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domenica 31 gennaio 2010

Un'indagine triennale condotta dall'Agenzia regionale del territorio

(dal sito del gds)
Più di 288 mila “immobili fantasma” in Sicilia. È il risultato dell'indagine avviata dall'Agenzia del territorio e durata tre anni, presentata oggi a Palermo, allo Steri. Ad illustrare il piano e le attività di accertamento condotte è stato il direttore regionale della Sicilia dell'Agenzia, Marco Selleri.

La verifica, condotta lo scorso anno su cinque province, il 52% dell'Isola, ha consentito l'individuazione di 146.634 immobili non catastati che si aggiungono ai 141.913 individuati nel biennio precedente. Sul totale delle particelle accertate 25.794 sono state accatastate, 12.857 delle quali per adempimento spontaneo da parte del cittadino. Una rendita del valore di 8,3 milioni di euro. Le tipologie di immobili accatastati sono prevalentemente abitazioni (36%), magazzini e garage (45%). Il processo di verifica adottato è stato articolato e complesso e basato sull'analisi ad incrocio dei dati: sovrapposizione delle ortofoto digitali ad alta risoluzione alla cartografia catastale gestita dall'Agenzia; utilizzo degli archivi censuari, ed uso delle immagini satellitari.


In Sicilia però molti immobili non vengono dichiarati perché abusivi, un fenomeno diffuso e sul quale Selleri commenta: “E' importante che il cittadino dichiari, non c'è motivo di alcun timore. Il Catasto non è un organo preposto alla individuazione degli immobili abusivi, è solo uno strumento, il suo ruolo è quello di archiviare, non è altro che una banca dati sul territorio”.

Informazione sulla cartella Tarsu 2008

  Nella mattinata di ieri, sabato 30 gennaio, rappresentanti della Camera del Lavoro e della Federconsumatori hanno preso in esame le cartelle tarsu 2008 fatte notificare dal Comune di Contessa Entellina, mediante l'esattoria.

 E' stata riconfermata l'erroneità procedurale per addivenire all'aumento spropositato del +160% rispetto alla tariffa 2007 e pertanto sia la Camera del Lavoro che Federconsumatori assisteranno gratuitamente quei contribuenti che intendono presentare ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale.
Ciascun contribuente che presenterà ricorso dovrà solamente pagare la marca da bollo da apporre sul ricorso.
  I responsabili della Camera del Lavoro e i componenti del comitato cittadino contro il CaroTarsu sono disponibili a fornire gli eventuali chiarimenti.

  Nei prossimi giorni l'esattoria concluderà la notifica delle cartelle, che ancora non risultano pervenute ai destinata.
 Il Contessioto

L'ultimo sforzo per il sindaco di Contessa Entellina ed è fatta !

  Il "contessioto" apprezza la sensibilità del sindaco, dott. Sergio Parrino, per avere accolto le osservazioni di questo blog sull'uso appropriato della "denominazione del comune" e del suo "stemma". Bene !, gli diamo atto, per avere rimosso il link "Vivamiccichè" dal sito ufficiale web del Comune di Contessa Entellina (sulla piattaforma facebook).

   Dal momento che siamo su un piano di leale collaborazione, segnaliamo al sindaco che, a noi che del sito su facebook non siamo annoverati tra gli 'amici' capita quanto segue:
-nello spazio "Ricerca" scriviamo "Comune Di Contessa Entellina" e cosa ci appare ? ? ? 
Lo stemma del partito di Casini -unione di centro- e la dizione "giovani udc di Belmonte Mezzagno".
Sappiamo bene che non è roba sua, però sta lì.

   Faccia l'ultimo sforzo e faccia pulizia dentro la casa di tutti. Le saremo grati.

   E' ovvio che noi non possiamo sistematicamente segnalarLe tutto ciò che non fila dentro la casa di tutti. Il compito principale è suo. Noi ci siamo soffermati su un problema apparentemente spicciolo, ma che ha grande significato nella valutazione della "sensibilità" di un uomo pubblico.
   Cosa ci aspettiamo da Lei ? Che quando esamina un problema lo deve risolvere globalmente, senza attendere che Le si dica per punto e per virgola fino a dove arriva la 'sporcizia di parte' in un luogo che deve ospitare le buone intenzioni di tutti, vincitori e vinti delle elezioni amministrative.

   Ci piace discutere dei problemi sociali del nostro paese, abbiamo voluto affrontare intanto un problema di correttezza istituzionale.

   Cordialmente.
Mimmo Clesi

Costituzione della Repubblica Italiana: Art. 17 - Democrazia in luogo pubblico

di Lorenza Carlassare
Il diritto di riunirsi per discutere ed esprimersi, anche e soprattutto al tempo della Rete: le tutele della Costituzione e gli abusi –attualissimi- dell’ordine pubblico

La libertà garantita dall’art. 17 “I cittadini hanno riritto di riunirsi pacificamente, e senz’armi” ha un’importanza fondamentale per la democrazia.

Un’importanza che si rivela crescente, dato lo stretto legame con la libertà di manifestazione del pensiero (art. 21), pur in un tempo in cui sono così abbondanti i mezzi di comunicazione. Perché si riuniscono i cittadini ? I fini possono essere i più vari, culturali, politici, sindacali, religiosi, sportivi, di svago, ma è sempre per parlare fra loro, scambiare pensieri, idee, discutere, assumere decisioni, prendere posizione. Può trattarsi di poche persone riunite in un luogo privato, oppure di molte o moltissime in piazza o in corteo che si uniscono per manifestare insieme le proprie convinzioni, esprimere assenso o dissenso, segnalare richieste, difficoltà e disaggi. La forza del numero dà peso ad un’opinione, ad una richiesta, alla denucia di un fatto che, espressa isolatamente, si perderebbe nel frastuono di voci.

Dei diversi “mezzi” di manifestazione del pensiero che “tutti” possono liberamente usare (art. 21), la parola è l’unico ad essere veramente a disposizione di tutti. Per gli altri mezzi –la stampa, la radio, la televisione- occorrono risorse e strutture di cui pochi dispongono. E’ vero che oggi c’è la Rete, ma questo tipo di comunicazione spesso rischia di essere frammentato e soprattutto, per non rimanere un fatto episodico e farsi efficacemente “sentire”, ha bisogno di essere seguita da qualcos’altro: un incontro collettivo, una manifestazione di piazza che dia visibilità pubblica al contenuto del messaggio. In qualche modo la Rete e la riunione (per discutere, decidere o manifestare) si integrano: la prima è il modo efficace per realizzare la seconda, per metterla in moto. Le notizie partono, i messaggi sono raccolti e l’incontro fisico segue.

Il potere ha sempre avuto paura dei cittadini riuniti. Il limite dell’ordine pubblico, sempre invocato per restringere questa libertà, è un concetto giuridico indeterminato che può caricarsi di significati molteplici lasciando una discrezionalità amplissima all’autorità di pubblica sicurezza: per il fascismo era contrario all’ordine pubblico tutto ciò che era contrario al regime. L’Assemblea costituente elimina dal Testo costituzionale ogni riferimento all’ordine pubblico, usando espressioni diverse che ne delimitano il concetto. Le riunioni in “luogo pubblico”, le uniche per le quali deve essere dato “preavviso” alle autorità, possono essere vietate “soltanto per comprovati motivi di sicurezza e incolumità pubblica” (comma 3). Nessun altro motivo è consentito. Quanto alle “le riunioni private”, così come “le riunioni in luogo aperto al pubblico, non è richiesto preavviso” (comma 2); sono dunque completamente libere purchè si svolgano “pacificamente e senz’armi”: è l’unica condizione costituzionalmente imposta. Perciò è stata dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale (sent. N. 27/1958) la norma introdotta dal fascismo che considerava pubblica anche una riunione in forma privata “per il luogo in cui sarà tenuta o per il numero delle persone che dovranno intervenirvi, o per lo scopo o l’oggetto”. Del resto abusi continui si verificano; manca, anche in soggetti interessati, la piena coscienza della portata di questa libertà. Ad esempio, nel marzo 2009 su iniziativa del prefetto di Roma, le organizzazioni sindacali e i partiti politici hanno firmato un protocollo con il comune (della durata ‘sperimentale’ di sei mesi), impegnandosi a utilizzare soltanto alcuni luoghi per cortei e riunioni (tranne che per manifestazioni di importanza nazionale): ma la libertà di riunione è “irrinunciabile” e “indisponibile”. L’accordo quindi non poteva vincolare nessuno: eppure (fa notare Alessandro Pace, un costituzionalista sempre attento alla tutela dei diritti di libertà), col pretesto che non sarebbe stato seguito uno dei percorsi previsti dal protocollo, dalle forze di polizia è stato impedito a un corteo dell’”Onda studentesca” di uscire dalla Città universitaria dove si era spontaneamente formato.

Questo caso chiarisce bene la stretta connessione fra diritti di libertà, in particolare fra libertà di riunione e di circolazione. Se l’art. 16 “Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in ogni parte del territorio nazionale” rientra nella tutela della sfera libera della persona –nei luoghi in cui dimora (art. 14), nelle relazioni con gli altri (art. 15), nei movimenti (art. 16)- consentendole di fissare la sua dimora dove crede e di spostarla nel territorio (anche per ragioni di lavoro), evidente è anche la sua connessione con l’art. 17. Se fossero posti limiti alla libera circolazione, come potrebbero le persone spostarsi per unirsi agli altri in una pubblica manifestazione ? Ad evitare abusi, l’art. 16 –che garantisce al cittadino anche la libertà di espatrio (comma 2)- dispone (come per tutti i diritti) l’esclusiva competenza della “legge”, precisando inoltre che questa libertà può essere limitata soltanto “per motivi di sanità o di sicurezza” stabiliti “in via generale” (non per singole persone o categorie); e che “Nessuna restrizione può essere determinata da ragioni politiche”. Una precisazione importante dato lo speciale rilievo politico di questo diritto di libertà.

giovedì 28 gennaio 2010

Lettera aperta al Sig. Sindaco del Comune di Contessa Entellina

  Sig. Sindaco,

E' con vero compiacimento che ho rilevato la Sua diligenza nell'avere rimosso dal sito Web di facebook denominato 'Comune Di Contessa Entellina' lo stemma del nostro Ente. Ente Comune che appartiene a tutti.
Il compiacimento è sincero perchè Ella ha voluto mostrare sensibilità alle nostre osservazione, nostre nel senso di questo blog.
Siamo convinti che quando si è sensibili su un tema, lo si deve essere fino in fondo.
Mi serve prima di proseguire il discorso fare una breve premessa.
Io non ho nulla da eccepire sul fatto che Ella abbia simpatia per l'On.le Miccichè. Ella sul piano personale può avere tutte le simpatie che vuole nei confronti di chiunque. Come del resto io e qualunque cittadino. Ella non ha meno diritti di altri; non ci vorrebbe altro !
La nostra osservazione non era diretta comunque all'on.le Miccichè con senso di critica o di condanna, essa (la critica) poteva, in circostanze analoghe all'uso che si fa della simbologia comunale, essere diretta all'on.le Bersani, Di Pietro, Vendola, Fini, Bondì etc.
La regola vale quindi per tutti: le strutture pubbliche non si usano per fini di parte. Con i beni privati e con la nostra vita privata possiamo invece fare tutto ciò che più ci aggrada.

Fatta la premessa, passiamo alla logica conseguenza a cui essa ci porta.
Ella ha rimosso lo Stemma perchè è un simbolo che appartine a tutta la collettività. Ha fatto bene !
Ricordo tuttavia che la denominazione "Comune di Contessa Entellina" appartiene pure essa a tutta la collettività. Essa è il nome dell'Ente a cui partecipiamo con pari dignità sia Lei che io. La normativa che tutela la "denominazione" di un Ente pubblico è ancora più pregnante di quella che tutela i suoi simboli.

