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giovedì 3 settembre 2009

Bosco e pastorizia colorivano il territorio di Calatamauro nella prima metà del '400

Il sito si propone di scandagliare la storia del territorio di Contessa Entellina in periodi differenti, su problematiche differenti, su circostanze differenti. Il lettore non troverà quindi post concatenati cronologicamente l’uno con l’altro. Questa è la scelta che almeno attualmente si porterà avanti.
In un precedente post abbiamo evidenziato come dal 1300 in avanti tutti i casali dell’entroterra siciliano risultano spopolati ed abbandonati.
Alle soglie del ‘400 l’interno dell’isola è ricoperto di boschi che in prevalenza appartengono al demanio (regio patrimonio). Ficuzza, Godrano, Cammarata e Rifesi sono appunto domini del demanio. Il bosco di Santa Maria appartiene invece ai Peralta, ma in misura notevole sarà donato, via via, al Monastero.
Tenteremo di capire qui perché il bosco e la boscaglia dal ‘400 in poi abbiano iniziato a cedere, in Sicilia, terreno ad altre destinazioni.
I boschi demaniali in concomitanza con la boscaglia e la macchia erano arrivati ad estendersi in più casi fino alle rive del mare (zone di Altofonte, Borgetto etc.). Iniziarono gli opifici di zucchero (trappeti) a consumare la boscaglia (secondo calcoli degli studiosi ogni trappeto consumava 500 cantari –q.li 400- di legna all’anno). Nel palermitano pare esistessero 30 trappeti che assorbendo 12.000 q.li annui di legna necessitavano fra i 10.000 ed i 12.000 alberi. All’interno dell’isola invece imperava sui domini dei signori feudatari laici ed ecclesiali anche la pastorizia.

L’odierno territorio di Contessa Entellina, dominio dei Peralta affiancava i domini dell'Arcivescovado di Monreale; come abbiamo infatti evidenziato in un'altro post, la donazione del 1182 di Guglielo II all’Arcivescovado lambiva il territorio dell’odierna Contessa, senza comprendere le pertinenze di Castello di Calatamauro, rimaste al regio demanio, per finire in seguito, dopo più vicissitudini, nei domini dei Peralta nella seconda metà del '300. Su questo territorio, come in buona parte di quello dell'Arcivescovado, era la pastorizia ed il bosco a colorire il panorama.
Il ‘400 è il secolo in cui i baroni per tentare di ovviare allo spopolamento dei feudi iniziano ad introdurre, al posto dei casali abbandonati, le masserie ossia le aziende agrarie (peraltro fortificate). Sul nostro territorio le masserie più note sorgeranno sul finire del cinquecento, così a dominare la realtà socio-economica nella prima metà del ‘400 resteranno le numerose mandrie che esigono una scarsa manodopera e reggono meglio al fenomeno dello spopolamento. Il prof. Ignazio Parrino, in un recente convegno svoltosi a Santa Maria del Bosco, ha valutato che dal periodo Normanno fino al 1400 il calo demografico ha avuto un crollo, sull’intera isola, al punto da ridurre la popolazione dai 2 milioni di abitanti ai 300 mila. Il dato potrà apparire eccessivo, comunque, dà l'idea della realtà di allora.
Su questi presupposti di scarsa popolazione rurale possono individuarsi i germi dello sviluppo economico basato sulle culture estensive (latifondismo), che si configureranno sempre più nei secoli successivi sulla mandria e sulla masseria. In effetti è documentato che per tutto il ‘400 le culture agricole nelle piane di Catania e di Palermo, nei vigneti di Sciacca, venivano portate avanti con squadre di operai che stagionalmente venivano dalla Calabria, con le spese del viaggio che venivano accollate dai baroni laici o ecclesiastici.

In un certo senso abbiamo chiarito quali furono le condizioni economico-sociali di quel tempo, che favorirono il ripopolamento di alcune zone interne dell'isola con gruppi più o meno consistenti di Albanesi e di Epiroti.

Anche se l’agricoltura (cerealicultura) era addensata solo nelle zone migliori, cioè in vicinanza del mare, in quel periodo la Sicilia era un grosso esportatore di grano. Secondo documenti archivistici inerenti i dati sui caricatori (= i porti abilitati all’esportazione, in numero di 19), nel 1408 furono portati fuori regno oltre 120 mila salme di grano.
Per quell’anno non abbiamo altri indicatori da utilizzare per descrivere la realtà della nostra zona se non il dato di 16.044,6 salme di grano esportato mediante il porto di Sciacca. E' ovvio che quel grano provenisse sia dalla zona costiera che dall'entroterra.

Prendiamo in considerazione questo dato perché Sciacca era un po’ la sede della potente famiglia Peralta ed era il secondo porto dell’isola, dopo Licata, da cui fluiva all’estero il surplus di grano. I domini dei Peralta erano vastissimi, ma è probabile che anche una piccola parte di quel grano esportato potesse venire dal territorio dell’odierna Contessa Entellina, dove qualche masseria, sia pure non significativa, avrebbe potuto già allora esistere, accanto alle attestate documentalmente numerose mandrie.

Sciacca, Licata ed Agrigento, lungo la costa meridionale dell’isola, erano i porti da cui complessivamente veniva esportato il 50% del grano siciliano in surplus rispetto all'esigenza domestica. A conferma che i territori dei Peralta non erano per intero destinati all’agricoltura, se non nella zona costiera, ma erano all'interno prevalentemente votati all’allevamento c'è il dato sull’esportazione di formaggi; nel 1408, dal caricatore di Sciacca viene imbarcato il 25% del volume complessivo di formaggio esportato dall'isola. Sciacca era il primo porto in assoluto fra i 19 caricatori dell’isola per quanto riguarda l'esportazione dei formaggi.
Il Contessioto

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