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giovedì 20 agosto 2009

Contessa nella seconda metà del '300 era un casale abbandonato.

Le notizie sul casale di Contessa, nel tardo medioevo, sono estremamente scarse; nella seconda metà del ‘300 passa ai Peralta, famiglia i cui esponenti erano stati fra i quattro vicari del Regno durante la minoretà della regina Maria e la cui potenza era tale da potere aprire una zecca di monete a Sciacca, nonostante i divieti regi; uno stato nello stato. In quel periodo Contessa, feudo, ricade amministrativamente nella Val di Mazara, territorio di quasi esclusiva appartenenza dei Peralta.
L'ubicazione è a breve distanza dal borgo fortificato Batellaro, dal monastero di Santa Maria del Bosco e dal castello di Calatamauro, tutte realtà del tessuto sociale ed economico di quell’epoca. Batellaro ricade sotto la signoria arcivescovile di Monreale, S. Maria del Bosco comincia ad accrescere la propria importanza grazie ai donativi fondiari dei Peralta ma ecclesiasticamente dipende dalla giurisdizione del vescovo di Girgenti (Agrigento), mentre Calatamauro è presidio militare negli anni a ridosso dell’insurrezione dei vespri siciliani, diviene centro amministrativo feudale dopo, per venire successivamente completamente abbandonato.
Se dalla metà del ‘300 andiamo con la macchina del tempo, ai fini del nostro discorso, a 170 anni indietro vediamo una realtà sostanzialmente differente. Sul finire dell’anno millecento viene steso il Rollo, ossia quel documento con cui il re normanno Guglielmo II dona, nel 1182, tutto l’entroterra dell’isola al neo istituito arcivescovado di Monreale. Questo prezioso documento, redatto in greco e arabo (lingue più diffuse all’origine del Regno di Sicilia) e successivamente tradotto in latino, aveva una finalità pratica, descrivere nei dettagli i confini territoriali della donazione. Grazie a questo documento possiamo fra l’altro, ancora oggi, risalire ad una dettagliata rivisitazione del territorio che oggi fa parte del Comune di Contessa.
Il Rollo, o Jarida, del 1182, descrive la realtà territoriale di un’area molto vasta che comprende quattro “Divise” (distretti), ossia Jato, Corleone, Batellaro e Calatrasi.
Secondo studi condotti da vari ricercatori, fra cui studiosi della Scuola Normale di Pisa, l’odierno territorio di Contessa Entellina ricadeva, allora, nelle Divise di Batellaro e Calatamauro (quest’ultimo non donato all’Arcivescovado e, quindi, rimasto feudo demaniale).
Con questo preziosissimo documento siamo in condizione di localizzare corsi d’acqua, pozzi, piante secolari, viabilità, mulini idrici e possiamo renderci conto inoltre di quanto fosse parecchio più vasto il bosco di S. Maria, rispetto all’attuale estensione.
Abbiamo, ad esempio, notizia della strada della Serra che viene da Kalatamauro /viam Serre que ducit de Kalatamauru/, senza che però si dica che quella via, per collegare i capoluoghi delle due "divise" avrebbe dovuto attraversare Contessa; possiamo conoscere tratti del confine fra Batellaro e Calatamauro, dove stanno “dy xhaje”, che gli arbreshe, tre secoli dopo, trasformeranno in “di gardhet”, ossia due confini.
La curiosità, ovviamente, è di capire se esiste qualche cenno su Contessa. Nulla. Di centri abitati riportati sul Rollo ve ne sono, alcuni di essi esistono ancora ai nostri giorni, di altri si è persa invece la memorie. Sono citati Corleone, Bisacquino, Batellaro, Entella (non tanto la città, ormai decaduta, ma il castello medievale di Pizzo della Regina), Calatamauro e poi una lunga serie di casali. Fra quest’ultimi, quelli che insistevano sull'odierno territorio di Contessa, sono Senuri, Manzil Sindt ed altri ancora, localizzabili a Bruca, Realbate, Bagni di Entella, Carrubba, Cautalì .

Tentiamo, stante questa situazione, di capire cosa si intenda nel tardo medio evo per ‘casale’ (rahl o manzil, in arabo).
I casali fioriscono a cominciare dall’anno mille come cellule di lavoratori agricoli dell’organizzazione territoriale araba e poi normanna; pochi nuclei familiari, non oltre dieci, le cui abitazioni non sono protette da mura o da altre difese e che dipendono amministrativamente e militarmente dal territorio di un castrum (castello). I loro abitanti sono i ‘villani’, cioè i contadini privi di diritti e di valore perché appartenenti alle etnie sottomesse (la popolazione greco-bizantina, prima, quando in Sicilia arrivarono gli arabi e gli arabi quando giunsero i normanni). Era povera gente, abbrutita dalle disagevoli condizioni di vita, il cui destino era lavorare la terra e cercare di sopravvivere. Le abitazioni erano semplici pagliai, ossia capanne costruite con pietra a secco e coperte con tetti rivestiti di rami. L’arredo consisteva del giaciglio di paglia, il focolare, la cassapanca con poche stoviglie di terracotta. Accanto ai loro pagliai talvolta c’era il magazzino del feudatario ed una cappella curata, nella fase iniziale di questi aggregati umani, dai monaci basiliani e successivamente dai benedettini.
E’ durante il breve periodo angioino che il villanaggio, forma assoluta di sottomissione dell’uomo all’uomo -al punto che scappare, abbandonare il casale autorizzava il signore ad infliggere la morte-, viene abolito. Siamo, già, alle soglie del 1300. Inizia in Sicilia quasi un secolo di guerre e di epidemie. Nel corso del trecento tutti i casali dell’isola vengono infatti abbandonati.
Nel quattrocento i nobili feudatari per ripopolare i loro domini punteranno sulle “terre”, ossia centri rurali con almeno ottanta famiglie che, contrariamente ai casali, verranno fortificati. Nella giurisdizione delle 'terre' i feudatari realizzeranno, specialmente a decorrere dal '500, le masserie (nel nostro caso sarà costruita quella di Vaccarizzo), pure esse fortificate. Ma questa è un’altra storia.

Contessa casale, prima del ripopolamento degli arbreshe, non ha alcuna storia a sé stante. La storia del ‘villanaggio’ feudale appartiene, comunque, a tutto l’interno della Sicilia. E', quindi, pure nostra, di noi contessioti.
Il Contessioto

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