A questo punto le cose da fare sono due:
O Ella rinuncia all'uso della denominazione del comune per  per continuare a mantenere sul sito web in questione il link dell'on.le Miccichè, che in verità potrebbe benissimo mantenere in un sito tutto suo e personale (per l'uso del cittadino Sergio Parrino) ovvero Ella continua ad usare la denominazione del nostro Ente, nella veste di Sindaco, Sindaco di tutti, per mantenere un proficuo contatto con i cittadini che lo desiderino, ma in questo caso il link dell'on.le Miccichè deve sparire, perchè è fuori posto.
La sostanza del mio discorso è che non bisogna confondere il sacro (la cosa pubblica: ossia la denominazione del nostro Ente) col profano (la battaglia e la propaganda politica: il link dell'on.le Miccichè è tale).
Personalmente, per quel poco che può valere il mio parere, preferirei che Ella continuasse ad usare, da sindaco, la denominazione "Comune di Contessa Entellina" e nella veste istituzionale tenesse un continuo confronto con tutti, sostenitori ed avversari. Ovviamente, ripeto, in questo caso va tolto il link.
Sono fiducioso nella sua comprensione, e mi permetta pure di dire competenza di esperto, per quanto ho dovuto scrivere. Tengo a precisare che questo mio scritto non ha nulla nè di polemico, nè di malevole. E' infatti mia ferma convinzione che la cosa pubblica vada rispettata più di ogni altra cosa e vada posta al di fuori dai pur legittimi scontri politici. La cosa pubblica sta su un piano diverso dalla polemica, ed essendo di tutti va salvaguardata da tutti, dagli amici e dagli avversari dell'on.le Miccichè.
Con l'auspicio che colga la sincerità delle osservazioni, Le invio cordiali saluti.

Mimmo Clesi

In Tutta Italia manifestazioni per difendere la Costituzione Repubblicana e Democratica

A Palermo la manifestazione in piazza Politeama
Un sit-in in 80 piazze italiane per difendere la Costituzione. Un palco dove si alternerà la musica alla lettura dei verbali dell’ultima costituente. E’ stato organizzato dal Comitato 30 gennaio e dal Popolo Viola di facebook, gruppo nato in rete ma che presto si è concretizzato e ha preso forma in centinaia di persone e numerose associazioni, tutte con la stessa idea: la Costituzione non si tocca.
Così stamattina, al Kursal Kalesa di foro Umberto I, gli organizzatori e molti dei rappresentanti delle associazioni che hanno aderito all’iniziativa, hanno spiegato le motivazioni per le quali bisognerà essere in tanti, sabato pomeriggio alle 16 in piazza Politeama.

Luigi Capizzi, uno dei primi promotori dell’evento e ideatore del gruppo, spiega: “Di fronte alle proposte del governo di modificare la carta Costituzionale, a partire dal nuovo Lodo Alfano, bisogna reagire con la prontezza e la determinazione democratica che la situazione richiede. La Costituzione della Repubblica Italiana nata dalla Resistenza antifascista rimane, il principale strumento di garanzia del patto di convivenza civile di una società che fonda le proprie basi sul principio di uguaglianza tra i cittadini. E' per questo che ad ogni cittadino democratico compete difenderla, e all’idea di un sit in nazionale non potevamo rimanere indifferenti”.
Ottavio Terranova, rappresentante dell’Anpi, associazione nazionale partigiani d’Italia, che in prima persona da 60 anni si trova sul fronte in difesa della Costituzione dice: “Rappresenta i valori democratici per cui ci siamo battuti”.
Presente alla conferenza stampa, anche Simona Mafai, scrittrice romana di origine, ma siciliana di adozione, condirettrice di Mezzo Cielo, vissuta e cresciuta in pieno regime fascista, ha assistito alla nascita della nostra Costituzione, : “Per noi donne la Costituzione è stata una doppia vittoria, la carta garantisce i nostri diritti,- e sottolinea- inoltre dobbiamo difendere gli organi di garanzia istituti in origine ma che adesso si trovano in difficoltà”.
Invece fa riferimento all’Articolo 34 della Costituzione, che assicura il diritto di studio, fino ai gradi più alti, Marco Sucameli, coordinatore dell’Unione degli Universitari: "Gli attacchi all´Università pubblica dell´ultimo anno, i tagli, una riforma senza soldi e senza la partecipazione degli studenti, trovano seguito nel tentativo in atto di snaturare la nostra carta costituzionale. Non possiamo permettere che il diritto allo studio sia trasformato in un privilegio per pochi e non più un diritto sacrosanto sancito dalla costituzione. Ci batteremo con tutti gli strumenti a nostra disposizione perche il raggiungimento dei gradi più alti della formazione sia garantito a tutti gli strati della società".
Intanto Corrado Carpintieri, ripropone la frase di Pietro Calamandrei, diventata slogan della manifestazione: “Ora e sempre resistenza”, perché spiega:”Non bisogna arrendersi anche se si parte in pochi”.
Nel corso della mattinata hanno partecipato in video conferenza i comitati di Milano,Torino, Parma, Roma e Catania. L’appuntamento di sabato sarà in 80 piazze italiane, ma anche a Londra, Parigi , Dusserdolf, Vienna e Hong Kong. E si contano fino ad ora 26 mila partecipanti tra i molti che si sono iscritti al gruppo in tutta Italia.

mercoledì 27 gennaio 2010

Il giuramento degli amministratori comunali in epoca feudale e in regime repubblicano

Nel 1520 gli abitanti di Contessa disposero finalmente dei requisiti per poter accedere alla costituzione di una loro “Università”, ossia per avere riconosciuto lo status di comune autonomo.

Le colonie arbreshe stabilitesi in Sicilia, delle quali disponiamo i ‘Capitoli’, ossia che sono state costituite in comuni feudali, sono sette e cioè: Palazzo Adriano, Biancavilla, Piana dei Greci, Mezzojuso, San Michele di Ganzeria, Santa Cristina e Contessa.

Le approvazioni dei signori feudali ed ecclesiastici dei nuovi capitoli, concessi alle colonie greco-albanesi, avvennero nel 1482, 1501, 1507 e 1553 per Palazzo Adriano, nel 1488 per Biancavilla e Piana dei Greci, nel 1501 per Mezzojuso, nel 1534 per San Michele di Ganzeria, nel 1691 per Santa Cristina e nel 1520 per Contessa.
A sottoscrivere la concessione dei capitoli, per quanto riguarda Contessa, fu il conte Alfonso Cardona, che nel 1518 aveva ottenuto l’investitura baronale su Chiusa, Burgio e Calatamauro. Due anni dopo l’istituzione dell’Università il conte Alfonso ottenne dal Vicere la concessione del mero e misto impero sull’intero territorio di Contessa, territorio ricavato dalla precedente baronia di Calatamauro.
Dai Capitoli, di cui disponiamo le riproduzioni fatte stampare nel tempo dal Comune, conosciamo i nomi delle persone che in rappresentanza della comunità convennero e ottennero l’istituzione dell’Università: Palumbo Ermi, Luca Carnesi, Paolo Zamandà e Giorgio Carnesi. Con molta probabilità di non sbagliare possiamo affermare che la prima corte giuratoria (cioè i primi amministratori comunali, in numero di quattro) del neo costituito comune furono proprio loro. La massima autorità locale tuttavia restava Don Alfonso, o in sua assenza il governatore. E nelle mani di Don Alfonso i neo amministratori, in ginocchio, dovettero giurare di esercitare i propri compiti “secondo il servizio di Dio, del re, del padrone dello stato e del pubblico”.

Formula molto diversa da quella che gli odierni amministratori comunali pronunciano, non in ginocchio, bensì in piedi “Giuro di osservare lealmente la Costituzione italiana e di adempiere le mie funzioni con scrupolo e coscienza nell’interesse del Comune in armonia agli interessi della Repubblica e della Regione”.

Non si pensi che i quattro giurati amministrassero gran chè. Venivano scelti solo se graditi all'amministrazione della sacrezia, ossia se di fiducia del barone, e operavano sotto il rigido controllo di essa 'secrezia' che in ogni questione dettava quelle che affermava fossero le istruzioni del conte (cfr. post del 18-10-2009).

Il "contessioto" e una base più ampia di collaboratori per una migliore 'confezione' dei contenuti

Con quasi 900 utenti unici ogni mese (e oltre 1700 pagine viste) il blog “contessioto”, nella modestia della misura, è diventato in cinque mesi di attività punto di riferimento per l’informazione locale.
Il gruppetto di collaboratori si occupa dell’aggiornamento, in tempo più o meno reale, delle notizie e degli approfondimenti, che finora hanno assunto il taglio storico-culturale.
Il blog, è evidente, necessita di miglioramenti e di vari accorgimenti. Finora è stato pensato e organizzato in modo da soddisfare le esigenze di sottolineatura e rivalutazione della realtà etnico-religiosa-linguistica locale, tuttavia Contessa Entellina non è tutta lì. C’è una realtà sociale ed economica che aspetta di essere raccontata, studiata e finalmente interpretata per le opportune azioni.

Da qui la volontà di coinvolgere una pluralità di interlocutori con interessi i più vari.
Il blog per il 65% ha lettori esterni alla provincia di Palermo, probabilmente emigrati di seconda e terza generazione provenienti da Contessa. Da questo dato bisogna partire per ridefinire la strategia del sito web, il quale chiaramente non pretende di fornire una completa informazione locale, però si prefige di prendere spunto da avvenimenti locali per condurre tutte le discussione su piani più elevati e più densi che la sola diatriba locale. Questa è infatti la direzione che si è voluta finora perseguire con la pubblicazione di documenti a sfondo legislativo quali sono i commenti alla Costituzione Repubblicana, mezzi -riteniamo noi- appropriati per vivere il sapore della “legalità” nella vita di ogni giorno.

Quali sono, quindi, i nuovi obiettivi che vorremo perseguire ?

Ci serve una informazione sui fatti ed una interpretazione dei fatti che sia nello stesso tempo integrata su una linea di crescita culturale, economica e sociale e nello stesso tempo sia diversificata col recepimento di punti di vista “altri”.
Nel contesto che abbiamo riportato qui sopra, tutti possiamo scoprire l’utilità di relazionarci con chi la pensa diversamente e la bontà dei mezzi tecnologici, internet in questo caso, di cui possiamo oggi avvalerci.
L’invito non è rivolto, ovviamente, ai soli “contessioti” residenti a Contessa Entellina, di cui evitiamo di fare elenchi per non incorrere in dimenticanze, ma anche ai tanti “contessioti” che ci seguono con costanza dal Nord Italia, dalla Svizzera, dalla Germania, dal Canadà, dalla California e dalla Louisiana, etc.
E’ rivolto ai tanti che contessioti non sono mai stati ma che col nostro mondo ‘particolare’ si sono qualche volta imbattuti e pertanto hanno qualcosa da poter dire.
L’invito è pure rivolto, ovviamente e soprattutto, agli amministratori locali, che non abbiamo mai esitato, da questo blog, a criticare quando non abbiamo apprezzato i comportamenti amministrativi. Essi possono, se lo vogliono, illustrare, chiarire e proiettare nel tempo tutte le iniziative che ritengono utili al paese e soprattutto possono motivare tutti quegli atti di cui spesso, a noi osservatori, sfugge il senso. Ci sfugge il senso, per esempio, che in un sito web (facebook) ove sono evidenziati tutti i canoni dell'ufficialità (Comune Di Contessa Entellina + stemma) si proponga, a chi ritiene di trovarsi in un asettico ambiente idoneo per tutti indipendentemente dall'appartenenza, il link di accesso di un uomo politico di parte (destra). Le istituzioni, quale il Comune, non vanno usate per fini di parte. Su questo condurremo, fino a quando non avverrà la dovuta rimozione, le nostre denunce appropriate.

In buona sostanza, per tornare al "contessioto", riteniamo che la “verità”, quella con la ‘v’ minuscola, abbia tante facce, motivo per cui esplorandone più di una avvremo maggiori possibilità di avvicinarci ad essa.
Il Contessioto

martedì 26 gennaio 2010

Quanto siamo caduti in basso ! La denominazione del Comune e lo stemma per fare propaganda a Miccichè su facebook.

STATUTO DEL COMUNE DI CONTESSA ENTELLINA
Art. 14

Stemma e gonfalone
Lo stemma del Comune è rappresentato da: aquila bicipite con teste coronate, cavalcata da figura femminile nuda, anch'essa coronata, che stringe nelle mani due aspidi; l'aquila reca uno scudo coronato in petto, contenente una colonna sormontata da una corona, e regge con gli artigli un nastro con la scritta "Contessa Entellina".
Insegna del Comune nelle cerimonie ufficiali è il gonfalone nella foggia autorizzata con lo stemma come sopra descritto.

Detta insegna deve essere sempre accompagnata dal sindaco o da un assessore delegato e scortata dai vigili urbani del Comune.
L'uso e la riproduzione di tali simboli per fini non istituzionali sono vietati.

Il venerdì pomeriggio nei locali della Camera del Lavoro chiarimenti sui ricorsi alla cartella Tarsu 2008

La Camera del Lavoro assisterà, congiuntamente alla FederConsumatori regionale, i contribuenti che intentano presentare ricorso alla Cartella esattoriale Tarsu 2008.

