (…). L’individuazione del rapporto residenza servizi come parametro progettuale, segna l’inizio di una nuova concezione dell’abitare in campagna » .

Con decreto 1 aprile 1953, la Regione Sicilia regola le tipologie insediative, fissando 3 categorie di borghi, rispettivamente il più completo, quello intermedio e quello dotato di un numero modesto di servizi:
« -tipo A, il cui limite di spesa, per le costrizioni da eseguire a totale carico della Regione, è di 270 milioni, comprendono: chiesa ed abitazione del parroco-scuola con alloggi degli insegnanti-asilo nido con alloggi-delegazione comunale con alloggio del delegato comunale-ufficio postale e telegrafo con alloggio per l’ufficiale postale-caserma dei carabinieri con alloggio separato per il graduato-casa sanitaria con alloggi per il medico, l’ostretica e l’infermiere-ufficio dell’ente con alloggio- fabbricato alloggi per gli addetti ai servizii del borgo (impiegato comunale,uomo di fatica, guardia) - botteghe artigiane con alloggi (calzolaio, sarto, fabbro, carradore, barbiere) - ambulatorio veterinario e mattatoio - stazione di monta equini e bovini - mulino con alloggio del mugnaio - scuderie e lavanderie.
-tipo B, da 180 milioni, comprendono: chiesa ed abitazione del parroco-scuola con alloggi degli insegnanti-asilo nido con alloggi-delegazione comunale con alloggio per il delegato comunale-ufficio postale e telegrafico con alloggio dell’ufficiale postale-caserma dei carabinieri con alloggio separato per il graduato- ambulatorio medico e all’alloggio dell’ostretica e dell’infermiere-fabbricato alloggi per gli addetti ai servizi dl borgo (assistente tecnico, agrario, messo comunale,bidello, uomo di fatica)-fabbricato botteghe artigiani, rivendita e trattoria.
-tipo C, da 80 miloni comprendono: chiesa con sacrestia-scuola con alloggio per l’insegnante-ambulatorio medico con alloggio per l’infermiere-alloggio custode del borgo.

La Regione provvede poi ad altre opere connesse, quali strada di accesso al borgo, piazze e strade del borgo stesso, allacciamento elettrico e relativa trasformazione, rete telegrafica e telefonica, approvvigionamento idrico e relativi bevai, fognatura con vasche di depurazione biologica, stadera a ponte a bilico, alberatura, campo per la fiera del bestiame, arredamenti per gli edifici, espropriazioni » .

Il tipo di borgo da costruire veniva scelto principalmente in base a due fattori:
-numero di famiglie da insediare al suo interno;
-caratteristiche del territorio utente; infatti il borgo doveva avere una posizione baricentrica rispetto al suo comprensorio di pertinenza e inoltre doveva essere in rapporto diretto con i nuclei residenzial all’interno delle zone del podere.
In quest’ottica il borgo svolge un ruolo di servizio non solo per gli assegnatari dei terreni ma anche per quelle famiglie con proprietà superiori ai 20 ha appartenenti a quel comprensorio. Come si vede si riprese il vecchio concetto di borgo di servizi, che nella pratica costruttiva fu tipica del periodo fascista.
A questo punto sorge spontanea una domanda: a parte le differenti condizioni economiche, storiche e politiche che hanno portato alla loro formazione esistono differenze tra i borghi del periodo fascista e quelli della riforma? Se si quali sono?
Paola Barbera in “architettura tra le due guerre” scrive:
« l’unica differenza tra il manuale del 1937, Centri Rurali e il regolamento del ’53 sta nella sostituzione della casa del fascio con la sede della delegazione municipale per il resto non è cambiato nulla nonostante fossero già da tempo palesi gli insuccessi della politica di decentramento delle abitazioni e della creazione di borghi di servizio »  « se è vero che al centro di tutti i nuovi borghi sta la piazza-luogo di riunione, di contati, di scambi commerciali, di svaghi- è pur vero che nessun senso può avere una piazza senza città, sperduta in una campagna desolata »

Non si esclude che la mancanza di adeguamento alle mutate condizioni sociali e lavorative sia una delle cause cha hanno portato prima al mancato decollo e poi al degrado ed abbandono poi di questi piccoli centri rurali.

Volendo potremmo dire che i borghi della riforma agraria furono concepiti come dei piccoli villaggi strutturati in chiave moderna (massima semplicità, volumi puri, prevalenza del pieno sui vuoti, ecc…), pensati e dotati dei principali servizi (chiesa, scuola, ufficio postale, ecc…) per rendere possibile una vita socio-economica-culturale in quelle parti di territorio lontani dai centri urbani.

Note:
8. Il discorso integrale è pubblicato in Opera Omnia di Benito Mussolini a cura di E. e D.Susmel, Firenze 1957, vol XXIII pp. 360-90.
9. Vedi Gazzetta ufficiale del 18 Gennaio 1940 n°. 14 art. 4 – 5.
10. Antonella Mazzamuto, op. cit, p. 514. « Urbanistica » , n. 7, 1955.
11. Antonella Mazzamuto, op Vedi Plinio Marconi, La distribuzione delle abitazioni rurali, e Piero Grassini, Le borgate rurali nel Mezzogiorno in Urbanistica, n. 7, 1955
12. Antonella Mazzamuto, op. cit, p. 496.
13. Si veda ad esempio Riccardo Medici, Architettura rurale, Bologna, 1956.
14. Antonella Mazzamuto, op. cit, p. 497.
15. Vedi Gazz. Uff. Reg. Sicilia del 18 luglio 1953, n°. 33
16. Grassini, op. cit, p. 60.

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