Sono state già raccolte alcune decine di cartelle dai contribuenti perchè ne sia curato il relativo ricorso.

Chiunque sia interessato può rivolgersi per informazioni ai componenti il direttivo della locale Camera del Lavoro e ai componenti il comitato cittadino contro il CaroTarsu.

Chi ha comprato il Comune ed i suoi simboli ?

Un soggetto che opera sulla piattaforma facebook ed usa la dizione "Comune Di Contessa Entellina" e ne usa lo stemma può inserire nei propri link "ForzaMiccichè" ?

A scuola ci hanno insegnato che la cosa pubblica (il Comune, lo stemma, la repubblica, la Costituzione, il Tricolore) sono di tutti e non si può farne uso di parte. I simboli delle istituzioni non possono essere usati per dividere la comunità, bensì per unirla.
Se il sito "ForzaMiccichè" è, secondo la persona che lo gestisce, interessante per Contessa Entellina, tenga presente che per altre persone sono importanti i siti "Di Pietro", "Grillo", "CiccoPeppe" e mille altri.

Non esiste allo stato una legge che autorizzi nessuno ad appropriarsi, per fini di parte, delle cose che come la denominazione del Comune, ed il suo stemma sono di tutti.

Il Contessioto

lunedì 25 gennaio 2010

Storia del territorio: mulini e mulinara -

Girare, conoscere il territorio su cui si vive, è quanto di più interessante si possa immaginare. Girando per i 13.000 ettari di territorio comunale si percepisce l’antica vivacità della vita contadina (scomparsa da oltre un quarantennio), si scopre la percezione di un territorio che ancora, malgrado i guasti di una pseudo modernità disordinata ed incontrollata, manifesta la sua bellezza paesaggistica e in alcuni tratti la fervente fertilità.
Nel passato i contadini curavano la terra, oggi noi dalla terra esigiamo prodotti per la vita “urbanizzata”.

Il nostro territorio è attraversato e lambito da corsi d’acqua un tempo ben più ricchi sia di acqua che di vita. Degli antichi sistemi molitori abbiamo perso ogni memoria e qualche volta percepiamo attraversi ruderi, più o meno consistenti, la traccia di realtà produttive antiche. Lo stesso recupero del mulino Bagnitelle non ha sortito, invece, nella coscienza comunitaria locale alcuna ricaduta, né culturale, né turistica né, purtroppo, didattico-formativa.
Non intendiamo esplorare il passato quale espressione di desiderio, che alcuni invece coltivano come romantica attitudine, lo facciamo perché la possibile conoscenza del passato ci aiuta a conoscere noi stessi così come siamo oggi. “Studio la Storia per rispondere ai perché di oggi” scriveva Indro Montanelli.
La tutela del patrimonio storico si attua sicuramente attraverso la tutela vera e propria, ma anche con la divulgazione storica.

Un tempo l’acqua non era soltanto indispensabile risorsa per uomini, bestie e piante, ma fonte di energia rinnovabile e non inquinante in grado di sostenere varie attività, fra cui la molitura del grano.

L’acqua è stata forza motrice per far funzionare i primi insediamenti industriali, ossia i mulini di cui le prime indicazioni ci giungono dall’XI secolo.
Uno storico siciliano, per dare il senso dell’importanza dei mulini nella vita dello scorso millennio scrive “Si può dire che come il grano è il protagonista della vita economica siciliana, l’imposta sulla macina lo è per quella finanziaria”. Si, in effetti la finanza pubblica locale ed in seguito anche erariale, l’imposizione tributaria indiretta, in Sicilia nasce proprio con i mulini e, sotto varie vesti, funzionerà fino agli anni della seconda guerra mondiale

Sotto i ruderi del mulino ad acqua di Alvano, sperduti e persi in un piccolo corso d’acqua che quando raggiunge il territorio di Contessa Entellina prende nome di Realbate, si possono intravedere, leggere e percepire tante cose. Ad esempio un lungo cammino, che attraversa un bel po’ di secoli, senza che siano mai intervenuti cambiamenti significativi di tecnologia, tecnica produttiva, ma soprattutto l’intrecciarsi di rapporti umani e materiali che hanno legato il soggetto baronale (l’Abazia di Santa Maria del Bosco) al pulullare di vita costituita da migliaia e migliaia di villani, terragieri, garzoni, maestranze, borgesi, notai e altri ancora.

Attorno ai mulini ruotava, passava, tutta la società dei secoli passati.
Ecco perché edifici, ruderi, ambienti, costituiscono, per chi vuole conoscere, testimoni della nostra storia.

Nella Sicilia Occidentale il mulino ad acqua iniziò la sua comparsa, almeno sui documenti ufficiali, a partire dal Gran Conte Ruggero, all’inizio del secondo millennio. Nelle zone prive di sufficienti risorse idriche, si continuò comunque fino alla fine dell’800 (XIX secolo) ad utilizzare i vecchi sistemi: mulini azionati dagli animali e in vari contesti dalle braccia umane.
I mulini ad acqua erano di due tipi, a ruota verticale e a ruota orizzontale. L’adozione di uno o l’altro tipo era legato alla portata del corso d’acqua. Sul territorio di Contessa, e nelle aree ad esso prossime (ci riferiamo ai mulini di Alvano, Tarucco e Vaccarizzotto in territorio di Bisacquino) data la non grande portata del sistema fluviale sorgevano soltanto mulini a ruota orizzontale, detti anche di tipo greco.
Generalmente i mulini sorgevano ad una discreta distanza dal corso dell’acqua per non interferire nell’ordinario scorrere delle acque e per evitare di andare in rovina durante le non infrequenti piene. Questo era il caso dei mulini Alvano, Vaccarizzotto e Bagnitelle.
Venivano pertanto eseguiti, per ovviare, dei canali che portavano l’acqua dal fiume al mulino; questa circostanza attenuava la forza motrice dell’acqua per far girare la ruota, cosicchè era inevitabile realizzare un “salto idraulico” –dislivello- per permettere all’acqua di acquistare la forza necessaria ad attivare la mola collegata alla ruota.
Alla fine del canale si realizzava, pertanto, una condotta in pressione oppure (circostanza prevalente) una vasca (‘buti’ in arbrëschë ) che serviva da riserva idrica e polmone di compensazione.

Il luogo su cui sorgeva il mulino doveva rispondere a particolari requisiti, il salto geometrico, la possibilità che potesse essere realizzato il canale di derivazione e, ovviamente, il possesso del diritto giuridico di poter disporre a proprio piacimento del corso d’acqua e del terreno su cui edificare l’impianto. Questi requisiti sino a fine Settecento erano nell’esclusiva possibilità dei baroni, laici o ecclesiastici; macinare il grano era monopolio legale dei baroni, che ovviamente ne affidavano la conduzione ai mugnai, con contratti di vario tipo, dall'affitto all'enfiteusi.

La ricostruzione storica di ciascun mulino passa, oggi, anche attraverso il carteggio delle infinite controversie giudiziarie che vedono, per quanto riguarda le nostre zone, i Cardona intentare azioni giudiziarie ora ai monasteri ed ora alle “Università” (=comuni) estranee alla loro giurisdizioni; motivi del contendere erano le “prese d’acqua” di quei mulini, esterni alla propria baronia, che sottraevano acqua agli opifici baronali.

Non mancano i ricorsi davanti al Real Patrimonio che esigeva il “diritto di salto” dell’acqua: un tributo annuo che si versava alle casse regie per l’impianto e l’esercizio del mulino. Nel 1820, dopo un censimento di tutti i mulini ad acqua in esercizio dal 1787, su un totale esistente in Sicilia di 58, solamente 10 erano in regola col “diritto di salto”.
Normalmente l’acqua in uscita da un mulino azionava quello successivo e così accadeva nell’ordine per i mulini di Vaccarizzotto, Alvano, Tarucco ma anche per i mulini di Bagnitelle. La disposizione, a volte, determinava il nome dei mulini: mulino soprano, o di susu o di sopra, mulino di mezzo o di immezzu, mulino di sotto o di iusu.
Per arrivare ai mulini si realizzavano nuove strade. Se questi come spesso accadeva, erano lontani dai centri abitati la rete viaria veniva adattata, realizzando nuovi percorsi e nuove direttrici di sviluppo; nei mulini, indipendentemente dalla funzione molitoria, si sostava, si trascorreva la notte, per proseguire quindi i lunghi viaggi.

I contratti per realizzare le strade di penetrazione verso i mulini prevedevano:
-selciato largo almeno una canna,
-realizzato a schina di pesce,
-il laterale del giacato nella catena deve essere profondo un palmo, alto un palmo,
-il giacato deve essere stipato di mazzacani,
-il giacato deve ammassarisi di arena rossa che sia once quattro.

Come tutte le maestranze medievali e del periodo baronale quella dei mugnai era generalmente una corporazione a base familiare; sul territorio di Contessa, e in vari periodi anche dei paesi limitrofi, la gestione è stata per lungo tempo, già dal ‘400, della famiglia patriarcale dei Clesi. Il monastero di Santa Maria del Bosco, in base alle proprie regole interne, era tenuto a bandire periodicamente l’appalto per la gestione dei suoi mulini fra tutti gli operatori presenti a Giuliana, Bisacquino e Contessa Entellina. Soltanto dall’Ottocento in poi è venuto meno il monopolio baronale sui mulini ed il mercato dei mulini è divenuto pertanto libero; soltanto da allora un gran numero di mulini della zona diventeranno proprietà dei Clesi (mulinara), i quali continueranno a gestirne altri in affitto.

Il ruolo dei mugnai di agenti incaricati della riscossione dell’imposta sul macinato fino alla prima metà del Novecento non è venuto meno. Ma questa è un’altra storia.

domenica 24 gennaio 2010

Una messa in rito bizantino nella splendida Cappella Palatina

Il 17 gennaio presso la cappella Palatina, alla presenza di S.A. Reale BEATRICE DI BORBONE è stata celebrata una liturgia in rito Greco-Bizantino, presieduta da Papas GIGI Lucino e la partecipazione del diacono Paolo Gionffriddo in memoria di Ferdinando II per il suo 200.mo anniversario della sua nascita.  Ferdinando II, nipote di Ferdinando IV e figlio di Francesco I e Maria Isabella di Borbone, infatti  nacque a Palermo il 12 gennaio 1810.
L'evento ci viene segnalato da un nostro amico, Teodoro Schirò, che  accompagna la circostanza con le numerose foto che pubblichiamo.

La storiografia più recente ha rivalutato il ruolo dei Borboni, che dai libri di scuola abbiamo invece imparato a demonizzare.
Per quanto riguarda il ruolo della Sicilia, fin dall'inizio il dominio dei Borboni ne eclissò, in un certo senso, l'antica dignità di regno autonomo che essa aveva saputo conquistare nel tempo, riducendo l'isola ad una quasi anonima provincia del napoletano. In questo contesto dilagò un vivo risentimento popolare nei confronti dei viceré, anche quando uno di loro, Domenico Caracciolo, (1781-1786) operò riforme importanti come l'abolizione dell'Inquisizione e la drastica riduzione dei poteri baronali.
Soltanto sotto Ferdinando IV i nobili siciliani ottenerò, nel 1812, anche per le pressioni della Gran Bretagna, sotto la cui protezione si era posto il re durante le guerre napoleoniche, una costituzione che rafforzava il loro potere ampliando alcuni privilegi; quando però a Ferdinando IV fu concesso di rientrare a Napoli con la Restaurazione, questa costituzione fu annullata e il re fondò il regno delle Due Sicilie (1816) con il titolo di Ferdinando I.
Oggi comunque nessuno storico ritiene che il Meridione d'Italia borbonico fosse più arretrato rispetto ad altri paesi europei, anzi in alcuni comparti manifatturieri il regno borbonico primeggiava. E' con l'Unità che la politica del regno dei Savoia optò per l'industrializzazione accellerata di una parte del paese, il Nord, a discapito di un'altra, il Meridione, divenuto territorio colonizzato dai piemontesi.  Ma su questi temi si dibatterà nelle prossime settimane quando in Italia inizieranno le celebrazioni del 150° dell'Unità.

La celebrazione in rito greco-bizantino ha una sua spiegazione, oltre che per il particolare legame esistente fra l'Ordine dei Cavalieri di Malta ed il rito bizantino, probabilmente anche nella circostanza che nell'esercito borbonico operarono sempre, fino al crollo del regno, i famosi 1° e 2° reggimento macedone (o illirico), nelle cui file venivano arruolati albanesi, macedoni, greci e non pochi italo albanesi.

L'emigrazione ha ripreso vigore. I nostri politici fingono di litigare per conservare i privilegi di casta

L'esodo dal Mezzogiorno non si ferma, ma a cercare fortuna nelle regioni del centro nord non sono più ex braccianti e operai disoccupati, ma migliaia di giovani con un titolo di studio qualificato: tra il 2000 e il 2008, in particolare, oltre 120 mila laureati (l'1,2% dei residenti con tale titolo di studio) hanno abbandonato le regioni del Sud per emigrare in cerca di un'opportunità lavorativa.

"Il mezzogiorno diventa sempre meno capace di trattenere il proprio capitale umano, impoverendosi della dotazione di uno dei fattori chiave per la crescita socio-economica regionale". L'emigrazione dei "cervelli" può comportare, si legge in un documento della Banca d'Italia "un impoverimento di capitale umano che, a sua volta, potrebbe riflettersi nella persistenza dei differenziali territoriali in termini di produttività, competitività e, in ultima analisi, di crescita economica". In un simile contesto l'intervento dello Stato dovrebbe essere mirato ad eliminare le cause che ostacolano, in termini quantitativi e qualitativi, la crescita economica nel Mezzogiorno.

In un arco di tempo ampio - tra il 1990 e il 2008 - oltre due milioni e trecentomila di persone sono emigrate verso il centro-nord e l'emigrazione dal Sud (isole incluse) "ha ripreso vigore nella seconda metà degli anni Novanta, interrompendo un trend decrescente che durava dai primi anni Settanta; all'inizio del decennio in corso il deflusso si è nuovamente attenuato".

Negli ultimi anni, inoltre, è aumentato anche il cosiddetto "pendolarismo di lungo raggio", fenomeno che riguarda coloro che, pur mantenendo la residenza d'origine, vanno a lavorare in una località molto lontana dal proprio Comune nel quale riescono a tornare raramente nel corso dell'anno. Un dato del 2007 rivela, ad esempio, che al centro-nord lavoravano stabilmente circa 140mila persone residenti nel Mezzogiorno (pari al 2,3% degli occupati dell'area); spesso, secondo la ricerca, si tratta di giovani che non hanno ancora raggiunto la stabilità dal punto di vista familiare e occupazionale.

Quanto alle cause, l'emigrazione dal Sud continua ad essere alimentata dalle maggiori opportunità di lavoro esistenti nel Centro-Nord e dunque dalla persistenza, nel Mezzogiorno, di un disagio storico legato alla mancanza del lavoro ed al ritardo di sviluppo e crescita economica. Secondo lo studio di Bankitalia, all'inizio degli anni Duemila a rallentare i flussi migratori dal Sud contribuì il forte aumento dei prezzi delle case al centro-Nord. Ma anche il cambiamento del mercato del lavoro con il boom del precariato che certo non incentivava le persone, soprattutto i giovani, a spostare la residenza per seguire un lavoro a termine.

Infine, conclude lo studio, anche la crescita dell'immigrazione straniera ha contribuito a modificare le scelte migratorie degli italiani, favorendo "l'afflusso dei nativi laureati" e frenando "quello dei meno scolarizzati". In particolare, la concentrazione degli stranieri nel Centro-Nord avrebbe incontrato una domanda di lavoro che in passato veniva soddisfatta dai lavoratori del mezzogiorno".

Contessa Entellina, paese fondato da immigrati albanesi nel XV secolo, oggi è un paese semidisabitato perchè la sua gente vive in altri paesi dei cinque continenti. Il video testimonia di un centro per nulla affollato di gente.


Gli articoli 14 - 15 e 16 della Costituzione Repubblicana

GLI ARTICOLI 14 - 15 E 16 della Costituzione Repubblicana
di Lorenza Carlassare


La Costituzione non soltanto tutela la persona dagli arresti arbitrari e da ogni altro intervento limitativo, ma le assicura anche una sfera libera intorno: nei luoghi in cui dimora (art. 14), nelle relazioni con gli altri (art. 15), nei movimenti (art. 16).



L’art. 14 proclama “Il domicilio è inviolabile“, vietando “ispezioni perquisizioni o sequestri se non nei casi e modi previsti dalla legge secondo le garanzie prescritte per la libertà personale” . La garanzia è la stessa assicurata dall’art. 13 per la libertà personale: le limitazioni sono consentite soltanto se previste da un atto legislativo del Parlamento (e non da un atto normativo del governo) e disposte con atto motivato di un magistrato (non di un’autorità amministrativa o di polizia). Lo schema di tutela delle libertà è costante: “Riserva di legge” e “riserva di giurisdizione”; qui però subisce un’attenuazione in nome di un interesse pubblico preminente: “Gli accertamenti e le ispezioni per motivi di sanità e di incolumità pubblica, o a fini economici e fiscali sono regolati da leggi speciali” (comma 3). L’importante è che non se ne abusi a fini repressivi (penso alle norme che consentono perquisizioni per “blocchi” di edifici, davvero discutibili); l’art. 14 è in qualche modo un allargamento della libertà personale alla sfera più prossima alla persona, inviolabile al pari di questa. La tutela non riguarda solo l’abitazione, ma comprende i luoghi in cui la persona dimora o svolge la sua attività (purché chiusi e non aperti al pubblico). Lo studio professionale, ad esempio, la camera d’albergo, l’automobile o il mezzo di trasporto quando serve a scopi diversi dal trasporto stesso: la cabina del camion dove il camionista riposa, la barca per il navigatore (anche occasionale), il camper o l’autovettura per chi temporaneamente vi abita. Un concetto molto ampio, dunque, quello di domicilio, considerato la “proiezione spaziale” della persona: ricca e varia è la giurisprudenza in proposito.



L’art. 14 si colloca in una più ampia dimensione riguardante in generale la tutela da ingerenze esterne, il diritto alla “riservatezza”: da qualche tempo si è affermato il concetto di “domicilio informatico” e di “riservatezza informatica” (protetta art. 615 ter, Codice penale, introdotto nel 1993).



Ma la difesa della privacy ha un largo campo di applicazione e traversa situazioni tutelate da diverse norme costituzionali, in primo luogo dall’art. 15 “La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili”. Intorno alla persona si costruisce una rete di tutela che comprende la sfera spaziale e anche la sfera delle relazioni con gli altri. Di questa sfera si occupa l’art. 15, inviolabile anch’essa e nelle consuete forme tutelata: ma la garanzia, qui, è la più forte. Il comma 2 riprende la formula consueta – “La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge” – ribadendo la competenza della “legge” e la necessità dell’atto motivato di un giudice. Ma, a differenza di quanto stabilito per le altre libertà, la “riserva di giurisdizione” è invalicabile. Mai è consentita, nemmeno in situazioni eccezionali, la sostituzione provvisoria dell’autorità di pubblica sicurezza al giudice: solo il magistrato, e nessun altro, può interferire. L’art. 15 tutela non soltanto la libertà, ma anche la segretezza di ogni forma di comunicazione personale che, oltre al mittente, riguarda i destinatari della corrispondenza e, dunque la loro riservatezza è egualmente in gioco. Purché la forma sia davvero riservata (un telegramma, ad esempio, non lo è) la segretezza della corrispondenza, toccando la sfera personalissima e più intima della persona, non può dunque essere violata. Soltanto ragioni forti e inderogabili, collegate alla necessità di tutelare interessi costituzionalmente rilevanti come prevenire e reprimere i reati, possono legittimare restrizioni alla libertà di comunicazione. E il provvedimento del giudice deve avere una specifica e adeguata motivazione, diretta a dimostrare l’esistenza in concreto di esigenze istruttorie: varie sentenze della Corte costituzionale lo confermano. Rispettando la riserva di legge e la riserva di giurisdizione è possibile dunque il sequestro della corrispondenza, l’intercettazione di conversazioni o comunicazioni verbali, le intercettazioni telefoniche. Alcune norme relative a queste ultime hanno destato perplessità: ora comunque è intenzione del governo limitarne fortemente l’uso, con il rischio, in alcuni casi, di pregiudicare le indagini, soprattutto le più difficili e delicate.



Diritti e libertà, pur garantiti da articoli diversi della Costituzione sono legati fra loro e talvolta non è facile distinguerli nettamente: il fatto di avere dei destinatari, e dunque di essere diretti “a persone determinate”, distingue la libertà di comunicazione dell’art. 15 dalla libertà di manifestazione del pensiero garantita dall’art. 21, uno dei cardini della democrazia. Poiché la tutela è diversa (quella dell’art. 15 è la più forte), interessa molto distinguerle: eppure in alcuni casi, soprattutto riguardo a nuove forme di comunicazione in rete, non è sempre agevole. L’incertezza della linea di confine fra corrispondenza intersoggettiva (ad esempio le mailing list chiuse) e attività comunicativa di tipo diffusivo pone problemi nuovi che toccano la stessa normativa antitrust (per le esigenze legate al pluralismo comunicativo). Il processo di convergenza tecnologica determinerà nuovi incroci tra chi opera in settori distinti; la comunicazione democratica può essere maggiormente a rischio.

giovedì 21 gennaio 2010

La Camera del Lavoro consiglia ai contribuenti di impugnare con ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale le cartelle Tarsu 2008, da oggi in notifica

  Nella giornata di oggi l'esattoria ha iniziato a notificare la cartella relativa alla Tarsu 2008. Si tratta della tassa comunale sull'immondizia che sin dallo scorso anno la Camera del Lavoro e la Federconsumatori regionale hanno contestato al sindaco, dott. Sergio Parrino, perchè viziata da illegittimità.

   Nel gennaio 2009 si sono tenute due Assemblee Cittadine indette dalla Camera del Lavoro e dai consiglieri del gruppo di minoranza per spiegare le irregolarità rilevate in sede di riscontro sui primi "avvisi". Fu pure discussa una mozione in Consiglio Comunale con cui si invitava l'Amministrazione Comunale a rettificare le grossolane illegittimità in cui si era incorso; ma la maggioranza consiliare respinse ogni possibilità di ovviare agli errori.

   Per irregolarità in parte analoghe a quelle riscontrate a Contessa Entellina, il Comune di Palermo si è visto annullare dal Tar/Palermo la deliberazione di giunta Tarsu 2006, e adesso sta curando il rimborso a favore dei contribuenti.

   Per quanto attiene le cartelle che da oggi stanno per essere notificate ai contribuenti di Contessa Entellina, la Camera del Lavoro consiglia di rivolgersi presso la propria sede di Via Cucci, ove con la consulenza della Federconsumatori, saranno entro i prossimi 60 giorni predisposti i ricorsi da presentare alla Commissione Tributaria Provinciale.

    Il Contessioto

Se dessimo uno sguardo ai problemi della nostra agricoltura

L’agricoltura siciliana è in crisi, quella di Contessa Entellina in coma profondo.

Il maltempo che ormai da mesi imperversa sull'isola ha soltanto acuito l’andamento di per sé drammatico. L’uomo da decenni è arrivato sulla luna, ma la nostra agricoltura, specialmente quella delle zone interne, non differisce nei metodi e nelle tecniche da quelli usati da Polifemo come descritti nella mitologia omerica.

Dalla cerealicultura, all’ortofrutta, alla zootecnia, è dato assistere all’arretratezza operativa, circostanza  questa penalizzante per poter reggere i costi di produzione sempre crescenti.

Da noi, a Contessa Entellina, pochi operatori hanno puntato a trarre beneficio dalle opportunità di una moderna vitivinicoltura (l'azienda Colletti col vino Entellano) o da una moderna attività casearia (azienda Pollichino), settori pure questi costretti, comunque, a muoversi in un mercato divenuto estremamente difficile e concorrenziale.

Le autonomie locali (i comuni) non hanno grandi competenze di intervento nel comparto agricolo però possono adoperarsi per definire un chiaro e deciso quadro della situazione esistente sui propri territori, individuando ovviamente strategie e provvedimenti e quant’altro serva da sottoporre al livello di governo regionale.

Paesi come Contessa Entellina, ancora lontanissimi dai traguardi offerti dall’economia di servizi devono, per parecchio tempo ancora, fondare la loro economia sull’agricoltura, ma sull’agricoltura diversa da quella che puntigliosamente ci descrive Omero.

Tante cose, lo sappiamo benissimo, non possono farsi senza risorse economiche e senza l’assistenza tecnica che il governo regionale dovrebbe garantire ma che in sessant’anni di autonomia non ha mai offerto perché il parassitismo è stata la bussola di sempre; però anche senza contare sul Potere che è sempre più lontano alcune cose si potrebbero fare.

Il video che proponiamo è destinato a chi ama la natura e le condizioni di vita lontane dalla società consumistica.


La questione agraria in Sicilia nella seconda metà dell'Ottocento

Essendo nostro intendimento in prosieguo di scandagliare il movimento dei fasci siciliani, con precipua attenzione a quanto accaduto a Contessa Entellina, ed essendo nostro intendimento di approfondire il volumetto curato da Nicolò Genovese sulla questione agraria in Sicilia, riteniamo utile, preliminarmente, pubblicare una interessante panoramica sulle condizioni sociali della Sicilia nella seconda metà dell'Ottocento curata da Salvatore Ierardi.
Il Contessioto

Dal 1875 all’85 la Sicilia fu oggetto di tre diverse inchieste: l’inchiesta parlamentare del ’75, relatore Bonfadini, l’inchiesta privata di Sonnino, Franchetti e Cavalieri, del ’76, e l’inchiesta Damiani dal ’77 all’ ’84.

Si trattò di tre differenti iniziative che, con motivazioni in parte diverse ed in parte simili, si proposero di far luce sulla realtà siciliana.

L’inchiesta Bonfadini nacque in quel clima confuso che precedette la caduta della Destra e che in Sicilia aveva già visto, nelle elezioni del ’74, la sconfitta del Governo.

La Sicilia contava allora 48.000 votanti ed essi, in quell’anno, avevano dato 44 dei 48 seggi siciliani a candidati dell’opposizione.

Come ha rilevato Mack Smith,3 il fatto stava ad indicare che il rapporto preferenziale tra Destra e forze politiche siciliane era incrinato.

Ciò portò ad un capovolgimento delle posizioni politiche del Governo e dell’Opposizione nei confronti della Sicilia.

Mentre, infatti, fino ad allora la Sinistra all’opposizione aveva insistentemente chiesto una commissione d’indagine che facesse luce su legami spesso torbidi tra politica e mafia, che erano stati denunciati dal Procuratore di Palermo Diego Tajani, ma il governo vi si era costantemente opposto, ora, cambiati i rapporti di forza a seguito delle vicende elettorali, fu il governo a farsi promotore di un’inchiesta parlamentare, mentre la Sinistra ne fu ben tiepida sostenitrice.
L’inchiesta nacque pertanto come un elemento tattico di una strategia politica molto più vasta, che vedeva Destra e Sinistra lottare per la conduzione politica della nazione.
Bonfadini e gli altri suoi 8 collaboratori,4 furono perciò costretti da una situazione politica generale, a dare al loro lavoro un taglio particolare che finì per limitarne l’importanza e scemarne gli effetti. Infatti è vero che il Governo intendeva servirsi dell’inchiesta per colpire i nuovi legami che la Sinistra aveva saputo allacciare con la classe dirigente siciliana, ma non era interesse del Governo condurre a fondo tale indagine, perché essa avrebbe potuto portare ad evidenziare che torbide collusioni politiche erano usuali in Sicilia ben prima della recente vittoria della Sinistra e che, prima di questa, era stata proprio la Destra governativa a farsene strumento di dominio.

D’altra parte, la Sinistra, fin da quando era stata esclusa dal potere, aveva avuto interesse a reclamare un’ampia inchiesta parlamentare, ma, dopo la recente vittoria, giovatasi essa stessa di quei congegni clientelari che prima aveva voluto colpire, non aveva più interesse in un’iniziativa politica che avrebbe potuto raggelare gli entusiasmi dei suoi recenti sostenitori. Si spiega così la reticenza del Crispi ed il contraddittorio comportamento della stampa a lui vicina.

A tutto ciò si aggiungano i limiti della visione politica che erano propri della Destra e della Sinistra e che escludevano a priori che l’inchiesta avesse potuto essere uno strumento per una eventuale alterazione dei rapporti di classe esistenti.

L’Opinione, giornale orientato a sinistra, a proposito dell’inchiesta, sosteneva, infatti, che peggio sarebbe stato se nelle plebi campagnole si fosse alimentata la speranza che l’inchiesta

fosse fatta per curare i loro mali, e La Perseveranza, giornale governativo, sosteneva analogamente che bisognava evitare di generare fallaci speranze.

La Commissione d’inchiesta, essendole, tra l’altro stato assegnato un lasso di tempo assolutamente inadeguato (un anno), a svolgere l’enorme massa di lavoro che le reali necessità conoscitive avrebbero comportato, fu costretta da tutta questa somma di fattori ad adottare una metodologia d’indagine alquanto sommaria ed a stendere sulla base delle risultanze, alcune conclusioni che, date le premesse, non potevano non risultare superficiali.

La Commissione si rivolse ai Prefetti, ai Sottoprefetti, ai Sindaci ed ai Pretori di vari centri della Sicilia e chiese ad essi un elenco delle persone rispettabili di tutti i ceti della cittadinanza e di tutti i partiti politici.
Ai nominativi segnalati la Commissione indirizzò un questionario circa le condizioni dell’ordine pubblico, dell’economia agricola, dei patti agrari, del benessere dei ceti rurali.

La relazione finale, stilata da Romualdo Bonfadini, tirò le somme delle risposte ai vari problemi posti dal questionario.

Nella polemica che si accese, subito dopo la pubblicazione degli atti, tra i sostenitori della commissione parlamentare e quelli di Sonnino e Franchetti, le risposte ai questionari dell’inchiesta parlamentare furono diverse volte accusate di falsità.

Certamente è possibile individuare delle discordanze tra le risposte fornite ed i dati emergenti dalle statistiche ufficiali o da altre fonti governative, ma, la storiografia che si è occupata di questa inchiesta, ha ormai sancito che la contraddittorietà e la superficialità dei risultati dipese non tanto dalle intenzioni mistificatorie degli intervistati o dei commissari, quanto dai condizionamenti cui erano sottoposti.

A contribuire all’inchiesta furono infatti gli stessi rappresentanti delle classi dirigenti, i quali, per forza di cose, in buona fede, dovevano guardare alle vicende politiche ed alla situazione economico-sociale, dal loro punto di vista e secondo l’ottica dei loro interessi.

La Commissione escluse l’esistenza di una questione sociale in Sicilia, e fece notare che la situazione economica delle classi agricole siciliane non fosse né migliore né peggiore di quella dei contadini delle altre regioni d’Italia; conseguenza di questa esclusione fu l’altra, circa l’esistenza dei rapporti tra criminalità e condizioni sociali.

Di mafia, nell’inchiesta, non si parlò affatto, e tutti i fenomeni di criminalità erano ascritti ad individuali inclinazioni a delinquere. Il Sindaco di Corleone sostenne che non c’era alcun problema di impiego per chi avesse realmente voglia di lavorare, e Salvatore Mirone, un corrispondente da Catania, aggiunse che i contadini stavano bene e che erano i proprietari a star male. Il barone Beneventano, da Augusta, spiegò che la miseria dei contadini era dovuta alla mancanza di abitudine al risparmio, che portava i villani a dissipare in gozzoviglie tutto il loro guadagno.

Il malandrinaggio veniva presentato come un fatto limitato alle classi subalterne ed effetto della degenerazione morale. La delegazione di Biancavilla (Catania), formata da Sindaco, Pretore e Consiglieri Comunali, sostenne che i reati erano effetto di immoralità e non di bisogno.

In quegli anni si stava sviluppando una vigorosa campagna di stampa per denunciare le terribili condizioni di vita dei carusi nelle miniere siciliane.

Alcuni giornali stranieri accusarono gli Italiani del Nord di disinteresse verso le province maridionali7 ma, nella relazione finale, Bonfadini escluse la possibilità di provvedimenti per rendere più umano il lavoro dei carusi. Egli sostenne8 che si era davanti ad una questione in cui purtroppo vi era lotta tra il sentimento pietoso e la ragione dei numeri e sosteneva che all’industria solfifera sarebbe venuto un gran danno dalla proibizione di adibire i fanciulli ai lavori più pesanti.

L’Inchiesta rivelava un certo astio della classe dirigente nei confronti della coscrizione obbligatoria, ma le motivazioni erano ben diverse da quelle dei ceti popolari.

I contadini, infatti, si opponevano alla leva militare per poter continuare a lavorare ed a mantenere le loro famiglie, il ceto dirigente vi si opponeva, invece, perché, come sostennero alla Commissione il Sindaco di Marineo ed il barone Bordonaro di Cefalù, l’esperienza di diverse condizioni di vita rendeva i reduci recalcitranti alla fatica tradizionale: era vero che i contadini tornavano civilizzati dal servizio militare, ma la loro moralità ne soffriva.

Essendo queste le premesse ideologiche, è chiaro che la Commissione non poteva assolutamente far carico all’azione del Governo della situazione siciliana che, d’altra parte, ci si rifiutava di considerare nella sua gravità.

Per il futuro si auspicava semplicemente un’opera amministrativa più alacre e la diffusione delle strade ferrate e delle vie di comunicazione in genere.

Bonfadini9 si rendeva conto che l’esigenza politica gli imponeva di smorzare gli aspetti più crudi della situazione e attenuò la portata di talune pur limitate affermazioni, riducendo tutto ad un problema amministrativo. Egli si impegnò pure in una diretta polemica con Sonnino e Franchetti e, insieme all’economista Corleo, sostenne che i due giovani autori avevano generalizzato alcune situazioni particolari e sovrapposto i loro convincimenti alla realtà dei fatti.

L’unico risultato concreto dell’inchiesta fu un viaggio in Sicilia del Ministro dei Lavori Pubblici Zanardelli, durante il quale questi auspicò una rapida soluzione del problema della viabilità.

Per il resto la relazione Bonfadini, lodata dai diversi settori parlamentari, non sortì alcun pratico effetto; del resto essa non era stata voluta con alcun serio intento riformatore.

Passato il momento politico che ne aveva determinato l’istituzione, la Commissione proseguì i lavori nella più generale indifferenza e, quando giunse il momento di discutere il rapporto Bonfadini, la Camera dei Deputati era quasi vuota.

Il conservatore Luzzatti, favorevole ad una riforma agraria, si vide schierata contro tutta la Sinistra e, prima di ogni altro, il Ministro dell’agricoltura del nuovo Ministero De Pretis, il Barone Majorana, latifondista e banchiere di Catania, il cui collegio elettorale era il suo feudo di Militello.

Attraverso uomini come lui, la Sinistra si rendeva garante della stabilità sociale in Sicilia ed in questo senso i lavori della Commissione d’inchiesta più che un elemento di disturbo costituivano una documentazione di sostegno.
Contemporaneamente all’inchiesta Bonfadini si svolse in Sicilia quella di Sonnino e Franchetti.

Sidney Sonnino, Leopoldo Franchetti ed Enea Cavalieri erano, nel 1876, tre giovani laureati dell’Università di Pisa rispettivamente di 27, 29, e 28 anni. Appartenevano tutti e tre al ceto dirigente, ma il loro intento nell’affrontare la questione siciliana era ben diverso da quello che muoveva la Commissione d’inchiesta parlamentare.

Nelle vicissitudini agitate del ’74 e del ’75 in Sicilia (sconfitta elettorale della Destra, denuncia di Tajani, proposta governativa di una legge speciale che sospendesse nell’Isola le garanzie costituzionali), i tre giovani videro ciò che la Commissione parlamentare non poteva e non voleva vedere, cioè il riflesso di una questione sociale di eccezionale gravità.

Animati di buona volontà e già intenzionati a studiare le caratteristiche di una regione d’Italia per farne oggetto di una ricerca sui contratti agrari, essi accantonarono l’idea di un’inchiesta sulla Romagna e si disposero a studiare la realtà siciliana.

Pochi anni dopo Livingstone e contemporaneamente a Stanley, essi si disposero ad un viaggio in Sicilia con lo stesso spirito di avventura con il quale i due celebri esploratori avevano affrontato le foreste africane.

Comprarono quattro rivoltelle di grosso calibro, una per ciascuna di loro ed una per un servitore che li accompagnò in Sicilia, e quattro carabine “Vetterli” del recentissimo modello a ripetizione; si fornirono di letti da campo, di tende e di quattro vaschette di rame nelle quali, riempitele d’acqua, avrebbero tuffato i piedi del letto prima di coricarsi, per isolarlo dagli insetti, e si disposero al viaggio.

Partirono nei primi del ’76, attraversarono la Sicilia in lungo ed in largo, arrampicandosi su erte mulattiere ed addentrandosi in valloncelli solitari acconci agli agguati. Si diressero ad una quarantina di persone sparse in tutta l’Isola, per le quali erano forniti di lettere di presentazione. Viaggiavano con molte precauzioni, lasciando sapere il meno possibile il loro itinerario e le loro prossime tappe e scegliendo mulattiere e guide solo all’ultimo momento.

Durante i colloqui con le persone cui erano diretti e con quelle altre cui furono indirizzati dai loro primi conoscenti, non prendevano appunti ma affidavano tutto alla memoria e la sera, aiutandosi scambievolmente, redigevano una relazione. Tornati in continente all’inizio dell’estate, Enea Cavalieri non poté partecipare con gli altri due compagni al lavoro di rielaborazione degli appunti, perché si era impegnato a partire per un viaggio intorno al mondo.

Il lavoro fu perciò ripartito solo tra Sonnino e Franchetti i quali si occuparono rispettivamente delle condizioni dei contadini e di quelle politiche ed amministrative della Sicilia. I loro due libri videro la luce nel dicembre 1876, appena qualche mese dopo la pubblicazione della relazione Bonfadini.

I due giovani studiosi individuavano nella sopravvivenza del vecchio mondo semifeudale, antecedente l’Unificazione, la causa del malessere dell’Isola. L’anarchia delle classi dirigenti, le ribellioni contadine, le resistenze regionalistiche, il permanere ed il diffondersi dell’estremismo democratico, costituivano per i giovani ricercatori toscani gli elementi di spicco delle situazione siciliana: un mondo dove il dominio di un ceto agrario parassitario era l’ostacolo fondamentale all’espansione del sistema liberale.

Il governo nazionale, nei primi sedici anni di vita unitaria, aveva operato ora piegandosi al compromesso ora svolgendo una politica puramente repressiva, a seconda della natura e della tendenza delle forze che gli si opponevano.

Sonnino e Franchetti avevano l’ammirevole intento di indicare alla classe dirigente gli obiettivi concreti per consentire la rinascita del Sud. Essi si opponevano alle istanze regionalistiche perché non erano convinti che, lasciata a se stessa, la società siciliana avrebbe trovato da sola i mezzi per una rinascita economica e spirituale, e perché proprio nell’azione dello Stato unitario, da loro concepito come un’entità al di sopra ed al di fuori delle classi, individuavano l’elemento che avrebbe potuto scardinare un sistema economico superato.

Già Sidney Sonnino, pubblicando nel 1874 la sua monografia sulla mezzeria in Toscana, aveva indicato nella mezzadria il sistema economico che avrebbe potuto, nelle campagne, migliorare le condizioni economiche dei contadini e la resa dei prodotti agricoli, senza portare pregiudizio alla stabilità delle aziende ed alle rendite dei proprietari. Da Sonnino la mezzadria, in quanto veniva a cointeressare i contadini nella conduzione dell’azienda, era individuata come il sistema per opporsi alle utopie socialiste e comuniste, favorendo il progresso, migliorando sistemi di coltivazioni e garantendo la stabilità sociale. Si trattava di una risorsa propria del sistema liberale borghese che intendeva risolvere così, in modo indolore, la questione sociale che i democratici ed i socialisti denunciavano e che era soprattutto una questione agraria.

Franchetti e Cavalieri condividevano pienamente le idee di Sonnino ed uno dei loro motivi di più forte denuncia in Sicilia riguardava proprio i patti agrari che nell’isola vedevano una scarsa presenza della mezzadria o alterazioni così forti di essa che ne modificavano profondamente i connotati e ne scemavano gli effetti.
Sonnino denunciò senza mezzi termini le condizioni dei contadini, la struttura piramidale della conduzione dei feudi, la scarsità dei salari, la forte incidenza della disoccupazione. Egli descrisse il mercato del lavoro, prima dell’alba, sulle piazze delle città, le emigrazioni stagionali, le case dei contadini composte di una sola stanza terrena, senza impiantito, con una sola porta, e nella quale il contadino viveva con tutta la famiglia, l’asino, mulo, i foraggi e le provviste e per la quale, se non era sua, doveva pagare un canone annuo da 25 a 60 lire su un salario che per circa 200 giorni all’anno era di 0,60 o 0,85 lire giornaliere.

Descrisse ancora i gravami di origine feudale che schiacciavano i contadini: i soccorsi, gli obblighi di lavoro e di trasporto gratis, i prezzi imposti.

In Sicilia non era assente la mezzadria, ma essa finiva quasi per confondersi con l’affitto e non era meno gravosa per i contadini. Tutte le spese di conduzione erano a carico di questi ed il campiere padronale fissava anche i minimi dettagli delle opere. Terminata la trebbiatura su circa 20 salme di frumento al coltivatore ne toccavano tre o quattro ed in massima parte di qualità inferiore, ossia di solame misto a terra. Anche i contratti a miglioria vedevano l’esclusione dei contadini dai proventi della terra. I contadini siciliani vennero descritti impietosamente nelle loro ignoranza e miseria.

La relazione di Sonnino era particolarmente dettagliata. La Sicilia veniva divisa in diverse zone: zona interna e meridionale, regione montana, zona alberata, e, per ogni zona, egli dava conto dei fondi, dei sistemi di coltivazione, delle censuazioni, delle colonie, dei diritti promiscui. L’analisi, poi, proseguiva sui caratteri economici dei contratti agricoli siciliani: la partecipazione del lavorante al prodotto, il fitto, il salario.

Sonnino intervenne sulla questione delle alienazioni dei beni demaniali ed ecclesiastici e sostenne che le quotizzazioni, a causa della camorra nelle aste, del regime fiscale e delle condizioni generali, non avevano determinato un ceto di nuovi proprietari. Dei proprietari egli stigmatizzò l’azione, condannandone l’assenteismo e la poca sensibilità ai progressi dell’agricoltura, o nei confronti delle migliorie che si sarebbero potute ottenere con il regolamento delle acque e l’uso delle macchine.

Sul lavoro dei fanciulli nelle zolfare scrisse pagine terribili e sostenne, in opposizione ai criteri di puro economicismo condivisi dalla relazione Bonfadini, l’inammissibilità di condizioni del genere.

L’analisi del Franchetti partiva, invece, dalle condizioni della sicurezza pubblica e distingueva acutamente tra delinquenza comune e delinquenza organizzata. Fissava la sua attenzione su quest’ultima e ne denunciava i legami con il ceto baronale o dei grandi proprietari e gabelloti che se ne servivano come strumento del proprio dominio.

Franchetti sostenne che, in Sicilia, contrariamente a quanto era lecito in altre regioni d’Italia, la classe dominante non poteva essere considerata quale interprete dei bisogni dell’intera popolazione e che, nelle condizioni attuali, era impossibile al governo conoscere i veri bisogni della regione.

Egli sostenne che l’opinione pubblica siciliana non poteva in nessun caso servire da guida al governo italiano, perché la stampa era asservita ad interessi troppo particolari e che, se lo Stato voleva rimediare ai mali della Sicilia, per governarla, doveva avvalersi di elementi estranei all’isola.

Il primo obiettivo avrebbe dovuto essere l’attuazione dello Stato di diritto: il governo avrebbe inoltre dovuto rivedere il regime fiscale dell'isola ed impegnare grandi risorse finanziarie per migliorarne le condizioni materiali.

La repressione dei disordini rendeva possibile il miglioramento dell’ordine pubblico, ma da sola non avrebbe potuto garantirlo a lungo.

L’inchiesta di Sonnino e Franchetti, insieme alle Lettere Meridionali del Villari segnarono l’inizio della pubblicistica meridionalista postunitaria, e, al di là delle specifiche argomentazioni che potevano essere, e furono, alacremente controbattute, ebbe un valore documentario dal quale i politici, in seguito, non poterono prescindere.

• * * *

La prima proposta di quella che sarebbe stata l’inchiesta Jacini è legata al nome di Marco Minghetti ed è antecedente sia all’inchiesta Bonfadini che a quella di Sonnino e Franchetti.

Nel 1869, infatti, Marco Minghetti, ministro dell’agricoltura, nel seno del Consiglio di Agricoltura costituito l’anno precedente, lanciò l’idea di un’inchiesta sulle condizioni della produzione e dei produttori agricoli.

L’idea fu portata avanti da una commissione interna al Consiglio formata da Gattoni, Cantoni, ed Emilio Morpurgo.

Questa proposta si riferiva alle condizioni economiche della produzione agraria e degli agricoltori e non faceva accenno ai problemi dei contadini e dei lavoratori della terra.

Come fu ben messo in luce dal Caracciolo, l’ordine di idee dal quale si partiva non riguardava problematiche sociali, ma economico - politiche.

Gli anni settanta videro una costante polemica tra i sostenitori e gli oppositori del Ministero dell’Agricoltura. Al solito si trattava di una questione più politica che tecnica ed i diversi avvisi stavano ad indicare due differenti orientamenti tra coloro che assegnavano allo Stato un ruolo importante di coordinamento e di promozione nei fatti economici ed i sostenitori di una concezione tutta privatistica dell’economia.

L’istituzione del Ministero dell’Agricoltura, da parte del Cavour, nel 1860, aveva segnato la vittoria delle concezioni interventiste, l’abolizione del Ministero, nel 1877, segnò, al contrario, la vittoria degli astensionisti.

L’idea di un’inchiesta è legata ai progetti degli interventisti i quali intendevano fondare l’azione dello Stato su una base conoscitiva ben salda della realtà economica.

Nel ’68 si era svolta una fase particolarmente vivace del dibattito tra abolizionisti e conservatori del Ministero. Questi ultimi erano riusciti a fare approvare un ordine del giorno favorevole al mantenimento del Ministero ed il deputato Nervo auspicò l’allargamento delle sue competenze e l’inizio di un’inchiesta amministrativa sulle condizioni della produzione nazionale, agraria e manifatturiera.

Gli industriali ed i gruppi interessati alle manifatture ed ai commerci premevano per una propria inchiesta con il preciso scopo di arrivare ad interventi politici in loro favore.

Anche la possidenza agraria si mosse, quindi, a chiedere più cose al Governo ed il primo congresso degli agricoltori italiani tenutosi a Pistoia nel settembre 1870, si pronunciò a favore dell’inchiesta e chiese che vi si inserissero taluni quesiti particolari di carattere agronomico. Nel ’72 una sessantina di comizi agrari si pronunciarono in modo analogo.

Era diffusa, infatti, l’esigenza di possedere statistiche ed informazioni aggiornate sull’estensione delle diverse coltivazioni, sull’entità dei prodotti, sul movimento dei mercati, sulle differenti applicazioni della tecnica, sui passaggi di proprietà, sull’entità dei capitali impiegati, sul movimento dei braccianti, sui sistemi di coltivazioni, sulle bonifiche, onde potere, su queste basi, delineare il progetto di una politica agraria di un certo respiro.

Così, tra il ’69 ed il ’70, parallelamente all’inchiesta industriale, si andava preparando con il pieno appoggio degli interessati, un’inchiesta agraria con l’obiettivo di fare il punto sulla situazione e di definire i problemi e le esigenze di un’importante categoria economica.
L’iniziativa sarebbe sicuramente andata in porto speditamente se ad essa non si fosse affiancata, da parte della Sinistra, una seconda proposta d’inchiesta.

Nel ’69 c’erano stati alcuni tumulti contadini contro la tassa sul macinato e sebbene le agitazioni fossero state soffocate, tuttavia avevano lasciato rancori ed amarezze, mentre l’Estrema, l’ala più oltranzista della Sinistra, proclamava che non si poteva più ignorare l’esistenza di una questione sociale.

Nel 1870, appunto, la richiesta che si affiancò a quella di Morpurgo, Minghetti e Nervo, fu quella di un’inchiesta sulle classi operaie in Italia. Si costituì anche una commissione, Guerzoni relatore, che definì un piano dettagliato di quesiti a cominciare da quelli di carattere demografico fino a quelli circa le condizioni fisico - sanitarie, economiche, intellettuali e morali delle classi lavoratrici. Si sarebbe dovuto fare una mappa, regione per regione, onde evidenziare le condizioni delle abitazioni, gli alimenti, i salari, i contratti, gli scioperi, l’istruzione, l’abbigliamento, i costumi delle classi popolari.

La Sinistra sollecitò l’inchiesta sociale e, per iniziativa di Agostino Bertani, si raccolsero 50 firme di notissimi uomini dell’opposizione, dal Cairoli, al Crispi, al Nicotera, al Mussi per chiedere alla Camera che fosse deliberata un’inchiesta sulle condizioni attuali della classe agricola e principalmente dei lavoratori della terra in Italia.

Una proposta di legge in tal senso fu depositata alla Camera il 5 dicembre 1871.

Si era così davanti a due proposte d’inchiesta: una, di iniziativa governativa, di carattere spiccatamente economico, l’altra, di iniziativa dell’opposizione, a sfondo dichiaratamente sociale.

Fin dal primo momento governo e numerosi parlamentari si sforzarono di avvicinare le due iniziative. Il loro progetto era di neutralizzare la portata dell’inchiesta sociale, ma per far ciò non scelsero la via dell’opposizione frontale, quanto quella di un inglobamento indolore dell’inchiesta sociale nell’inchiesta economica.

Si sottolineava l’importanza di acquisire dati sulle condizioni delle classi lavoratrici, ma, dando per scontato che un miglioramento di queste poteva avvenire solo a seguito di un generale progresso economico, si premeva perché l’inchiesta sociale fosse inglobata nell’inchiesta sulle condizioni generali dell’agricoltura.

Il Lanza fu il principale sostenitore di questa linea. Egli tendeva a spostare la ricerca delle cause e dei rimedi per le condizioni dei lavoratori agricoli al di fuori dei conflitti sociali con il proprietario, nell’ambito di un problema generale di progresso e di ricchezza di tutta l’agricoltura.

Agostino Bertani, a nome della Sinistra, nel 1872, intervenne a rimandare ogni decisione, mentre si fronteggiavano i due contrastanti schieramenti tra i sostenitori dell’inchiesta agraria e quelli dell’inchiesta sociale.

Agli inizi del 1873 fu presentato il progetto di legge relativo all’inchiesta agraria; un progetto di legge per l’inchiesta sociale fu presentato dalla Sinistra.

Due commissioni parlamentari, presiedute rispettivamente dal Coppino e dal Borselli, per l’esame preliminare delle proposte, finirono per concordare un’unica relazione e suggerirono un unico disegno di legge. L’unificazione delle due inchieste segnò la sconfitta delle ipotesi di lavoro della Sinistra.

Alla Camera si formò, infatti, un’ampia maggioranza favorevole ad un’unica inchiesta; molti deputati della Sinistra, anch’essi proprietari terrieri, si trovarono d’accordo con quelli governativi nell’auspicare un’inchiesta preminentemente economica.

Persino il Bertani dovette rinunziare al suo progetto e fu indotto a firmare, con il Borselli, il disegno di legge sull’inchiesta agraria. Nonostante ciò, il disegno di legge fu, per molto tempo, insabbiato in Parlamento e, passando i mesi, il carattere dell’inchiesta , già aleatorio, si stemperava sempre più.

Borselli, per l’imparzialità dell’inchiesta, sosteneva che essa non si dovesse rivolgere contro nessuno ed avvertiva che anche i proprietari facevano parte delle classi agricole.

Fu l’avvento della Sinistra, all’indomani del voto politico del 18 marzo 1876, ad avviare a conclusione l’iter parlamentare dell’inchiesta.

Il dibattito fu molto vivace sia prima che durante la discussione alla Camera.

Pasquale Villari polemizzò aspramente con coloro che si opponevano a che l’inchiesta si focalizzasse sulle condizioni sociali e morali dei lavoratori della terra.Sul fronte opposto, L’Italia Agricola, il più autorevole giornale della possidenza agraria settentrionale, sollecitava a legare l’iniziativa alle correnti ben pensanti dell’opinione pubblica, mentre il deputato Corte accusava le pubblicazioni già edite dal Ministero dell’Agricoltura, di essere calunniose contro

i proprietari. L’On. Caranti lamentò che si voleva artificialmente seminare la discordia tra le classi sociali fino ad allora unite ed affermò che gli unici veri bisogni dell’agricoltura erano i capitali e la sicurezza dai furti campestri.



Alla Camera gli oppositori di qualsiasi forma di inchiesta furono ben pochi, ma altrettanto pochi furono coloro che insistettero per una caratterizzazione squisitamente sociale di essa.

Il Ministro in carica, della Sinistra, Majorana Calatabiano, si chiedeva che significato potesse avere l’espressione questione sociale, e l’On. Minervini manifestò aperto scetticismo circa l’utilità dell’iniziativa.

Al Senato si manifestarono analoghe riserve conservatrici, il Sen. Bembo temeva che l’inchiesta potesse suscitare tra i contadini fatue ed inutili speranze, mentre il Sen. Rizzari sosteneva che certe brutture, certe miserrime condizioni dei contadini erano già note e che non era opportuno tornarci sopra.

Non era bene far nascere speranze che i guai presenti potessero aver termine e l’inchiesta poteva produrre solo illusioni gravide di conseguenze poco desiderabili.

La grande maggioranza dei due rami del Parlamento fu perciò d’accordo nel varare l’inchiesta, ma escluse la possibilità di farne uno strumento per il riscatto civile delle plebi rurali. La tesi dell’Estrema e del Bertani risultò chiaramente battuta. La legge per un’inchiesta agraria e sulle condizioni della classe agricola da compiersi in due anni con la spesa di £.60.000, fu promulgata il 15 marzo 1877.

Pochi giorni dopo, un decreto reale procedé alla nomina ufficiale dei 12 membri della Giunta, 4 eletti dalla Camera dei Deputati, 4 dal Senato e 4 designati dal Governo: Giuseppe Angeloni, Agostino Bertani, Carlo Berti Pichat, Ascanio Branca, Abele Damiani, Fedele Di Siervo, Pietro Fossa, Stefano Jacini, Emilio Morpurgo, Francesco Salaris, Giuseppe Toscanelli, Francesco Nobili Vitelleschi.

L’orientamento dei Commissari risultò chiaro fin dal primo giorno quando il Conte Jacini fu eletto alla carica di presidente della Giunta stessa con 6 voti su 8 commissari presenti, lasciando al Bertani la carica di vice – presidente. I commissari, alcuni dei quali erano grandi proprietari di terre, si riconoscevano nell’impostazione tecnico – agraria che ai lavori dell’inchiesta pensava di dare Jacini, mentre Bertani, spalleggiato soltanto da Abele Damiani, continuava ad essere l’assertore di quell’inchiesta a sfondo sociale che l’Estrema aveva propugnato.

Il divario di forze, in seno alla Giunta, era notevole ma Bertani non aveva perso le speranze di caratterizzare l’inchiesta agraria in senso sociale ed il dissidio tra presidente e vicepresidente fu subito chiaro. La prima occasione perché esso potesse manifestarsi fu la stesura del programma di lavoro della Giunta. Bertani sostenne l’esistenza di tre ben distinte questioni: la prima, intorno alle situazioni della proprietà in Italia; la seconda, intorno alle caratteristiche delle produzioni e delle coltivazioni; la terza, intorno alle condizioni dei lavoratori sotto l’aspetto fisico, economico e morale.

Per ciascun tema Bertani proponeva sopralluoghi e relazioni diverse con l’intento di far meglio emergere le conclusioni di carattere politico – sociale che a lui stavano particolarmente a cuore Jacini, al contrario, sostenne l’inscindibilità dei tre problemi, con l’intento di legare strettamente la questione sociale alla situazione economica e di evitare che essa assumesse autonomo rilievo.

Egli pertanto propose, invece che la ripartizione per argomenti, quella per regioni. Bertani si dimise per protesta e, nell’intento di evitare un caso di natura politica che nocesse al tranquillo lavoro dell’inchiesta, Jacini e compagni dovettero acconsentire ad un compromesso: i lavori della Giunta si sarebbero svolti per regione e non per argomenti, ma il Bertani ricevette l’incarico ufficiale di preparare una monografia sull’igiene del contadino italiano, il che, nei suoi progetti, gli avrebbe permesso di affiancare all’inchiesta economica quell’inchiesta sociale cui tanto teneva.

I lavori della Giunta furono lunghi, contrastati e complicati dalla soppressione, nel ’77, del Ministero dell’Agricoltura.

La Giunta si appoggiava per le sue indagini, nelle varie regioni, ad organismi governativi dipendenti da questo Ministero, pertanto, quando esso fu sciolto, i commissari si posero il problema se dovessero cambiare indirizzo e fondare uffici dipendenti direttamente da loro o se dovessero rassegnare il mandato e lasciare la soluzione definitiva alle deliberazioni del Parlamento.

Jacini e Bertani misero da parte i motivi di reciproco disaccordo e si rivolsero congiuntamente alla stampa, e mentre, grazie alle pressioni dei forti gruppi economici interessati, il Ministero dell’Agricoltura veniva sollecitamente ripristinato, la Giunta ottenne più soldi e più tempo per portare avanti la sua inchiesta.

Difficoltà più gravi intervennero per il dissidio solo apparentemente sanato, tra Bertani e Damiani da una parte e tutto il resto della Giunta dall’altra.

Bertani era convinto di essere appoggiato dal De Pretis ed in pratica si illuse di compiere, grazie all’incarico ricevuto per l’indagine sull’igiene rurale, un’inchiesta dentro l’altra inchiesta.

Egli riuscì a farsi assegnare dei fondi particolari e si impegnò, nell’indagine sulle condizioni delle classi rurali, ben oltre i confini della circoscrizione ligure assegnatagli nella suddivisione dei lavori dell’inchiesta agraria.

Ma il Presidente del Consiglio, anche se non smentì mai l’amico Bertani, pensava contemporaneamente a non inimicarsi la maggioranza della Camera che si era pronunziata in senso contrario all’inchiesta sociale, e spesso fece mancare al Bertani i mezzi necessari alla conduzione delle sue iniziative e ciò causò la definitiva sconfitta dell’ipotesi di inchiesta sociale. Questa ebbe limitata attuazione nel lavoro solitario del Bertani che procedette, con abnegazione personale, alla ricerca sulle condizioni igieniche dei contadini. Sebbene quando il Bertani morì, nel 1886, questo lavoro fosse giunto poco oltre la metà, Mario Panizza poté riassumere e pubblicare gli appunti sparsi e la ricerca, accanto ai volumi della Giunta, fu uno dei risultati più interessanti del grande movimento per un’inchiesta agraria italiana.

L’inchiesta agraria, neutralizzata l’opposizione del Bertani, poté svolgersi, avendo soprattutto di mira le questioni economiche. Essa si ispirò all’inchiesta agricola del ’65-’66 in Francia, ad analoga inchiesta svoltasi in Germania, di cui nel ’75 erano stati pubblicati gli atti a cura del Goltz, ed all’inchiesta che si svolgeva in Inghilterra, contemporaneamente a questa, tra il 1880 ed il 1882.

L’inchiesta Jacini si svolse tra un’indifferenza diffusa, dal momento che non erano del tutto sopite le diffidenze verso una indagine conoscitiva che nel panorama complessivamente arretrato dell’agricoltura italiana, rappresentava una novità. Essa, comunque, riuscì ad interpretare le esigenze degli ambienti più colti e sensibili della possidenza agraria e portò per la prima volta alla ribalta, un’Italia agricola finora dispersa, immobile e rassegnata.

Gli esponenti d’avanguardia della proprietà fondiaria dopo aver puntato all’edificazione di uno Stato di tipo liberale, si rendevano conto di dovere con più impegno dedicarsi agli affari dell’economia, della finanza pubblica, allo studio dei problemi della produzione agricola.

Stefano Jacini era, tra costoro, un uomo tra i più rappresentativi; proprietario di terre e di manifatture, esperto nella pubblica amministrazione, parlamentare autorevole, era molto più legato di tanti politici ai problemi di fondo della società italiana. Così le concezioni ispiratrici della Giunta, impersonate dal suo combattivo Presidente, riuscirono a rappresentare gli orientamenti più avanzati del mondo agrario, gravitante intorno agli interessi della proprietà terriera.
La Giunta finì per identificarsi con gli agricoltori ed i piccoli possidenti, anzi, in diversi dibattiti parlamentari, fu considerata diretta espressione di questi, pertanto, nei suoi lavori, i problemi

di carattere tecnico assorbirono quasi tutto lo spazio, mentre scarse ed episodiche furono le rilevazioni che avrebbero potuto avere una caratterizzazione sociale.

Il lavoro fu diviso, per circoscrizioni, ai vari membri della Giunta: a Jacini la Lombardia, al Morpurgo il Veneto, al Bertani la Liguria, al Nobili Vitelleschi l’Umbria, la Maremma toscana,

le Marche, parte del Lazio, al Damiani la Sicilia, ecc. Ognuno di essi poteva usufruire sia delle strutture e delle istituzioni governative, sia dell’aiuto di esperti per i quali venivano messi a disposizione opportuni fondi. Circa il metodo di lavoro si deliberò di procedere attraverso

quattro fasi: raccolta delle informazioni, coordinamento ed accertamento delle notizie, proposte intorno ai rimedi, compilazione delle relazioni finali complessive e documentate. La prima richiese molto più tempo delle altre e gli strumenti pratici adottati per l’indagine furono diversi e messi in atto in modo eclettico.

Ci si servì soprattutto, sul terreno statistico, di quanto si poteva reperire di già elaborato da enti pubblici e privati e della bibliografia fino ad allora edita. Furono poi compilati dei questionari che fossero di guida sia ai commissari circondariali, sia a tutti gli studiosi che volessero impegnarsi in ricerche locali.

Si istituì anche una commissione che avrebbe premiato le migliori monografie e conferito premi in denaro agli autori. In terzo luogo si ottennero notizie di prima mano dai comizi agrari, dalle associazioni di interesse agricolo, dai sindaci, dai pretori, da appositi comitati circondariali e provinciali, a seconda dell’iniziativa dei singoli commissari di circoscrizione.

Data l’impostazione dei lavori, ben poco di scientifico si fece per accertare le condizioni di vita dei contadini, anche se spesso i commissari giravano in tutto il territorio della circoscrizione.

L’ambito sociale in cui era stata concepita l’inchiesta portava generalmente i membri della Giunta a rivolgersi al ceto dei notabili delle campagne, possidenti, grandi mercanti, esperti di agronomia, ed a riferirne il parere come dato oggettivo universalmente acquisito.

Sotto questo aspetto è interessante esaminare il programma/questionario della Giunta fornito come guida ai commissari per la stesura delle rispettive relazioni circoscrizionali.
Esso ricalca molto da vicino lo schema di progetto degli interrogatori dell’inchiesta agraria presentati nel ’71 dal Morpurgo al Consiglio Superiore di Agricoltura. Nel questionario della Giunta, la massima attenzione veniva rivolta al rilievo dello stato generale dell’agricoltura ed alla descrizioni delle colture. Si chiedeva che fosse indicata la ripartizione del territorio in zone agrarie, l’estensione di ciascuna e la fisionomia generale dell’agricoltura.

Le colture dovevano essere distinte in piante arboree ed erbacee, entrambe con indicazioni delle principali varietà e del tipo di coltivazione con particolare riferimento, per le piante arboree, ai sommacchi, ai noci, nocciuoli, mandorli, peschi, meli, peri, ciliegi, susini, fichi e fichi d’India, carrubi e pistacchi, e, per le piante erbacee, ai cereali: frumento, granoturco, riso, segale, orzo, avena, miglio ecc., alle leguminose, alle piante alimentari, a quelle ortensi, a quelle tessili, industriali, da foraggio, graminacee ed altre.

Si chiedevano ampie statistiche e relazioni sulle malattie delle piante, le industrie derivanti da esse, con particolare riferimento alla produzione del vino, dell’olio, alla distillazione dell’alcool, alla fabbricazione dello zucchero, all’estrazione delle essenze.

Per gli animali si chiedevano statistiche dettagliate sulle razze bovine ed equine, e relazioni sui miglioramenti o peggioramenti degli incroci, sulle introduzioni di nuove razze, sui modi tenuti nell’allevamento.

Relazioni andavano stese pure sugli ovini, i caprini, i suini, il pollame, i conigli, la bachicoltura, l’apicoltura.

Spazio abbondante doveva essere riservato alle industrie derivate dagli animali (caseifici, lanifici, cuoi) ed all’igiene del bestiame.

La parte centrale dell’inchiesta avrebbe dovuto, secondo le indicazioni del questionario, essere riservata ai sistemi di coltivazione ed alle rotazioni.

Si chiedeva che fossero illustrati i vantaggi ed i difetti del sistema di rotazione adottato, la quantità di bestiame per unità di superficie, il numero dei lavoratori in rapporto alla estensione dei poderi, i sistemi di irrigazione, le opere idrauliche di scolo, e le bonifiche dei terreni paludosi e acquitrinosi, i concimi, gli strumenti e le macchine agrarie, la conservazione dei prodotti, il ricavo lordo e netto dei poderi, l’importazione e l’esportazione, l’istruzione tecnica, il credito agrario, la viabilità, i miglioramenti riconosciuti suscettibili di facile ed immediata applicazione.

Grande attenzione veniva riservata anche alla proprietà fondiaria, se essa fosse di grande, media o piccola estensione, all’incidenza dei terreni di proprietà comunale, delle opere pie, degli enti morali, ai gravami sulle proprietà sotto forma di canoni, censi enfiteutici, decime, servitù, diritti promiscui,

condomini, ai debiti ipotecari, alle imposte sulla proprietà ed al loro peso sui possessi, allo stato dei catasti, alle relazioni esistenti tra proprietari e coltivatori, ai sistemi di amministrazione e contabilità, ai contratti, con particolare riferimento alla colonia ed alla mezzadria.

Solo l’ultima parte dell’inchiesta, su sollecitazione del Bertani, avrebbe dovuto essere riservata alle condizioni fisiche, morali, intellettuali ed economiche dei lavoratori della terra, con riferimento all’alimentazione, alle abitazioni, agli effetti della tassa sul macinato sui mezzi di sussistenza della classe agricola, allo stato generale della sanità, alle società di mutuo soccorso.

Molto diversa era l’indagine che parallelamente, e solo parzialmente nell’ambito della stessa inchiesta, andava conducendo il Bertani. Egli rilevò l’esigenza di non rivolgersi a fonti e funzionari statali, essendo essi spesso costretti a tacere la verità per non subire dispiaceri e danni dai superiori, che troppo spesso erano interessati a celarla.

Bertani, nella sua inchiesta sull’igiene rurale, concentrava tutta la sua attenzione nell’appurare le condizioni di vita dei lavoratori agricoli. Egli si interessava delle loro abitazioni, sia stabili che stagionali, chiedeva che si facesse luce sulla coabitazione con gli animali, sulla promiscuità delle persone, sulla pulizia e la difesa dalle intemperie.

Chiedeva inoltre che si indagasse sui principali alimenti dei coltivatori, sull’uso del vino e degli alcolici, sullo stato di conservazione degli alimenti, sul vestiario; voleva che si relazionasse sull’istruzione e l’educazione, sull’esistenza degli asili infantili, delle scuole serali e domenicali, sulle tradizioni popolari, sugli usi sociali, sui problemi connessi agli obblighi di leva.

Bertani indagava sull’orario di lavoro dei contadini, sul loro stato di salute, sulle condizioni di lavoro, con particolare riferimento alle donne ed ai fanciulli e metteva in relazione ad esse la moralità delle popolazioni agricole.

Come si vede l’indagine di Bertani aveva un taglio squisitamente sociale ed antropologico, mentre quella proposta dalla Giunta un indirizzo prettamente economicistico. Il lavoro svolto dal Damiani in Sicilia non si discostò del tutto dall’impostazione che la Giunta nel suo complesso aveva dato all’inchiesta, ma risentì, in maniera evidente, delle sollecitazioni del Bertani.

Damiani operò in mezzo alle difficoltà derivanti dal sospetto, diffuso tra il pubblico, che l’inchiesta avesse scopi fiscali. Egli compì diversi viaggi in tutti i paesi e capoluoghi della Sicilia e cercò di associarsi l’opera delle persone più competenti nei vari settori dell’indagine, ma soltanto due studiosi di cose agrarie, il Chicoli ed il Nicolosi Gallo, collaborarono attivamente con lui e stesero delle monografie: il primo per le province di Palermo, Trapani, Caltanissetta e Girgenti, il secondo per i circondari di Catania e Siracusa.

Lo schema di lavoro che Damiani propose ai suoi collaboratori ed il questionario che egli indirizzò ai Sindaci, ai Pretori, agli Intendenti di Finanza, ai Presidenti della Camere di Commercio, ai Provveditori scolastici, ai Comizi Agrari, ai privati, sia di sua conoscenza sia indicati dai Prefetti, dai Sottoprefetti e dai Procuratori Generali del Re, ricalcava il questionario predisposta dalla Giunta, ma in esso, e qui si nota l’influsso del Bertani, egli lasciava molto più spazio all’indagine

sulle condizioni economico-sociali dei lavoratori della terra.

L’inchiesta di Damiani si presenta così ripartita in due parti distinte, entrambe corredate da una grande mole di dati e prospetti statistici; l’una verte sulle condizioni generali dell’agricoltura con riferimento agli aspetti più squisitamente tecnici: terreni e coltivazioni arboree, coltura del tabacco, del foraggio, delle leguminose, delle graminacee, impianti viticoli, fillossera, bestiame e sua igiene, concimi, monti frumentari, divisione delle proprietà, imposte, prezzi, commerci, viabilità, irrigazione, beni rurali, degli enti ecclesiastici, ecc.; l’altra, dal taglio più propriamente sociale, volta a definire le condizioni economiche della classe agraria, i suoi rapporti con i proprietari, le condizioni di vita, di salute, l’istruzione, l’incidenza dei costumi tradizionali e delle superstizioni, le abitudini religiose, l’influenza del servizio militare e le prospettive aperte dalla riforma elettorale.

Il lavoro di Damiani fu lento nei primi anni dell’inchiesta come quello di tutti gli altri componenti della Giunta Jacini.

Essa non si riuniva di frequente: prima immobilizzata dalle dispute al suo interno, poi, nel 1877, dalla soppressione del Ministero dell’Agricoltura, riprese lena dopo la reistituzione dello stesso; nel 1879 fu adunata soltanto 4 volte, tutte nella prima metà dell’anno, 8 volte nell’ ’80, anche qui con lunghe interruzioni, 4 volte nel 1881.
Ai fini dell’inchiesta, Damiani aveva effettuato solo un primo viaggio per i capoluoghi di provincia, ed esso gli aveva occupato 30 giorni.

Aveva preso contatto con le persone più in vista, ma il suo tentativo di istituire delle commissioni provinciali con degli esperti scelti secondo la competenza nelle diverse materie, era fallito sia per mancanza obiettiva di esperti, sia per dissensi e scissure tra le persone, sia, infine, per una certa noncuranza ed apatia generalmente diffusa nel mondo agrario nei confronti di qualsiasi lavoro scientifico.

Anzi, a questo proposito, Damiani parlava di atmosfera di indifferenza e di sfiducia veramente desolanti per dissipare le quali aveva potuto fare appello, con fiacchi risultati, solo alle amicizie personali e al sentimento patriottico di qualche giovane.

Così nel maggio 1881 egli si rivolgeva al Sen. Jacini18 lamentando difficoltà di vario genere che si frapponevano all’espletamento del suo compito.

Potenziata la capacità di azione dell’Inchiesta, anche grazie ad un ulteriore stanziamento di fondi, Damiani mise a punto l’insieme di tutti i suoi collaboratori. Fu un periodo intenso di visite locali, stesura di monografie, corrispondenza con tutte le autorità dell’Isola e con le amministrazioni centrali.

L’inchiesta, comunque, ancora non prendeva corpo, fu quindi per esigenza di completezza e di organicità che il 30 maggio 1883 Damiani inviò il suo questionario ai 357 sindaci con preghiera di rispondere entro la fine del giugno successivo.

Se tutti, quasi, i comuni risposero al questionario a loro indirizzato, in numero ben limitato furono quelli dai quali si ebbero notizie complete ed in ogni parte attendibili.

Comunque i tempi oramai incalzavano, c’era da sistemare i dati provenienti dai Pretori e tutti gli altri elementi forniti dagli Intendenti di Finanza, Presidenti di Camere di Commercio, Provveditori scolastici, Comizi Agrari, Prefetti, Sottoprefetti, Procuratori Generali del Re ai quali pure il Damiani si era rivolto. Gli ultimi mesi del 1883 e più di metà di quelli del 1884 furono impiegati in un’immane fatica per raccogliere i dati, classificarli, riassumerli per categorie e indi per circondari, per province e poi per tutta la regione, ma anche per esaminare i criteri coi quali erano stati messi insieme i dati, constatare l’esattezza dei rapporti, elaborare degli indici assoluti.

I risultati dell’inchiesta Damiani furono raccolti in 5 grossi tomi, tutti appartenenti al 13° volume dell’inchiesta Jacini. Essi videro la luce tra il novembre 1884 (tomo 1°, fascicolo 1° e tomo 1°, fascicolo 2°) ed il giugno 1885 (tomo 1°, fascicolo 3°; tomo 2°, fasc. 4°; tomo 2°, fasc. 5°).